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 2010  dicembre 05 Domenica calendario

Dozier, dalle Br ai corsi di sopravvivenza - A quasi trent’anni dalla cattura da parte delle Brigate Rosse il generale James Dozier fa corsi di sopravvivenza alle truppe speciali, promuove l’uso di minibus per disabili, è un sostenitore di Jeb Bush e quando torna in Italia cede alla tentazione andare a Verona, dove fu rapito il 17 dicembre 1981

Dozier, dalle Br ai corsi di sopravvivenza - A quasi trent’anni dalla cattura da parte delle Brigate Rosse il generale James Dozier fa corsi di sopravvivenza alle truppe speciali, promuove l’uso di minibus per disabili, è un sostenitore di Jeb Bush e quando torna in Italia cede alla tentazione andare a Verona, dove fu rapito il 17 dicembre 1981. Quel sequestro, il primo di un generale degli Stati Uniti, si è trasformato in un patrimonio di conoscenza che le forze armate continuano a considerare utile. Ogni sei settimane Dozier tiene un corso sull’«esperienza di essere rapito» a una classe di 150 allievi della Joint Special Forces University frequentata da militari e civili che studiano «dinamica del terrorismo internazionale» per poi essere dislocati in giro per il mondo a «difendere l’America». In tale veste l’ex ostaggio che il commando Br di Antonio Savasta tenne prigioniero per 42 giorni sotto una tenda in una casa di Padova ha tenuto lezioni a Fort Bragg in North Carolina, la base della Delta Force, e ovunque gli «studenti» si trovano: da Stoccarda a Napoli, dal Giappone alla Corea del Sud. Il generale fa parte di un team di insegnati di «pratica» che include un ex agente dell’Fbi sopravvissuto al crollo delle Torri Gemelle, un ex ostaggio delle Farc in Colombia e «persone con esperienze di valore» dice parlando dalla scrivania dell’ufficio della «Good Wheels» (Buone Ruote) che vende pulmini per disabili a bordo dei quali si muovono oltre mille handicappati nella Florida del sud-ovest dove vive. «E’ una missione nella quale credo, aiutiamo il prossimo, proprio come si fa in divisa» sottolinea. Sul colletto ha la spilletta con le Torri Gemelle avuta dal collega docente dell’Fbi «che mi ha detto di tenerla fino a quando non prendiamo Bin Laden e così farò». Il ricordo del rapimento è immanente perché Dozier continua a riviverlo nelle lezioni con «i nostri ragazzi che andando in Iraq, Afghanistan e altrove sanno di correre il rischio di cadere in mani nemiche». Ecco dunque come l’ex vicecapo di stato maggiore delle forze Nato nell’Europa del Sud ricorda e racconta «ciò che ho appreso grazie ai rapitori». Anzitutto il fatto che «quando si è in mano al nemico l’unica cosa che controlla sono gesti e parole». I gesti furono quelli della «prevedibilità per evitare che mi considerassero una minaccia» e le parole furono «sincere» nel senso che «quando Savasta mi processò dissi che non avrei mentito ma non avrei rivelato segreti». Pensò di fuggire? «Certo, ma con una catena ai piedi era difficile». D’altra parte non subì la «Sindrome di Stoccolma» - che spinge i rapiti a simpatizzare con i rapitori - «perché mi tennero sotto una tenda, isolato dal resto dell’appartamento, impossibilitato a interagire». Ma ciò che più conta è «aver imparato gli errori commessi» ovvero «come ridurre il rischio di essere rapiti». Di cosa si tratta? «Prima del sequestro le Br erano venute a fare un sopralluogo a casa, si presentarono in due dicendo a mia moglie che erano idraulici, in realtà nel quartiere tutti sapevano che c’era un solo idraulico a faceva i controlli con un calendario prestabilito. Se lo avessimo saputo avremmo capito che c’era qualcosa di strano». L’errore fu «carente conoscenza del territorio dove si opera» e questo è il tasto sul quale Dozier insiste per spiegare che «quando si è in territorio nemico bisogna bilanciare prudenza e paranoia, essere visibili ma non stupidi, guardarsi attorno e conoscere l’habitat perché mettere la testa sottoterra non aiuta». E’ la genesi della sua teoria dell’odierna guerra al terrorismo, ricalcata su come venne sconfitto in Europa negli Anni Ottanta: «Deve essere aggredito da più direzioni, usando la forza contro le cellule e i mandanti così come operando sul territorio per far venir meno le cause che gli consentono di reclutare». In Europa negli Anni Sessanta e Settanta «gruppi come la Raf tedesca, i francesi di Action Directe e gli italiani della Br erano sostenuti dal Kgb sovietico attraverso intermediari in Germania Est e Bulgaria e per sconfiggerli bisognò sostenere i sistemi democratici, combattere i militanti sul campo e sconfiggere l’Urss grazie a Reagan». Nella stessa maniera «prevalere contro Al Qaeda, che è un franchising per jihadisti» si può con «una strategia che affianca impegno militare, azioni contro i Paesi che li sostengono e interventi civili per sanare i problemi che generano kamikaze». A volte gli «alunni» gli chiedono di leggere gli scenari internazionali e lui risponde: «La Cina cresce in fretta ma ha bisogno di materie prime, l’unica strada per ottenerle passa sui mari e punterà sulla Marina militare per controllare le rotte internazionali con il risultato di entrare in attrito con l’America e i nostri alleati in Estremo Oriente, fino al punto che credo sarà questa la ragione del prossimo grande conflitto». L’altro pericolo sono le «cyberguerre» perché «un attacco informatico al sistema elettrico, finanziario o del trasporto aereo civile può mettere in ginocchio qualsiasi nazione» e per lanciarlo «basta una persona con un laptop». La missione di «ricordare per insegnare» lo porta a girare il mondo assieme alla seconda moglie Sharlene - sposata dopo la morte di Judy che venne legata dai rapitori ad una sedia quando lo portarono via - con la quale appena può si rifugia fra i colli toscani a Montalcino oppure fa tappa sulla piazzetta delle Erbe a Verona anche se il legame italiano più forte è con i famigliari del defunto commissario Umberto Improta, già titolare delle indagini sul sequestro, la cui associazione lo ha invitato a Roma per premiare i migliori agenti. «Lo faccio con piacere, rinnovando la gratitudine» assicura, visto che «il blitz della liberazione fu dei Nocs e un generale dei carabinieri si scusò con me perché non erano arrivati prima». Il fatto che Savasta e altri tre membri del commando «ora possono uscire da prigione per andare a lavorare» non lo disturba perché «hanno collaborato aiutando a smantellare le Br e su di me non usarono violenza» mentre sul quinto terrorista, Cesare di Leonardo, non si mostra sorpreso che sia un irriducibile ancora in cella: «Era il più duro». Ciò che più tiene a ricordare è la cena con Reagan e Sandro Pertini alla Casa Bianca, avvenuta poco dopo il sequestro, perché «Reagan mi volle al loro tavolo e Pertini gli disse che "perfino i francesi che a volte si vantano di aver creato Dio" avevano plaudito all’Italia per la mia liberazione». Dozier, discendente da una famiglia ugonotta, gradì l’espressione. Quando il caldo estivo rende irrespirabile l’aria della Florida i Dozier si trasferiscono sui monti della North Carolina anche perché il generale ama avere un rapporto diretto con la natura, come conferma che fino a quattro anni fa coltivava arance. Dall’agricoltura alla politica il passo è breve: «Amo il mio Paese e non mi piace Obama, incapace di esercitare leadership, sono repubblicano, ho fatto campagna per Jeb Bush e mi rendo conto che entrambi i partiti hanno carenze. Forse la strada seguire è quella del Tea Party». Parola di un generale che di ottantenne ha solo la dieta: pranza con té e insalata.