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 2010  dicembre 06 Lunedì calendario

MONICA FRASSONI, UNA "GURU" ITALIANA PER L’ECONOMIA VERDE

Monica Frassoni è copresidente del Partito europeo dei Verdi, formazione per la quale era stata eurodeputata fino al 2009 con un lungo percorso iniziato negli anni ’90 a fianco del leader verede europeo Daniel CohnBendit.
Nata a Veracruz in Messico 47 anni fa, cresciuta a Brescia e quindi insediatasi a Bruxelles, sta solo ora "affacciandosi" sulla politica italiana: il 10 dicembre a Roma sarà protagonista di un evento culturalpolitico durante il quale annuncerà un’agenda di 10 punti, dall’energia ai trasporti, valida per una proposta elettorale. Già a Milano ha partecipato alla raccolta di firme per diversi referendum su mobilità e ambiente. A Bruxelles si è mobilitata per iniziative di respiro europeo: il 9 dicembre condurrà un convegno su territorio e legalità cui parteciperà anche Don Ciotti, fondatore del movimento Libera.

Sono le cinque del mattino e la voce del receptionist è un poco appannata. Stanza 1610, Mrs Frassoni, please. La rivista americana Foreign Policy ha pubblicato proprio adesso la sua annuale classifica 100 top global thinkers, l’elenco dei cento uomini (e delle donne, naturalmente) che in questo 2010 hanno dato con il loro pensiero un contributo rilevante al progresso del mondo. Al primo posto c’è Warren Buffet, il miliardario americano che guida la più grande fondazione umanitaria del mondo; al secondo il fondatore di Microsoft Bill Gates, diventato con la moglie Melinda il capofila della filantropia globale; al terzo il presidente del Fondo Monetario Internazionale Dominique StraussKahn. E al trentaduesimo, subito dopo il premier britannico David Cameron e subito prima dell’economista francesce Jacques Attali, c’è Monica Frassoni, italiana, presidente (insieme al belga Philippe Lambert) del Partito Europeo dei Verdi.
Alle cinque del mattino Mrs Frassoni è invece freschissima. Sul comodino della sua stanza d’albergo ha i libri che ha letto in aereo, Mafia Export di Francesco Forgione e World on the Edge di Lester Brown. È appena sbarcata a Cancun, là dove resterà fino al 10 dicembre per la Conferenza sul clima. L’anno dopo il deludente risultato del vertice di Copenhagen e l’anno prima di quello di Durban, ci sarà molto da fare: i rappresentanti di 150 Paesi dovranno decidere di ridurre le emissioni di un 30 per cento, e l’Italia è, insieme alla Polonia, il fanalino di coda. Il viaggio è stato lunghissimo, dilatato da una tappa inattesa a Filadelfia, e così, mentre in Italia è mezzogiorno e tutti la chiamano per complimenti e saluti, primo Carlin Petrini, Monica risponde allegra al telefono in quella che per lei è invece una torrida alba messicana. Racconta: «Sono molto felice, perché questo riconoscimento mette insieme le tre cose sulle quali mi sono spesa per tutta la vita: le donne, l’ambiente e l’Europa. Non ne sapevo proprio niente finché non ho ricevuto un email dalla direttrice della rivista. Ho chiamato subito le mie amiche americane, perché Foreign Policy la conoscevo così, vagamente. E quelle mi hanno detto: ma sei matta, è una cosa fantastica!».
Bellissima e anche incredibile. Mentre il mondo s’inchina davanti alla capacità di guardare avanti di questa signora, che immagina un New Deal verde per il futuro dell’Europa, in Italia in molti si sono chiesti: Monica chi? Cominciamo allora dall’inizio. Monica è nata il 10 settembre del 1963 a Veracruz, prima di tre fratelli. I suoi genitori sono italiani ma si sono conosciuti in Messico: la madre figlia del maggiordomo dell’ambasciatore italiano, il padre dipendente della Falck. Quando lei ha 5 anni la famiglia rientra in Italia e si stabilisce là dove la porta il lavoro del padre, a Brescia. Monica cresce a Mompiano, frequenta la parrocchia di San Lorenzo dove apprezza l’impegno sociale più che la dimensione religiosa, a 18 anni si iscrive alla Federazione Giovanile Repubblicana (perché «non era comunista ed era di sinistra»), poi si trasferisce a Firenze per l’Università, facoltà di Scienze Politiche. La sua formazione ruota intorno al Movimento Federalista Europeo; conosce e ne è folgorata Altiero Spinelli; ha in mente quello che pochi, allora, immaginano, l’Europa unita, e nell’87 trasloca a Bruxelles per fare la segretaria della Gioventù Federalista Europea. Sarà questa, lontana dai confini nazionali, la sua vera scuola di formazione politica.
Fino all’89 l’orizzonte di Monica è solo l’Europa. Ma quando al parlamento europeo arrivano Adelaide Aglietta, Alexander Langer, il capofila dei pretori d’assalto Gianfranco Amendola, eletti nei partiti verdi italiani, lei, esperta di federalismo, accetta di lavorare con loro e diventa funzionario della Comunità. A 36 anni accetta anche la candidatura che le offre il partito verde del Belgio e ricorda le motivazioni: «Perché sei italiana, sei una donna e conosci l’Europa». Le stesse ragioni, che, in Italia, l’avrebbero penalizzata. È la prima italiana eletta all’estero e sarà compagna di banco di Daniel CohnBendit. Nel 2004 sarà eletta di nuovo al Parlamento europeo, candidata stavolta dai Verdi italiani. Dall’ottobre di un anno fa è la copresidente del Partito Verde Europeo. Ma non è per i suoi incarichi politici che Monica oggi viene issata sul podio da Foreign Policy. Il riconoscimento è al suo pensiero sull’importanza della sostenibilità nella crescita economica e ai suoi sforzi per trasformare l’ecologia politica in un tema che esca dalla nicchia ristretta in cui ancora è rinchiuso e diventi invece la linea guida della programmazione economica.
Insieme alla Frassoni, la prestigiosa rivista americana premia altre tre donne: Cécile Duflot, la presidente dei verdi francesi che ha fatto balzare il partito al 16 per cento; Renate Kunast, capogruppo al Bundestag dei verdi tedeschi, protagonisti di un exploit clamoroso che li ha portati ad aumentare di dieci punti in una sola tornata la loro forza elettorale; Marina Silva, il terzo incomodo delle elezioni presidenziali in Brasile, l’ecologista che ha incassato venti milioni di voti. Scrive Foreign Policy: «Ciò che queste donne hanno in comune non è solo l’ambizione politica, ma anche la loro convinzione che l’ambiente sia il tema elettorale del futuro. L’economia va male? Si creino posti di lavoro verdi. Si teme di non riuscire a nutrire un mondo affamato di risorse? È ora di innovare con nuove tecnologie verdi». Secondo le quattro signore, insomma, il circolo virtuoso parte dal verde: l’economia va meglio e si vincono le elezioni.
Ma perché in Europa la Green Economy conquista i consensi dell’elettorato e questo non accade in Italia? Perché all’estero Frassoni diventa un cult e qui non è tra i pensatori dall’influenza riconosciuta? La questione è soprattutto culturale: «Da noi spiega Frassoni si diventa noti solo se si va in televisione e poi c’è un’attenzione molto limitata alla tematica. La tivù belga e quella francese, su dieci spot pubblicitari, ne mandano in onda cinque che invitano a comprare i prodotti per la loro sostenibilità. Il detersivo migliore è quello che inquina di meno, l’auto più ricercata è quella più verde». Non solo: la debolezza è anche a livello di rappresentanza: «In Italia, chi rappresenta l’industria proviene da settori molto tradizionali, noi siamo all’avanguardia solo nel frenare un futuro più pulito. La lobby degli industriali non è virtuosa, perché chi lavora nel settore delle energie rinnovabili non ha peso».
Analisi, ma anche storie di vita: «A Bruxelles, quando ho cambiato casa, per prima cosa ho ricevuto la visita di un tecnico dell’amministrazione il cui compito era quello di suggerire cosa fare per risparmiare energia. In Germania sono nati 140 mila posti di lavoro solo per la coibentazione delle case. Anche in Italia il fotovoltaico ha aumentato le richieste di lavoro del 15 per cento, è un settore vitale, ma niente affatto rappresentato». Scegliere di governare i cambiamenti climatici, mettere la sostenibilità al primo posto, immaginare un’economia basata sull’ecologia, sono scommesse impegnative, che rischiano di portare a una società molto diversa da quella cui siamo abituati. Un mondo più pulito, un mondo attento agli sprechi, non sarà un mondo più triste? «Io credo che proprio in questo stia il salto di qualità: io posso vivere meglio nel rispetto dell’ambiente. Sono scelte importanti, politiche e culturali: sono più felice se sto in coda in macchina per andare a passare il pomeriggio al centro commerciale, o se vado con i mezzi pubblici a fare una passeggiata nel verde?». Argomenti che hanno molto a che fare con una visione femminile del mondo: «Quella della conservazione e dell’attenzione all’uso delle risorse, è un’idea di economia molto femminile. E forse questa è una delle altre ragioni per cui in Italia fa così fatica a diventare il pensiero dominante».
Da donna, Monica Frassoni confessa di sentirsi spesso umiliata: «L’immagine della donna italiana all’estero è terribile. Quando al Parlamento europeo sbarcano le deputate italiane, le altre le guardano e si chiedono: ma dove pensano di andare?». E la colpa, secondo la donna italiana che vorrebbe l’ecologia politica al comando del XXI secolo, è anche delle donne: «Hanno smesso di lottare. All’estero perfino l’organizzazione del lavoro politico ha dovuto fare i conti con le esigenze della vita, che poi sono innanzitutto le esigenze delle donne. Uomini e donne sanno che c’è anche una vita familiare che va rispettata; da noi le donne che comandano sono state cooptate dagli uomini e sono uguali a loro. L’esempio più illuminante è la Marcegaglia: è una donna, ma non è portatrice di nuovi valori». Non è stanca dell’Europa, Monica; però è pronta: «La mia ambizione più grande è dare un contributo al cambiamento del nostro paese. Chi ama l’Italia è affranto da quando accade da noi».