Marco Del Corona, Corriere della Sera 08/12/2010, 8 dicembre 2010
CERIMONIA DEL NOBEL A OSLO 18 SEDIE VUOTE (OLTRE A QUELLA DI LIU) —
Intorno al Nobel per la Pace gli eserciti si schierano. Se l’eterogenea galassia degli esuli diffonde la lista di chi sarà a Oslo dopodomani per la cerimonia, comincia a costituirsi di fatto un fronte allineato sulle posizioni della Cina. Diverse ambasciate boicotteranno la cerimonia per il dissidente Liu Xiaobo nella capitale norvegese: il comitato del Nobel ha comunicato ieri che, oltre alla Cina, saranno 18 i rappresentanti diplomatici assenti, mentre almeno 44 delle 65 ambasciate presenti a Oslo hanno risposto positivamente all’invito. Invece di Liu, co-autore del manifesto politico-costituzionale Charta ’08 condannato a 11 anni per sovversione, ci sarà una poltrona vuota.
Non andranno la moglie Liu Xia, in stato di fermo da quasi due mesi, né i fratelli. E solo Wan Yanhai, unico tra i circa 140 sostenitori di Liu indicati in una lista dalla moglie come possibili rappresentanti del marito, potrà raggiungere la Norvegia dagli Usa. Presenti invece dissidenti storici da anni all’estero, da Fang Lizhi, a reduci della Tienanmen, come Wuer Kaixi, e alcuni politici di Hong Kong. Un australiano, Zhang Heci, amico di Liu in viaggio per Oslo, ha detto di essere stato espulso subito dopo un atterraggio a Shanghai.
Pechino resta salda sulla sua posizione dell’ingerenza e del complotto americano e occidentale per imbarazzare la Cina. Chi nell’entourage di Liu non è agli arresti domiciliari, non può comunque espatriare. E durissima, ieri, è stata la portavoce del ministero degli Esteri, Jiang Yu: ha parlato di «farsa anticinese» e di «clown del comitato» del Nobel e ha sostenuto di «avere la lista» non di 18 ma di «cento fra Paesi e organizzazioni» in sintonia con Pechino.
I 18 che boicotteranno la cerimonia compongono un piccolo atlante degli interessi della Cina, che peraltro ha già avvertito la Norvegia delle conseguenze del Nobel. Ci sono partner energetici e alleati strategici ( Arabia Saudita, Iran, Kazakhstan, Pakistan, Venezuela, Russia, Sudan), due Paesi formalmente comunisti (Cuba e Vietnam), due vicini (il cruciale Afghanistan e le Filippine, arcilegate agli Usa ma proprio ora impegnata in accordi con Pechino per dotazioni militari), più Colombia, Egitto, Iraq, Marocco, Serbia, Tunisia e Ucraina. Contemporaneamente, Pechino prova a contrastare l’effetto Nobel sui suoi media rivolti agli stranieri, ad esempio interpellando sei studiosi (di cui un paio occidentali) per la pagina di dibattito sul Global Times di ieri, dove però non emergeva alcun contraddittorio. «Ma per un governo che tanto ha investito nei media per rafforzare il suo soft power l’affare Liu Xiaobo è un disastro», spiegava al Corriere il politologo americano Joseph S. Nye a margine del convegno Aspen di Pechino, dopo aver argomentato che «senza una società civile vera, cioè senza censure, non si può avere vero soft power ».
Chiosa il presidente del comitato del Nobel, Thorbyørn Jagland (già premier laburista e ora segretario generale del Consiglio d’Europa), in un intervento scritto: «Quanto siano significative le decisioni sul Nobel lo dimostrano proprio reazioni così forti».
Marco Del Corona