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 2010  dicembre 06 Lunedì calendario

UNO SQUALO TERRORIZZA SHARM. MORTE DAVANTI AL RESORT —

Avevano detto: l’abbiamo preso, tranquilli, tuffatevi. E che sollievo: sotto Natale, con Sharm el-Sheikh piena al 90 per cento, le immersioni nella barriera corallina garantite fino alla Befana, chiudere le spiagge non ci voleva proprio. Così George Maged, il ministro dell’Ambiente egiziano, giovedì ci aveva messo la faccia, aveva chiamato la stampa e mostrato trionfante le foto. Un largo sorriso: «Ecco lo squalo che negli ultimi giorni ha attaccato due ucraine e due russe. Un caso isolato. Siamo tranquilli e ottimisti, ora. Lo imbalsameremo, lo mostreremo ai turisti. Le spiagge sono riaperte...». Poche righe d’agenzia, un trafiletto sui giornali del Cairo, dimenticando qual che anche i pescatori del Mar Rosso sanno: «Il momento peggiore è quando pensi che lo squalo se ne sia andato — spiegano all’Osservatorio marino di Eilat —. È allora che torna».
Il vero colpevole è tornato ieri. A Nama Bay, la baia dei grandi alberghi di Sharm. Il terzo attacco. E stavolta ha ucciso. Due morsi. Via il braccio e la gamba d’una settantenne tedesca che faceva snorkeling, dissanguata in pochi secondi. E via l’illusione di salvare la stagione. Shark el-Sheikh, dicono adesso: shark come squalo. Il killer è sempre lui. Un Longimanus di due metri e mezzo. Segni particolari: la pinna caudale mozzata, probabilmente dall’elica d’una nave, come hanno raccontato i feriti dei primi due assalti (quelli che possono parlare: due di loro, ancora gravi, hanno perso una gamba e un braccio) e come racconta il video girato da un sub svizzero, venerdì, nelle acque di Ras Mohammed. E i due pescecani uccisi nei giorni scorsi? «Innocenti», spiegano a Hurgada gli ambientalisti di una Ong locale, l’Hepca: «Ma che ci facevano così vicini alle spiagge? Di solito stanno in acque profonde». «Mai vista una cosa simile — giura Nagy Arafat, general manager d’un cinque stelle di Nama Bay —: forse, a spingere tanti squali a riva, c’entra la pesca selvaggia che in questi anni ha impoverito il mare». Forse c’entrano le carcasse di montone che a novembre, dopo la Festa musulmana del sacrificio, sono state buttate in mare. Forse c’entra la spregiudicatezza di qualche albergatore: nonostante i divieti, tutte le vittime s’erano immerse con sacchettini di cibo, gentilmente forniti per pasturare i pesci (e ottimi per attirare l’imprevisto divoratore).
Le autorità egiziane sono imbarazzate: devono spiegare perché hanno riaperto le spiagge con tanta fretta. C’è stata una riunione d’emergenza del Par
co subacqueo del Sinai. E al ministro del Turismo, Zoheir Garan, non è rimasto che sospendere di nuovo «tutte le attività», consigliando di fare il bagno in piscina. E ammettendo che gli squali nel Mar Rosso non sono una novità: nel 2009, hanno ucciso una francese; nel 2004, un sub che puliva i piloni d’un pontile; nel ’96, fu azzannato un inglese. Anche a Eilat e ad Aqaba, molto più a nord di Sharm, le statistiche parlano d’un attacco «non mortale» ogni due anni: «Quando i pescecani colpiscono, gli egiziani nascondono tutto dietro una cortina di fumo — accusa Aviv Levy, che dirige il parco subacqueo israeliano —. Stavolta, c’è qualcosa di strano nel comportamento delle pinne bianche. Hanno sensori sofisticati per captare il movimento, il sangue della preda: di solito, non mangiano umani vivi. Se ne trovano uno, lo "assaggiano" con un morso e poi se ne vanno. Tanto che molte vittime muoiono dissanguate o per attacchi di panico e di cuore: casomai vengono divorate dopo. Qui, invece, gli squali mordono due o tre volte. Come se volessero sfamarsi».
Con le fauci, sul Sinai temono le disdette. Che arriveranno: solo dall’Italia, ogni anno prenotano a Sharm dai 300 ai 400 mila aspiranti sub. Quando ci furono gli attentati qaedisti, 2005, gli hotel rimasero semivuoti per tre mesi. Mubarak mandò più esercito, aumentò i controlli, e oggi non c’è nemmeno una lapide a ricordare le vittime. Ieri è arrivata una squadra d’esperti americani: organizzeranno una grande caccia a «pinna mozza», piazzeranno boe elettroniche che lancino ultrasuoni cacciasquali, come in Australia. «Basterà a tenere lontano il pericolo — dice un albergatore —: basterà a riavvicinare i turisti?».
Francesco Battistini