GIAMPAOLO VISETTI, la Repubblica 8/12/2010, 8 dicembre 2010
LA SEDIA VUOTA DEL DISSIDENTE XIAOBO CHE ALZA UN MURO TRA CINA E OCCIDENTE
Una sedia vuota spaventa il mondo, fa saltare i nervi alla seconda potenza del pianeta e rischia di rompere gli equilibri fragili tra Orientee Occidente. L’ icona dell’ assenza, che divide l’ umanità tra chi sente la libertà come un diritto e chi ritiene sia una concessione discrezionale del potere, occupa già il palco dove venerdì viene consegnato il premio Nobel per la pace 2010. Oslo torna testimone delle ingiustizie globali e la comunità internazionale si prepara, a ventuno anni da piazza Tiananmen, alla sfida con la Cina sull’ attualità dei diritti umani e della democrazia quale valore etico e politico universale per il futuro. Sulla sedia vuota avrebbe dovuto sedersi Liu Xiaobo, dissidente, promotore di «Charta 08», condannato a undici anni per «istigazione alla sovversione» e rinchiuso in un carcere della Manciuria. La Norvegia, colpita d a l l e r i t o r s i o n i commerciali di Pechino, sceglie così di costruire una scenografia capace di raccontare il senso dei regimi che minacciano il ventunesimo secolo. Accanto alla sedia su cui Liu Xiaobo non potrà prendere posto, c’ è anche quella destinata a sua moglie Liu Xia, rinchiusa ai domiciliari dall’ 8 ottobre, un’ ora dopo l’ annuncio del Nobel. Dietro sarà alzata la fotografia della loro famiglia. La narrazione è affidata all’ attrice Liv Ullmann, che leggerà brani e poesie del Nobel imprigionato e ricattato a oltre cinquemila chilometri di distanza. Il violinista-esule Lynn Chang ha accettato di suonare assieme ad un coro di cento bambini, unica richiesta che Liu Xiaobo è riuscito a far uscire dalla cella. Lynn Chang, che insegna a Boston e ha chiesto di eseguire brani popolari della sua patria, rischia di non rivedere più i genitori, che vivono in Cina. È un sacrificio che aggiunge emozione alla cerimonia del Nobel e che incide un confine tra chi è disposto a perdere qualcosa di proprio per essere libero e tutti gli altri. La consegna del Nobel, il primo a un cinese «han» non scienziato (il Dalai Lama è tibetano), sarà oscurata in Cina. Al vuoto della sedia del signor Liu e al silenzio della repressione nel suo Paese, non corrisponderà però l’ indifferenza del mondo che vive oltre le frontiere sigillate dalla polizia politica di Pechino. Yang Jianli, amico di Liu e compagno di lotta nel 1989, su invito di Liu Xia ritirerà il premio dedicato «a tutte le anime morte di Tiananmen». Una quarantina di attivisti in esilio, a Hong Kong e a Taiwan, in Giappone e negli Usa, è riuscita a volare in Norvegia e da domani protesterà davanti all’ ambasciata cinese a Oslo. I dissidenti in fuga, o espulsi, chiederanno la liberazione del Nobel e di sua moglie, ma anche quella delle decine di famigliari, amici ed attivisti arrestati negli ultimi due mesi. Ci sarà anche Fang Zheng, che ha perso le gambe sotto i carriarmati di Tiananmen. Pechino ha definito questo Nobel «un crimine orchestrato da un gruppo di pagliacci per conto degli Usa, decisi a umiliare chi contrasta il neocolonialismo imperialista». Il premio definisce dunque i due mondi del presente, traducendo ciò che nel Novecento è stata la «cortina di ferro» in un elogio della nuova resistenza al sopruso. La Cina ha fatto di tutto per demolire il Nobel che la accusa. Ha promesso vendette economiche e minacciato crisi politiche e ieri il ministero degli Esteri ha cantato vittoria. «Più di cento nazioni - ha detto il portavoce Jiang Yu - ci sostengono e non parteciperanno alla cerimonia. È la prova che la stragrande maggioranza della comunità internazionale non accetta questa farsa». Il direttore dell’ Istituto Nobel, Geir Lundestad, ha confermato invece che su 65 ambasciatori invitati, 19 hanno rifiutato e 2 non hanno risposto. Con Pechino si sono schierati Russia, Ucraina, Serbia, Iraq, Iran, Afghanistan, Corea del Nord, Venezuela, Cuba e molti paesi dell’ Africa. Con Liu Xiaobo ci sono gli ambasciatori di Usa, Ue, India, Giappone e delle nazioni democratiche di ogni continente. Il rito che da oltre un secolo si consuma tra impegno e mondanità, si trasforma così in un passaggio ad altissima tensione civile. Migliaia di cinesi all’ estero sono pronti a rispondere a Oslo manifestando contro «l’ esportazione democratica» dell’ Occidente, mentre i dissidenti accusano i vertici dell’ Onu per aver declinato l’ invito in Norvegia. È la prima volta che il Nobel per la pace non può essere consegnato nemmeno ad un parente del vincitore e la preoccupazione del mondo torna dunque alla sedia vuota di Liu Xiaobo, monumentochoc ai recinti invisibili, ma invalicabili, che travolgono le istituzioni internazionali e disegnano le nuove influenze dei poteri che pretendono di spartirsi la terra. Al centro del vuoto c’ è un poeta cinese condannato, anonimo fino a poche settimane fa. Da una parte la Cina, che si scopre fragile e impaurita. Dall’ altra noi, impotenti e cinicamente diplomatici.