ANDREA GRECO, la Repubblica Affari&finanza 6/12/2010, 6 dicembre 2010
SCARONI E PUTIN LA "PENALE" SUL GAS IL RETROSCENA
Il rompicapo russo per l’Eni pare destinato a non comporsi mai, mostra sempre nuove facce. A togliere il buonumore ai vertici del gruppo fino al 2005 erano le manovre per rinegoziare le forniture di gas all’Italia, che costarono la conferma a Vittorio Mincato. Il successore Paolo Scaroni, a fine 2006, siglò i nuovi patti trentennali, ma pochi mesi dopo iniziò ad avviarsi la grande recessione mondiale.E fu la grande recessione che si occupò di trasformare quei patti in un capestro per la rendita metanifera italiana. E se a tre anni dalla crisi i gasdotti sembrano superati dalla tecnologia e dai comportamenti degli attori, i russi con la "complicità" di Silvio Berlusconi – rivelati dai dispacci diffusi da Wikileaks – hanno lanciato il Cane a sei zampe nel grandioso progetto South Stream, che costerà una ventina di miliardi di dollari e rischia di avvantaggiare solo la geopolitica di Mosca.
Di certo, dopo la crisi 20072009, i metanodotti sembrano ferrivecchi da museo, superati dal meccanismo navi metaniererigassificatori. In un approfondimento del ricercatore Paolo Natali, pubblicato mesi fa da Agi Energia (editore la stessa Eni) si leggeva: «La sempre maggior presenza di capacità di importazione tramite Gnl potrebbe essere tra le cause principali della progressiva diminuzione delle quantità di gas contrattate a lungo termine, che si prevede diminuirà di un terzo entro il 2020, e di due terzi entro il 2030». Poco curante delle condizioni del mercato, Vladimir Putin dopo la crisi russoucraina (2007) impose nell’agenda strategica la costruzione del gasdotto sotto il Mar Nero, per aggirare la frontiera ucraina. È vero, come ricordano all’Eni, che le infrastrutture vanno realizzate e pensate sui tempi lunghi, non sulle contingenze; e che il gas russo serve all’Italia come il sangue, dato che costituisce un terzo del fabbisogno nazionale. Del pari, è un fatto – inedito – che l’Eni ha da poco pagato una penale da 3 miliardi sul gas russo non ritirato perché esoso rispetto ai prezzi di mercato; com’è un fatto che il malcelato scetticismo dei manager Eni, il rinnovo del cda del gruppo tra un semestre e l’instabilità politica in Italia, sono elementi che inducono a soppesare bene parole e azioni. «Ci vorranno almeno altri 67 mesi per arrivare a definire le caratteristiche tecniche dell’opera», ha detto Scaroni giorni fa, e ha negato che i costi, finora stimati in 15,5 miliardi di dollari, stiano lievitando. Gazprom, socio paritetico degli italiani nel consorzio South Stream, avrebbe desiderato leggere il piano industriale al più tardi entro tre mesi. Dovrà invece pazientare fino all’estate prossima, frattanto il tempo potrebbe rivelarsi medico per l’Eni. A Mosca c’è qualche disappunto su quella che appare un po’ una melina: tanto più se si considera che nel mentre gli italiani hanno ceduto il 10% del consorzio a Edf, un altro 10% negoziano per venderlo a Wintershall (della tedesca Basf), e in Russia c’è chi scommette che Eni prossimamente scenderà ancora. È più incerto, invece, l’assunto che ai cali di quota nel consorzio corrisponderà una riduzione dei diritti di commercializzazione dei 63 miliardi di metri cubi annui veicolati dalla condotta, lunga 3.200 chilometri. L’Eni ha ottenuto quasi la metà dei diritti, ed è poco intenzionata a scendere proporzionalmente, altrimenti in azienda si ritiene che il progetto perda ulteriore appeal industriale.
Come spesso accade per le cose russe ci sono incognite e incertezze, e come già in passato l’azienda fondata da Enrico Mattei si trova nella classica posizione tra incudine e martello. Anni addietro dovette subire, obtorto collo, le pressioni degli accoliti di Berlusconi, e sottoscrivere, a Vienna a metà 2005, una prima bozza del nuovo accordo di fornitura, con cui l’Eni graziosamente lasciava circa 3 miliardi di metri cubi l’anno di gas – per un margine di quasi 300 milioni di euro – alla Centrex, società viennese partecipata da Gazprom, da Bruno Mentasti (amico intimo del Cavaliere e suo passato socio nell’esperienza di Tele+) e da altri soci misteriosi riparati da società schermo di Limassol e di Vaduz (Cipro e Lichtenstein sono i paradisi fiscali preferiti dai russi). Gazprom cercò di spiegare all’epoca la sua ambizione di «scendere nella catena del valore», peraltro legittima dato che chi fornisce le materie prime energetiche può guadagnare molto di più se riesce a vendere ai clienti finali. Più difficile, allora come oggi, comprendere perché mai i russi avrebbero dovuto accompagnarsi a un piccolo socio milanese che non aveva alcuna esperienza e competenza nel settore. Tanto che l’Antitrust italiano e i sindaci controllori dentro l’Eni riuscirono a bloccare quell’accordo, azzoppato dalla sua totale assenza di vantaggi per il Cane a sei zampe.
Dopo il cambio del governo (da Berlusconi a Romano Prodi) e dell’ad (da Mincato a Scaroni), fu siglato un nuovo patto per le forniture. Col senno del poi, finora non è certo stato un buon affare. Non tanto perché i russi hanno effettivamente trattenuto, per la vendita diretta – ma senza più Mentasti o altri "amici", apparentemente – quei tre miliardi di metri cubi. Piuttosto perché i contratti trentennali sono oggi di fatto fuori mercato e le loro penali stanno mettendo in seria difficoltà l’Eni e le altre società europee importatrici. In Occidente la domanda di gas è calata del 10% circa. Per questi motivi i prezzi sul mercato spot, da cui dipendono le forniture del Gnl via nave, sono caduti e attualmente si stima che costino tra il 10% e il 30% meno dei prezzi "bloccati" di chi commercializza via tubo.
In pratica – e qui si arriva all’aspetto industrialfinanziario dei guai – l’Eni si ritrova con nuvole gigantesche di gas che non ha convenienza a vendere. Ma Gazprom ha diritto a cederlo lo stesso, oppure di essere rimborsata. Le normali clausole take or pay, difatti, impegnano l’acquirente a ritirare un quantitativo minimo del gas ai prezzi convenuti, o a versare una salata cauzione – fino all’80% del prezzo – se non si acquista. Secondo fonti ritenute attendibili, Eni qualche mese fa ha negoziato a Mosca una penale una tantum da 3 miliardi. Denari versati per il gas che a questi prezzi non si può vendere, nella speranza di ritirarne di più in futuro e compensare la cifra. La somma dovrebbe comparire nel bilancio 2010, come partita a credito verso Gazprom.