Quirino Principe, Domenica del Sole 24 Ore 5/12/2010, 5 dicembre 2010
QUELL’AMORE TORMENTATO DESTINO DELL’UOMO
Nella sua dimora in terra di Germania, ladiciannovenne Sieglind è in attesa. Voi, che al colmo d’ogni infocata estate trasmigrate a Bayreuth, dite: «In attesa di chi?». Fulminei, voi rispondete: «Sieglind attende Siegmund, il suo fratello gemello, il suo simile, colui che è della sua stessa stirpe e del suo stesso sangue, sangue welsungo». Ebbene, lo troverete strano, ma non è così. Sieglind non attende Siegmund, poiché costui, suo fratello gemello eccetera, è in casa con lei e con i loro genitori, che qui, nella fattispecie, sono il ricchissimo signor Aarenhold, imprenditore e bibliofilo, e la sua bruttissima e altezzosa moglie. Che Siegmund sia della stirpe e del sangue di Sieglind (detto en passant, stirpe israelitica, sangue ebraico) non ci stupisce, né ci stupisce che Sieglind sia fidanzata con un nobilastro, un certo von Beckerath, il quale, credetemi, non ha molti tratti di somiglianza con il barbaro Hunding... infatti, nella ricca casa degli Aarenhold, in una elegante via di Monaco di Baviera, un decennio prima dell’attentatodi Sarajevo, è proprio il banalissimo Beckerath colui che è atteso. Lo hanno invitato a pranzo. Stavo riassumendo la trama di Wälsungenblut (Sangue welsungo) un racconto scritto nel 1905 da Thomas Mann. In quelle pagine, Mann costruì molti avamposti della sua battaglia intellettuale, il cui fine strategico era liberare Richard Wagner, colui che gli aveva concesso «ore piene di brividi e voluttà dei nervi dell’intelletto», da una serie di sclerosi: dal germanismo, dall’antiebraismo (intermittente, a dire il vero!), dalla burocrazia del "Leitmotiv", dall’immagine di profilo con basco di velluto, dalle scene di cartapesta, dal drago che striscia sul palcoscenico con voce di basso, dagli eroi e dai semidei con l’elmo ornato di corna, soprattutto dalla funesta venerazione dei wagneriani. Thomas Mann ebbe come pochi altri, lui né semiologo né antropologo, il merito di indicare i significati archetipici ed essenziali di Wagner e di rintracciarli anche là dove la dirompente modernità della musica coesiste con il vecchiume e con la polvere del teatro... Tolto il bric-à-brac, grandeggiano gli archetipi, le forme simboliche che più tardi Ernst Cassirer, Georges Dumézile Mircea Eliade adorarono. Magari scompare la foresta, la capanna, la scure, ma della storia o fiaba o tragedia di Siegmund, di Sieglinde (qui con la «e» finale), delle Walkirie, di Wotan e di Brünnhilde, rimane intatto un "Urbild" meraviglioso e scandaloso, magico e raccapricciante: l’incesto. Liberato, il mito wagneriano vive di vita indistruttibile. Lo stesso Mann lo ravviva e infiamma in un mirabile romanzo del 1953, Der Erwählte (L’eletto). Wiligis e Sibilla, fratello e sorella, si uniscono carnalmente la notte della veglia funebre per il loro padre, gran signore feudale. Continuano ad amarsi in segreto, ma quando Sibilla si scopre incinta, Wiligis scompare nel nulla. Il piccolo Gregorio, appena nato, è abbandonato, ma il destino lo porterà in patria una ventina d’anni dopo: egli salverà la madre duchessa ancora giovane e bella, la sposerà, ne avrà due figlie... Ma certo: si perpetua un altro archetipo, quello edipico: l’impero di Wagner, grazie al mito della Walkiria, è tangente con l’impero di Freud, anzi in parte gli si sovrappone. Si pensi: la più wagneriana fra le grandi musiche fin-desiècle, la tristaniana Verklärte Nacht di Schönberg, è del 1899, e dello stesso anno è la Traumdeutung di Freud. Coincidenza rivelatrice, così come è rivelatore un dettaglio apparentemente paradossale: Wagner, autore dell’imbarazzante Judentum in der Musik che si prolunga e vive trasformato nell’arte e nel pensiero di due ebrei di genio. E le stupidaggini sul carattere "nazista" della musica di Wagner, come convivono con l’atto d’amore del fieramente anti-nazistaThomas Mann cui l’appassionata conferenza su «dolore e grandezza di Wagner» (Università di Monaco, 10 febbraio 1933) costò l’immediato e lunghissimo esilio? E altri rovesciamenti ancora, grazie a Wagner e all’archetipico sangue welsungo di Siegmund e Sieglinde. Uno spirito tristaniano ma non nibelungico, Denis de Rougemont (1906-1985), donando alla civiltà uno fra i libri più luminosi del Novecento, L’amour et l’Occident (1938), circondò di luce dorata e malinconica una verità: senza l’adulterio come destino di sofferenza («il foco che li affina»), senza l’incesto come limite, l’Occidente perderebbe la forma dell’Eros che lo distingue da altre civiltà: l’amore combattuto, difficile perché libero. L’armonia di Wagner, scrisse Proust nella Prisonnière, ci fa intendere l’essenza dell’amore «comme le spectre extériorise pour nous la composition de la lumière». Altre direzioni si delineano. Al sacro incesto traSiegmund e Sieglinde in Die Walküre corrisponde, in Siegfried, il fuggevole brivido incestuoso là dove Siegfried, vedendo per la prima volta una forma femminile, ossia Brünnhilde dormiente dentro una cortina di fiamme, esclama: «Mutter!». In simili fiamme finisce il mondo nel Ring: il "ragnarök" dell’Edda, forse la fine del nostro cosmo, ma anche il fuoco del Prométhée (1911) di Skrjabin, anche lo spengleriano tramonto dell’Occidente. Nel Ring, Brünnhilde è l’ultima a precipitarsi nell’incendio, e proprio con lei finisce Tutto. La Walkiria possiede davvero il segreto del nostro destino?