PIERGIORGIO ODIFREDDI, la Repubblica 9/12/2010, 9 dicembre 2010
LO SCIENZIATO THOMAS MANN, QUELLE LEZIONI DI BIOLOGIA NASCOSTE NEI SUOI ROMANZI
Il 14 luglio 1920 Thomas Mann annotava sul suo diario: «È arrivata la Biologia generale di Hertwig». Si trattava di un popolare manuale pubblicato nel 1906 dal biologo Oscar Hertwig, nel quale si identificava per la prima volta il Dna come il portatore dell´informazione genetica (un´intuizione poi confermata sperimentalmente nel 1943 da Oswald Avery). L´8 agosto Mann si proponeva coraggiosamente: «Leggere la Biologia generale di Hertwig». E il 30 settembre annunciava: «Terminato ieri il capitolo biologico».
Il capitolo in questione era Indagini, e appartiene alla Quinta Parte della monumentale opera che lo scrittore stava componendo in quegli anni, La montagna incantata (ora ritradotta nei Meridiani Mondadori alla lettera come Montagna magica), che lo occupò dal 1913 al 1924. Come lui stesso raccontò il 18 maggio 1939 all´Università di Princeton, l´ispirazione per il romanzo gli era venuta da un fatto accidentale: nel 1912 sua moglie era stata ricoverata per sei mesi nel sanatorio svizzero di Davos, e durante una visita di tre settimane che le aveva fatto, Mann si era preso un banale raffreddore.
Il primario gli "diagnosticò" immediatamente un´infezione polmonare, prescrivendogli un immediato ricovero di sei mesi, ma egli scappò a gambe levate. E invece di sottoporsi a tempo indefinito a una cura per una malattia inesistente, preferì utilizzare le impressioni ricevute in quelle tre settimane per scrivere La montagna incantata.
Con questo romanzo bisogna esser disposti a lasciarsi trascinare come fuscelli da un impetuoso fiume di parole, i cui meandri si addentrano nei melmosi terreni della divagazione. Compresa quella sulla biologia dalla quale siamo partiti, appunto, che ha comunque il vantaggio di poter essere letta indipendentemente anche senza dover affrontare l´intero romanzo, estrapolando la ventina di pagine della parte dalle settecento pagine del tutto.
Naturalmente, non ci si può aspettare che lo scrittore dica qualcosa di nuovo riguardo al problema della vita. Ma quel che interessa è proprio il rapporto diretto con il trattato di Biologia. A svelare questo legame, analizzando nel dettaglio parallelismi e debiti, è un libro particolare. Si tratta di Gradini verso la vita del premio Nobel per la chimica Manfred Eigen: qui ciascun capitolo è preceduto da una citazione tratta da Indagini, e la prefazione ci fornisce comunque un motivo per leggere le pagine "scientifiche" dell´autore tedesco.
Pur avvertendo che «nella Biologia generale di Hertwig si trovano tutte le formule e la terminologia specialistica usata da Thomas Mann, comprese le interpretazioni errate», Eigen nota infatti come sia «sorprendente che in Hertwig le formulazioni scientifiche risultino meno pregnanti che in Thomas Mann, non solo perché il genio letterario di questi favorì la rielaborazione dialettica dei fenomeni e dei concetti scientifici, ma anche perché la sua acutezza intellettuale fu in grado di dar loro una sistemazione ordinata e di conferirgli coerenza e trasparenza logica».
Mann organizza il suo discorso biologico attraverso i pensieri del giovane Hans Castorp, protagonista del libro e prigioniero dell´incantesimo della montagna di Davos. Anch´egli ci va per una visita di tre settimane a un parente ricoverato, e rimane invischiato per sette anni come un insetto nella tela che il primario gli tesse attorno, riuscendo con lui nella finzione dove aveva fallito con Mann nella realtà. E come lo scrittore, anche il suo personaggio legge testi di biologia, ponendosi domande più grandi della sua capacità di comprensione delle risposte (pur essendo, a differenza di Mann, un ingegnere e non un letterato).
La domanda da un milione di marchi è ovviamente quella che si pongono tutti coloro che adorano il dio delle generalità, ed esorcizzano il diavolo dei dettagli. «Che cos´è la vita?», ripete dunque Castorp per tre volte, agli inizi del suo monologo interiore, e si dà tre risposte diverse. La prima collega la vita a una «coscienza di sé», che è «semplicemente una funzione della materia ordinata in modo che possa vivere». La seconda la ritrova «nella generazione spontanea, cioè nell´origine dell´organico dall´inorganico», che altro non è se non «un miracolo». La terza la situa nel «prodotto calorico di una sostanza sostenitrice di forme», descrivendola come «l´essere del non poter essere», «un fenomeno non materiale su base materiale, come l´arcobaleno sopra la cascata e come la fiamma».
Passando dall´astrazione delle definizioni alla concretezza delle manifestazioni, Castorp percorre il cammino che va dal corpo macroscopico alla cellula microscopica. Riflette sul «fenomeno delle colonie di cellule», in cui «la natura presenta uno stato intermedio fra l´unione altamente sociale di innumerevoli individui elementari per formare tessuti e organi d´un io superiore, e la libera esistenza singola di questi esseri semplici». E passa attraverso le varie fasi della crescita, seguendo l´evoluzione dell´organismo dall´istante della fecondazione alla costituzione dello scheletro, degli arti e degli organi. Ma, «nonostante tutto ciò, le funzioni del protoplasma gli restavano inesplicabili: gli pareva che alla vita fosse negato di comprendere se stessa».
In questa discesa dal complesso al semplice, Castorp scopre che «la cellula non si comporta diversamente dal corpo sviluppato e costituito di cellule: pertanto, anch´essa è già un organismo superiore il quale a sua volta si compone di parti viventi, di individuali unità di vita». Il cammino dunque continua, nel «molteplice regno animale» di queste unità, «le cui dimensioni stanno molto al di sotto del limite della visibilità microscopica, e crescono per virtù propria». Mann intuisce che le costituenti della cellula «non possono essere elementari», bensí «devono essere a loro volta composte, e costruite come un ordine di vita»: dunque, «in qualche momento la divisione deve condurre a unità che, composte bensì, ma non ancora organizzate, fanno da mediatrici fra vita e non-vita, gruppi di molecole costituenti il passaggio tra ordine vitale e mera chimica».
Ma il passaggio dall´inanimato all´animato è solo «una malattia infettiva della materia». Nel loro procedere a ritroso verso l´origine del tutto, la scienza e la coscienza devono infatti affrontare quello che Castorp definisce come «il primo passo verso il male», il vero «peccato originale»: si tratta di «quel primo aumento della densità dello spirito, quella esuberanza patologicamente rigogliosa del suo tessuto, la quale, un po´ per piacere, un po´ per difesa, costituisce il primissimo gradino della materia, la transizione dalla non-materia alla materia».
Ai tempi in cui Mann scriveva, sul problema dell´origine della materia e dell´universo c´era un buio ancora più grande di quello che avvolgeva il problema dell´origine della vita. Non stupisce, dunque, che a questo punto lo scrittore abbia dovuto fermarsi attonito, limitandosi a parlare dell´atomo come di «un ammasso così minuscolo, precoce e transitorio, di non-materia, di non ancora materia, di già simile alla materia, di energia, che non bisogna, già o ancora, pensarlo come materia, ma piuttosto come punto intermedio o limite fra la materia e la non-materia».
Come aveva già avuto l´intuizione che le costituenti della cellula dovessero essere entità composte, così ora Mann intuisce che il microcosmo atomico e il macrocosmo cosmologico si riflettono l´uno nell´altro, perché «nel momento dell´ultima scissione e minuscolizzazione della materia si apre all´improvviso il cosmo astronomico». E anche questa intuizione sarà confermata dal resto della storia, quella vera e non romanzata, che si può leggere ad esempio in L´universo elegante di Brian Greene.