Costantino Muscau, Corriere della Sera 06/12/2010, 6 dicembre 2010
INNAMORATI DEL VENTO E DELLA LIBERTA’. E LI CHIAMANO SPORTIVI DELLA DOMENICA
«Niente altro, se non qualche carro, qualche ciclista che di lontano pareva un uomo che corresse a piedi con una leggerezza da angeli»: sono parole di Corrado Alvaro. Mai, però, il grande scrittore calabrese avrebbe immaginato che proprio sulle sue strade la morte sarebbe scesa in modo così brutale su quella «leggerezza da angeli» indifesi.
Perché è stata una strage di indifesi, quella di ieri mattina vicino a Lamezia Terme. Di ciclisti smarriti nel vento. Ciclisti assetati di cielo e di monti. Ciclisti che tentano di acchiappare le nuvole. Ciclisti che pedalano per rabbia e per amore (come Sante Pollastri de «Il bandito e il campione»), amore per la bici e per la natura, rabbia contro lo stress e la banalità quotidiani. Ma anche uomini, donne, giovani e, in numero crescente, anziani che, spesso, cercano di forzare i limiti dell’età e delle regole; che vogliono essere più forti della fatica, affrontata con un certo masochismo; che, magari, provano a trovare in strada quella libertà e spensieratezza che tra le mura domestiche sentono limitate o svanite.
Che resistenza possono opporre i 7-8-10 chili di un telaio in ferro, alluminio o titanio contro le tonnellate di massa di un’auto lanciata a tutta velocità? Che male possono fare a un automobilista della domenica, sia esso su un Suv o su un’utilitaria, o su una Mercedes, sia esso drogato, ubriaco, o solo infastidito da questi, che, troppo sbrigativamente e con una punta di disprezzo, vengono bollati «ciclisti della domenica»?
È un esercito di pedalatori che sciama verso il Ticino o l’abbazia di Morimondo, intorno a Milano; lungo le coste di Anzio e della Calabria; che si arrampica sulle Dolomiti o la Presolana; che va su e giù per i colli dell’Oltrepò, della Toscana o delle Marche, della Nurra in Sardegna. Che sputa e impreca magari su un cavalcavia, che si inebria gettandosi dal Ghisallo o dallo Stelvio a «tomba aperta» (qualcuno a occhi chiusi e con le mani lontane dai freni). Che si ritaglia per gli allenamenti l’intervallo per il pranzo. Come fa, a Milano, il ben noto gruppo Manetta, che quasi tutti i giorni parte, verso mezzogiorno, dalla Conca Fallata, sul Naviglio Pavese, e nelle strade della provincia raccoglie chi si vuole aggregare fino ad arrivare a contare la domenica 70 unità. E in questo pianeta di appassionati non manca chi appena esce dal lavoro, nella bella stagione, monta e pedala, sfruttando le ore di luce; e chi sistema la bici da corsa, pagata migliaia di euro, in camera da letto e la cura, talvolta, più della moglie.
Le gare per amatori, dalla «Gimondi» alla «Maratona delle Dolomiti», dalla «Pinarello» alla «Fausto Coppi» richiamano migliaia di appassionati. La «Nove Colli», la corsa che dal 1971 si snoda lungo l’Appennino romagnolo, ha già chiuso le iscrizioni per la manifestazione del prossimo anno (domenica 22 maggio 2011). La società organizzatrice (la Fausto Coppi, appunto, che è succeduta alla Pantani) ha comunicato che i partecipanti sono ormai troppi: 10.349 (9.895 gli uomini, 454 donne). Una folla di ex campioni professionisti e dilettanti, dilettanti allo sbaraglio, amatori o semplici appassionati che vengono da ogni dove e danno l’idea di un fenomeno che va al di là dell’immaginabile. Tra le regioni di provenienza di questo esercito su «birota» (come la Chiesa ha tradotto in latino la parola bici), spicca l’Emilia Romagna (1.806), seguita da Lombardia (1.567), Lazio (1.166), Toscana (907), Campania (797). Tra gli stranieri 171 sono svizzeri, 164 i tedeschi, 100 i belgi, 66 gli inglesi e 63 gli svedesi. Ma c’è anche una massa («critica») che — canterebbe Riccardo Cocciante — «passeggia in bicicletta, pedala senza fretta la domenica mattina». È per questo che ieri via sms o via Internet, questo mondo che «ha voluto la bici e pedala» era costernato, sconvolto, incredulo. In un’identificazione collettiva di dolore si sentivano espressioni del tipo: «Ci hanno abbattuto come birilli, quell’automobilista ha fatto strike».
Mai come stavolta era forte la coscienza che non solo le città ma anche le vie di fuga verso il sogno di una mattinata non sono a misura d’uomo, ma delle automobili. Sono esse le vere padrone, che, come ha lasciato scritto un anonimo su Internet, «si portano via tutti gli spazi e, non soddisfatte, reclamano anche le vite dei ciclisti».
Costantino Muscau