Vari, La Stampa 9/12/2010, pagina 2 e 3, 9 dicembre 2010
Mutui-casa, famiglie a rischio + Imprese, finisce la moratoria Sessanta miliardi da pagare - Single con figli, lavoratori temporanei, ma soprattutto persone nel frattempo rimaste disoccupate
Mutui-casa, famiglie a rischio + Imprese, finisce la moratoria Sessanta miliardi da pagare - Single con figli, lavoratori temporanei, ma soprattutto persone nel frattempo rimaste disoccupate. I numeri dello studio risalgono ormai al 2007, a prima dell’ondata più forte della crisi finanziaria, di un forte calo dei tassi di interesse e della moratoria delle banche sui mutui. Il numero che emerge è forse proprio per questo preoccupante: il 4,9% delle famiglie italiane che ha ottenuto credito per acquistare la casa, per una ragione o per l’altra si è trovata in difficoltà a pagare le rate. L’indagine - realizzata da Silvia Magri e Raffaella Pico della Banca d’Italia - dice che solo la Spagna, con un tasso di insolvenza del 5,5%, si trova in condizioni peggiori delle nostre. Seguono a distanza Irlanda (3,5%), Francia (3,3%), Gran Bretagna (2,3%), Finlandia (2,3%) e Olanda (1,1%). Quanto sono più forti i programmi pubblici per la casa, tanto più scende la percentuale degli insolventi. A rendere la situazione complessivamente meno grave è l’alta propensione delle famiglie italiane ad essere già proprietarie di case: il numero di quelle che ricorre al mutuo (il 13,5%) resta mediamente più bassa che gli altri Paesi europei. La ricerca sottolinea la tendenza delle banche ad aumentare il costo medio delle rate al crescere delle probabilità di insolvenza: «Per i mutui concessi fra il 2000 e il 2007, il differenziale del tasso di interesse fra le classi di famiglie meno rischiose e più rischiose ammontava allo 0,43%». In sostanza: ad un aumento del rischio dell’1% corrispondeva una crescita del tasso dello 0,21%. Il livello di insolvenza più alto si registra ovviamente fra i disoccupati (19%) e lavoratori a tempo (part-time 8,5%, precari genericamente intesi 7,9%). Il dato più drammatico riguarda però i single con figli: la ricerca stima che nel 2007 uno su dieci non è riuscito a pagare le rate. Il caso classico è quello dell’uomo diviso che da un giorno all’altro si trova a dover pagare, oltre al mutuo per la casa in cui restano moglie e figli, un assegno di mantenimento e un affitto per sé. In assenza dello Stato, per molti la salvezza è la rete di protezione delle rispettive famiglie: non è un caso se, suddivisi fra fasce di età, le insolvenze più alte si registrano fra i 45 e i 54 anni e fra gli over 65 (3,7%) contro il 2,8% degli under 35. La mancanza di una politica attiva sul tema della casa è dimostrato dal dato dei disoccupati insolventi: se da noi sono uno su cinque, in Francia sono uno su venti, il 5,4% del totale. Secondo una ricerca di Adusbef e Federconsumatori, a partire dal 2008 ci sarebbe stata una vera e propria esplosione dei pignoramenti immobiliari: del 31,8% nell’ultimo anno, addirittura del 69,35% rispetto a due anni fa. Quest’anno la quota più alta di pignoramenti si registra a Milano (+1.592, 4.885 dal 2008), seguita da Torino (quasi mille pignoramenti in più dell’anno precedente per un totale di 2.626), Roma (728, in tutto 2.703), Monza, Verona e Bergamo. La prima città del Sud nella classifica è Lecce: 365 su un totale, dal 2008, di oltre 1.500. Le due associazioni contano in tutto 28mila pignoramenti nel 2010 contro i 21mila del 2009 e i 20mila del 2008. Il Codacons lamenta le condizioni poste dalla moratoria firmata lo scorso 21 giugno dal ministero del Tesoro e dall’associazione delle banche: «Sono troppo limitative: mutuo non superiore a 250mila euro, indicatore Isee inferiore a 30mila, aumento della rata mensile di almeno il 20%». Inoltre «per i mutui a tasso fisso i fondi coprono la quota interessi sulla base dell’Irs al momento della sospensione dell’ammortamento e non di quello effettivamente applicato». Benché le famiglie italiane restino nel complesso solide, con un costo del denaro ancora ai minimi storici, il rischio alle porte per chi ha mutuo sulle spalle si chiama tasso variabile: lo ha detto, tre giorni fa, il governatore Mario Draghi. ALESSANDRO BARBERA *** Stefano Melon negli ultimi 3 anni ha dovuto lasciare a casa 4 operai. In azienda è rimasto un collaboratore e la moglie Dorina a occuparsi di amministrazione. La sua Fusionpress di Legnano stampa alluminio per motori elettrici. Qualche cliente lo fa vivacchiare ma in questi mesi è rimasto in piedi grazie alla moratoria sui debiti. «Per il piccolo artigiano è ancora dura pagare le rate del mutuo - ammette Melon - bisogna prolungarla...». Anche Roberto Bassoli ha usufruito della moratoria per la sua Dumas allestimenti di Cadelbosco (Reggio Emilia): «Su due prestiti da 250 mila euro e due leasing da 350 mila accesi dalla società operativa». Trenta dipendenti per 8,5 milioni di ricavi annui, la Dumas allestisce fiere e monta tensostrutture in tutta Europa. «Nel nostro caso - prosegue Bassoli - la sospensione ci ha permesso di fare un po’ di cassa in un periodo in cui non era facile ottenere nuovi fidi». «Le banche? Ogni volta devi presentarti con il cappello in mano». La Gramaglia di Ancona si occupa di trattamento acque, ramo piscine. Francesco Capoccia ci lavora con moglie, figlia e 15 addetti. «Molte imprese della zona hanno usato la moratoria, noi no». A pesare è piuttosto la crisi di liquidità perché «nessuno paga più nessuno», si lamenta Capoccia. «Chiediamo alle banche di aiutarci a ristrutturare i crediti che arrivano al 40% del fatturato. Oggi è la vera emergenza...». Piccole schegge dal paese profondo. C’è chi la moratoria sui debiti l’ha usata e vorrebbe prorogarla perché non ce la fa a ripartire; c’è chi l’ha utilizzata e si è ripreso; e chi non l’ha chiesta ma invoca le banche per garantire liquidità al sistema. Mentre la politica si consuma in guerre intestine, a fine gennaio scade la moratoria sui debiti bancari varata il 3 agosto 2009 con l’avviso comune Tesoro, Abi e associazioni imprenditoriali. Per 12 mesi le piccole imprese in difficoltà hanno potuto sospendere il pagamento della quota capitale delle rate di un mutuo, o di un leasing immobiliare, o allungare a 270 giorni le scadenze di un credito a termine per far fronte alle esigenze di cassa. L’ultima tabella del Tesoro, aggiornata al 30 settembre, racconta di un’adesione che sfiora le 180 mila imprese per 55 miliardi di debiti congelati. Una cifra enorme. Ma il consuntivo a fine dicembre sarà verosimilmente di 200 mila aziende (per 60 miliardi). Prorogare la moratoria non è possibile. Bankitalia impone agli istituti di credito di conteggiare i debiti successivi alla voce incagli, e poi sofferenze. Che fare, dunque? Confindustria e Abi hanno aperto un tavolo dove «stiamo studiando meccanismi di uscita morbida dalla moratoria per quelle imprese sane che hanno ancora problemi di tensione finanziaria», spiega Vincenzo Boccia, presidente della Piccola Industria di Confindustria. «Si lavora a meccanismi di riscadenzamento del debito». Inoltre «stiamo parlando con il Tesoro per elevare il fondo centrale di garanzia che ha funzionato bene nella crisi globale». La moratoria è stata un materasso efficace per un sistema industriale in affanno finanziario. Secondo un recente studio di Intesa San Paolo sui bilanci 2009, quasi il 40% delle imprese italiane ha chiuso l’anno in perdita e il 20% non è stato in grado di generare flussi di cassa. L’epicentro è nel made in Italy tradizionale (tessile, moda, beni per la casa) e nella subfornitura metalmeccanica dove la struttura patrimoniale è più fragile. Non basta. La quota di imprese con fatturato in calo è quasi raddoppiata fra il 2008 e il 2009: dal 44 all’84 per cento. Meno redditività e imprese mediamente sottocapitalizzate alle prese con un forte calo di fatturato che ha reso il costo del credito insostenibile: eccolo il cortocircuito. Per questo posticipare semplicemente il mutuo rischia di essere un palliativo. Serve una nuova stagione di finanza d’impresa. In Italia, infatti, il credito bancario è stato per decenni indispensabile nel compensare un capitale di rischio inevitabilmente debole: molte macerie e tanti impianti industriali da ricostruire, una coesione sociale da ristabilire e una funzione strategica a ridosso della cortina di ferro. «Ma dopo la grande ristrutturazione della media impresa italiana seguita all’abbandono della lira, la crisi finanziaria dimostra che il debito delle aziende dev’essere oggetto di ripensamento perché rischia di essere il tallone di Achille di Eurolandia», spiegano gli economisti de Lavoce.info, Stefano Firpo e Luigi Maino. «Gli equilibri finanziari delle Pmi non possono essere risolti per sempre da banche con sofferenze in crescita (a settembre arrivate a 73 miliardi di euro, 18 in più rispetto al pari periodo 2009, ndr) e condizionate da obiettivi ‘micro’ di stabilità finanziaria». Su tutti Basilea III, che entrerà in vigore tra il 2013 e il 2019. Ma si sa che quando una regola è fissata, l’economia tende ad uniformarsi subito. «Meno debito e più capitale proprio: è questa la stella polare dei prossimi anni», conferma Andrea Montanino, il dirigente generale del Tesoro a cui Tremonti ha affidato i progetti speciali: Banca Sud, moratoria e Fondo d’investimento Pmi. «Il tempo della moratoria è stato sufficientemente lungo. Adesso è il momento di patrimonializzare le imprese». Magari diversificando le forme di finanziamento, rivolgendosi al private equity e agli strumenti ibridi di capitale. Così in ritardo, in un paese troppo bancocentrico. MARCO ALFIERI