Daniele Bellasio, Domenica del Sole 24 Ore 5/12/2010, 5 dicembre 2010
SIAMO ANDATI VIA CON LORO
«La tv è evanescente, quando finisce finisce». In una conversazione di due ore Fabio Fazio, con i suoi due autori, Pietro Galeotti (da compagno di scuola a compagno di successi) e Marco Posani, parla della "sua" tv, cita due volte "Carletto" Marx, mai Berlusconi direttamente (a domanda risponde: «Avrei voluto che fosse venuto a leggere l’elenco dei valori in cui crede, ma da uomo di tv ha capito che, dal suo punto di vista, la trasmissione lo escludeva»), una sola volta il direttore generale Rai, Mauro Masi: «Gli ho parlato otto minuti». Che tv guarda? «Molto satellite, sono pazzo di Glee e della protagonista. Tutti i cartoni, con mio figlio l’accordo c’è sempre su Tom e Jerry».
Lavorerebbe a Mediaset? «Sono per il servizio pubblico». Piace Maria De Filippi come conduttrice? «Sì». Il futuro di Fazio? «Un programma comico». E il successo di Vieni via con me come si spiega? «Con il sentire: fare tv significa sentire ciò che ti sta attorno e dare una forma speciale, televisiva, al contenuto. C’è un senso diffuso, una domanda: l’Italia è un paese dove si può stare?». Per queste ragioni «non è vero che Roberto Saviano non sia televisivo, anzi, è la tv. Racconta».
Ci sono gli elenchi usati come forme di protesta nelle piazze e sul web, la ragazza che scrive una mail perché deve fare una tesi, difficile sfuggire al peso politico: «Se proprio si vuole, il messaggio è: se ognuno di noi fa bene il suo mestiere iniziano a cambiare le cose, il problema è che quando fai bene il tuo mestiere spesso non ti è riconosciuto perché il beneficio non si vede». Esempio? «Gabriele Salvatores mi ha raccontato una storia... ma sarà lui?».
Fazio telefona a Salvatores, che non conferma né smentisce. «Beh, se un ingegnere aeronautico prima dell’11 settembre fosse riuscito a convincere le compagnie aeree a mettere una paratia di acciaio tra cabina del pilota e posto dei passeggeri, nessuno gli avrebbe riconosciuto il merito perché non ci sarebbe stato quell’attentato».
Il termine rivoluzione Fazio non lo userebbe mai: «Siamo partiti da idee semplici: macerie, ricostruzione con la parola, parola dunque liturgia, liturgia quindi elenco», ovviamente Italia. «La prima scenografia era una cattedrale, poi abbiamo scelto il teatro greco, il luogo sacro della parola». Chi è il sacerdote? «Diciamo, io celebrante, Saviano concelebrante, con quel volto caravaggesco. Roberto incarna la storia che racconta». E poi l’elenco «come forma perfetta della narrazione, scarna, senza aggettivi, contemporaneamente soggettivo, c’è la persona che lo legge, e oggettivo, è una raccolta di fatti o cose». A proposito, chi è «l’amico» – dicono sia «molto noto» – che ha scritto l’elenco delle cose di cui tutti noi siamo fatti? «Segreto».
Due aggettivi tornano nella conversazione: «autoriale» e «valoriale». Con il ruolo dell’autore si risponde alle critiche di chi avrebbe voluto fosse data voce al mondo contrario all’interruzione volontaria delle cure, dopo il racconto di Mina Welby: «Non si può replicare in una scrittura. Non puoi raccontare in un articolo una storia e anche tutta un’altra storia. Poi non avrebbe senso affermare una cosa che è già affermata: chi vuole continuare a essere curato fino alla fine può farlo».
E il contraddittorio? «Per questo la tv produce vuoto: due affermazioni opposte si negano a vicenda». Autoriale? «Abbiamo fatto una trasmissione a copione totalmente live», spiega Galeotti. Ma valoriale è un termine ostico. «Sì, nel senso delle esperienze – dice Fazio –. Abbiamo voluto elencare valori. Come nell’ultima puntata, quella fondativa: scuola e volontariato». Fondativa di che? Allora qualcosa resta?
«No, la tv si smonta subito, ci ho pensato appena ho visto gli addetti col trapano che smontavano la scenografia. Chi fa questo mestiere deve sposare il concetto di evanescenza». Tornano le annotazioni tecniche, nonostante le suggestioni politiche: «Duccio Forzano, il regista, grandioso», e poi «la danza, il meglio che c’è». Dai racconti di Fazio e dei suoi autori traspare la voglia di spiegare che «noi proviamo a fare un lavoro artigianale su scala industriale: in otto anni di Quelli che il calcio la media di share è stata del 30 per cento». Poi puoi creare l’evento, come Vieni via con me, come Celentano? «Lui e Freccero sono le persone – dice Fazio – con cui mi sono confrontato di più», oltre agli autori (Galeotti, Posani, Francesco Piccolo, Michele Serra e ovviamente Saviano) e al direttore di Rai 3, Paolo Ruffini.
Che tipo di conduttore è Fazio? «Un autore in campo», dice Galeotti, che a sua volta è un po’ il conduttore tra gli autori. Se il panorama è di macerie, i record di ascolti? «Ci sono tante persone che non si sentono rappresentate, gli astensionisti della tv. Ma dal punto di vista televisivo Vieni via con me è un’eccezione». Una nicchia che diventa mainstream, tanto per dire altre parole antipatiche? «Se c’è un merito, capito dal pubblico, è aver restituito alle parole il significato vero. Prendi Saviano, vive in un recinto fatto dalle sue parole e usare le parole è il suo modo per uscirne. Lui non è retorica, è tutto vero».
Elenchi rimasti nella penna? «Sì, avremmo voluti leggerli nella mezz’ora di trasmissione in più. Chessò, quello dei titoli della Padania del ’98». «Uno bellissimo – ricorda Galeotti – l’elenco degli oggetti che si possono costruire in carcere senza avere quegli oggetti» nella forma tradizionale. E ora non resta niente? «Ok, facciamo l’elenco delle cose che resteranno – sta al gioco Fazio – Restano: il segreto sull’amico autore dell’elenco letto l’ultima puntata, la stanza sopra al carrozziere dove avevamo la redazione, buste per sushi, i due pastori del presepe con le nostre facce regalati a Saviano, il ricordo di questa compagnia come fosse il militare per venti giorni, il fatto che il tasso degli ospiti nelle case di chi vedeva la trasmissione era l’11 per cento, più di quando gioca la nazionale».
Marco Posani gli ricorda l’idea del fare bene il proprio mestiere, Fazio dice un «sì» seguito da «ma io sono dell’idea che non debba restare niente. Come di quel Sanremo là resta il boiler Fazio: l’avevo chiesto perché mancava l’acqua calda. Come dello show con Celentano, La situazione di mia sorella non è seria, restano gli stivali bianchi di Laura Chiatti. Anzi, fatta l’intervista, che bello: finito tutto».