MARCO VELLI, La Stampa 8/12/2010, pagina 32, 8 dicembre 2010
La sonda che “cadrà” nel Sole - La Nasa ha finalmente dato il via a una delle missioni più complesse della storia dell’ esplorazione spaziale: un incontro ravvicinato con la nostra stella, il Sole, per esplorare le origini dell’attività magnetica, della corona solare e del vento supersonico che arriva fino a noi
La sonda che “cadrà” nel Sole - La Nasa ha finalmente dato il via a una delle missioni più complesse della storia dell’ esplorazione spaziale: un incontro ravvicinato con la nostra stella, il Sole, per esplorare le origini dell’attività magnetica, della corona solare e del vento supersonico che arriva fino a noi. La sonda «Solar Probe Plus» verrà lanciata nel 2018 e raggiungerà il suo obiettivo - penetrare la corona a 6 milioni di chilometri dalla superficie - dopo una serie di incontri multipli con il pianeta Venere. A ogni passaggio il pianeta rallenterà la sonda, consentendole così di «cadere» sempre più vicino al Sole. L’obiettivo numero uno del «Solar Probe Plus» è capire come nasce l’eliosfera, la bolla di gas completamente ionizzato ed estremamente caldo - noto in gergo come plasma - che si espande supersonicamente dalla corona solare e nella quale sono immersi tutti i pianeti del nostro sistema, compresa la Terra. Se esistiamo sul nostro pianeta, è perché il campo magnetico terrestre ci protegge dal vento solare. Periodicamente, seguendo il ciclo delle macchie solari, ci colpiscono tempeste provenienti dalla nostra stella. Queste tempeste magnetiche causano sciami di particelle di alta energia - estremamente ionizzanti e pericolose - che danneggiano satelliti, perturbano fortemente il campo magnetico terrestre e potrebbero essere letali per gli astronauti inviati verso la Luna o altri pianeti come Marte. Le variazioni del campo magnetico terrestre dovute alle tempeste, inoltre, causano correnti indotte che possono bruciare centrali di energia elettrica di grande potenza. Temperature variabili Il plasma della corona solare si trova a una temperatura superiore ai 2 milioni di gradi, nonostante la fotosfera - vale a dire la superficie del Sole che vediamo normalmente - abbia una temperatura di «soli» 6 mila gradi. Ma che cos’è che scalda la corona? La correlazione del vento con le tempeste magnetiche indica nel campo magnetico una delle cause principali e tuttavia le osservazioni che si fanno lontano dal Sole non chiariscono l’origine della corona. Per intenderci, finora abbiamo misurato il vento solare, che viaggia a circa 700 chilometri al secondo, solo da distanze ragguardevoli: la minima distanza dal Sole a cui sono arrivati i satelliti corrisponde all’orbita di Mercurio, circa un terzo della distanza Terra-Sole, vale a dire 50 milioni di chilometri. Da queste distanze non possiamo osservare come funziona il motore che crea la spinta del vento, perché l’evoluzione dalla corona fino a noi coinvolge fenomeni come la turbolenza magnetica ed è irreversibile. «Solar Probe Plus», quindi, rimedierà, entrando nella corona stessa, e osserverà direttamente i campi magnetici ed elettrici che scaldano la corona ed accelerano il vento solare. «Solar Probe Plus» fa parte di un programma di esplorazione dell’eliosfera - chiamato «Living With a Star» - al quale partecipano anche l’ente spaziale europeo Esa e quello italiano Asi e che comprende «Solar Orbiter», una missione europea che potremmo definire gemella di quella a stelle e strisce. «Solar Orbiter» si avvicinerà fino a 70 «raggi solari» (appena entro l’orbita di Mercurio) e non soltanto misurerà le particelle del vento solare «in situ», ma porterà a bordo anche telescopi che osservano il Sole nel visibile, nell’ultravioletto e nei raggi X, oltre a un coronografo, «Metis», di fabbricazione italiana. «Solar Orbiter», che partirà anch’esso nel periodo 2017-2018, fornirà il «contesto» per «Solar Probe Plus»: quest’ultimo, viaggiando più velocemente e penetrando direttamente nella corona solare avrà bisogno, perché si sappia che regioni sta attraversando, proprio delle osservazioni della missione europea. Le sfide tecnologiche per «Solar Probe Plus», comunque, sono molte, ma si riassumono nel seguente problema: a una distanza di 10 raggi solari le parti della sonda esposte al Sole arriveranno a temperature dell’ordine di 6 mila gradi, mentre la strumentazione che misura il gas ionizzato emesso dalla nostra stella «lavora» a temperatura ambiente. Di conseguenza occorre un «parasole» - uno scudo termico - che nasconda gli strumenti, i quali, però, devono poter misurare comunque le particelle dell’ambiente coronale. Questo processo avviene grazie al moto che la sonda avrà al perielio, quasi 200 chilometri al secondo, facendone l’oggetto più veloce mai lanciato dall’ uomo: così il gas della corona intercetta gli strumenti provenendo di fianco (come le gocce d’acqua cadono inclinate sui vetri di un’auto in corsa). D’altra parte, anche l’energia per effettuare le misurazioni proviene dal Sole grazie a pannelli fotovoltaici, che anch’essi, dovranno resistere a un ambiente ostile. Per non parlare, poi, di possibili effetti dovuti a fenomeni imprevisti, come gli impatti con grani di polvere. I campi magnetici Inviare «Solar Probe» verso il Sole, quindi, permetterà di capire come i campi magnetici riescano a creare quel gas caldissimo e ionizzato che è la corona. Permetterà di capire anche l’origine delle tempeste magnetiche solari e, forse, di iniziare a prevederle, misura essenziale per proteggere i satelliti e per progettare potenziali esplorazioni umane nello spazio interplanetario. Ma queste due missioni sono fondamentali anche per l’astrofisica: fenomeni quali l’accelerazione delle particelle, la riconnessione magnetica e la formazione di onde d’urto sono universali e avvengono in ambienti estremi quali le supernove, i «cluster» di galassie e le atmosfere delle stelle di neutroni. «Probe» indagherà questi fenomeni, fornendo una finestra unica per la loro comprensione.