Federico Fubini, Corriere della Sera 06/12/2010, 6 dicembre 2010
«UNA MANOVRA BIS PER L’ITALIA? NON SERVE, MERCATI PERMETTENDO» — «È
una specie di Catch 22», dice Pier Carlo Padoan. Come capita a molti nella sua professione, il capoeconomista dell’Ocse scomoda il romanzo di guerra di Joseph Heller come metafora della vittoria apparentemente impossibile: «Nel momento in cui si parla di meccanismo di ristrutturazione del debito si innescano effetti perversi. C’è una stretta connessione tra debito sovrano e banche e siamo in mezzo a un’emergenza che richiede misure difficili da avviare in una situazione così». Davvero non ci sono buone notizie all’orizzonte? «In parte sì. Malgrado tutto, e a parte le economie deboli, il resto dell’Europa sta crescendo. Per ora non si prevede una convergenza fra il Nord che va forte e il Sud che invece va piano, ma il tono generale dell’economia in Europa è più favorevole di quanto non si pensi».
Si tratta dunque di aspettare che l’alta marea della ripresa sollevi tutte le barche, anche le più fragili?
«La prospettiva di una ripresa dell’economia reale non è lontanissima e si sta consolidando. Nel frattempo ci sono rischi nell’immediato che vanno gestiti, per aiutare la ripresa a rafforzarsi, permettere a chi sta peggio di beneficiarne e rafforzare l’architettura di Eurolandia».
Romano Prodi osserva che la Germania frena i salvataggi perché si ritiene a torto penalizzata dall’euro.
«È nell’interesse di tutti, Germania compresa, trovare una soluzione condivisa. Non esistono soluzioni di singoli Paesi che alla lunga funzionino, nessun Paese può pensare di essere immune da problemi. La Germania non ha un interesse oggettivo a fragilizzare l’euro e le banche tedesche sono parte integrante del sistema economico dell’area. A quelle banche serve un sistema sano. La Germania ha bisogno dell’euro e l’euro ha bisogno della Germania».
Perché allora i tedeschi ne dubitano?
«È un problema di tutti i Paesi. I governi rispondono a quello che percepiscono come il loro interesse elettorale. Pensiamo alla direttiva europea sui servizi di qualche anno fa: molti governi in Europa la bocciarono per motivi non di interesse oggettivo ma di consenso interno. Qui la differenza è che la risposta dei mercati è drammatica».
Pensa che gli interventi della Bce abbiano riportato un grado di stabilità accettabile?
«Bisogna fare ancora dei passi avanti. Verso la fine della settimana i mercati sono stati calmati dagli annunci e dagli interventi della Bce, ma questo non risolve i problemi. Non si tratta di tirar fuori un coniglio dal cappello, ma di darsi una politica europea coerente. I mercati hanno bisogno di essere guidati dalla politica e lo stanno domandando, perché reagiscono all’assenza di politica». Che linea propone? «Mettiamo insieme i pezzi che già ci sono: liberalizzazioni nei Paesi più forti, compresa la Germania, e un deciso passo avanti nelle riforme che sono state decise per esempio in Spagna, che prima sembrava incerta. Anche i Paesi con il bilancio più a posto ma a bassa crescita — qui mi riferisco all’Italia — hanno bisogno di liberalizzazioni che la scuotano da questo periodo di bassa crescita che si trascina da anni». L’instabilità politica in questa fase può nuocere? «Nei momenti di crisi dà sempre fastidio. Tuttavia, se si guardano i numeri, la correzione che l’Italia deve fare per stabilizzare il debito è più contenuta rispetto a quella di Paesi in teoria più virtuosi».
Dunque non serve una manovra-bis per rassicurare i mercati?
«Il sentiero di aggiustamento italiano già annunciato è quello necessario, non vediamo il bisogno di misure aggiuntive. Ma dipende anche dal sentimento del mercato che, essendo molto nervoso, può guardare ai Paesi a più alto debito. E questo li rende vulnerabili».
Federico Fubini