Guido Olimpio, Corriere della Sera 09/12/2010, 9 dicembre 2010
CAVALIERI JEDI CONTRO CYBER-SCERIFFI. VA IN SCENA LA PRIMA INFOGUERRA TOTALE —
Dalle loro postazioni nel Maryland gli specialisti dell’Us Cyber Command hanno seguito gli assalti dei nuovi guerrieri. Al fianco dei «Cavalieri Jedi», i sostenitori di Wikileaks, si è schierato «Anonimo» (Anonymous), un gruppo di hacker combattivi. Ieri hanno colpito gli avversari con l’Operazione Payback. La prima ondata ha investito la banca postale svizzera, MasterCard, il tribunale di Stoccolma e il legale delle due accusatrici di Julian Assange. I loro siti sono stati «bombardati» di contatti rendendoli irraggiungibili per ore. Poi è toccato alla Visa e, infine, a Sarah Palin: la sua pagina però ha resistito. L’esponente repubblicana ha sostenuto che i pirati hanno anche manomesso i dati della sua carta di credito e del mari t o Todd. Contromossa di Twitter che ha bloccato il conto degli hacker del gruppo Payback.
Con Wikileaks sotto assedio, sono stati i corsari informatici a guidare la controffensiva dimostrando di poter creare molti fastidi senza che nessuno possa impedirlo. Per i ribelli si tratta di azioni giustificate contro chi ha adottato misure punitive e censure. «La libertà di espressione — affermano — non ha prezzo». Alcune delle società hanno privato Wikileaks del supporto tecnico per i server, altre hanno bloccato la possibilità di fare offerte online in favore di Assange. Sarah Palin è considerare una «nemica» perché ha esortato a perseguire l’australiano con la stessa forza usata per dare la caccia ai talebani.
La risposta non si è fatta attendere. Una vendetta organizzata e spontanea in difesa di «Julian, il prigioniero politico». Le incursioni sono attribuite a chi è davvero vicino al pirata-giornalista ma diverse hanno come protagonisti i volontari. Per partecipare non c’è bisogno di raggiungere il fronte. E il campo di battaglia — virtuale — è senza limiti. Basta essere esperti con il computer e abili nel non farsi rintracciare. Li definiscono gli invisibili. O li paragonano ad uno stormo di uccelli che si forma e si scompone. Mentre gli hacker sanno quali siano i bersagli — indirizzi Internet noti, società, istituzioni — per chi li combatte è come inseguire i fantasmi. Un portavoce di «Anonimo» ha rivelato che il gruppo conta su «circa 4 mila» seguaci. Dalla Sierra Leone all’Austria. Ci sono teenager ancora acerbi e adulti con un background tecnologico. Non c’è gerarchia — e come potrebbe per chi sogna «un caos positivo» — a tenerli insieme la condivisione di un’idea e il nemico comune: «Chiunque interferisca su Internet».
Non appena sono iniziati a circolare i file riservati qualcuno ha auspicato un intervento duro: blocchiamo il sito. Non ci sono riusciti perché Assange, consapevole dei rischi, ha trovato decine di «condotte» sulla rete lungo le quali far scorrere i cablo.
Gli specialisti sostengono che questi sono i primi fuochi e — avvertono — l’incendio potrebbe estendersi con raffiche di attacchi. Quelli di «Anonimo» offrono il software per chi vuole parteci pare alla rappresaglia. Paypal potrebbe essere il prossimo target. Altri hacker si uniranno, spinti dalla solidarietà e dall’idea di partecipare ad uno scontro simbolico. Piccoli contro grandi, Davide contro Golia, verità contro verità.
Al «Cyber Command» di Fort Meade, nel Maryland, tengono le antenne puntate e pensano agli scenari futuri. Il comandante, il generale Keith Alexander, da mesi invoca non solo difesa ma anche azioni preventive su scala globale per proteggere «gli interessi degli Stati Uniti». Una richiesta che si è scontrata — raccontano — con le gelosie della Cia e i timori degli avvocati della Casa Bianca. Il problema, per ora, non sono certo i fan di Assange. Deponendo in settembre davanti al Congresso il generale ha messo in guardia sull’assalitore «che si presenta con capacità sconosciute». E lo diceva forse pensando agli hacker dell’esercito cinese. Le prove di cosa siano capaci abbondano. Molte sono emerse in questi giorni. Le ha rivelate Wikileaks.
Guido Olimpio