Leo Sisti, il Fatto Quotidiano 5/12/2010, 5 dicembre 2010
SEI MESI PER LO SCOOP CHE CAMBIA IL MONDO
Ho cominciato a occuparmi dei file di Wikileaks lo scorso agosto. Tutto da solo, in grande segretezza, per alcuni mesi. Poi, in ottobre, il gruppo di lavoro sul database è cresciuto, soprattutto per motivi tecnici: bisognava capire come gestire quella messe di dati. Tra i nostri corrispondenti esteri e altro personale, esperti di software e Internet, siamo arrivati a quota trenta”. David Leigh è il capo dei servizi investigativi del Guardian, il quotidiano inglese che dal 28 novembre centellina insieme con altri 4 media i micidiali rapporti resi pubblici da Assange. Nel-l’intervista a Il Fatto Leigh racconta i retroscena di una rivoluzionaria operazione giornalistica basata su carte provenienti da un sito che sta mettendo a soqquadro l’establishment delle diplomazie mondiali.
“TUTTO È PARTITO da un collega del Guardian, Nick Davies, che ha incontrato Assange a Bruxelles in primavera e ha con lui negoziato un accordo. Julian gli ha consegnato i primi due dossier su Afghanistan e Iraq. Li abbiamo analizzati e poi pubblicati insieme al New York Times e al tedesco Der Spiegel. Dopo, è stata la volta dei cablogrammi delle ambasciate Usa nel mondo messi a disposizione di Guardian, New York Times e del tedesco Der Spie-gel. Julian ci ha chiesto di includere nel pacchetto anche Le Monde ed El Pais, esclusi in precedenza. Tutti però dovevamo uscire contemporaneamente”. Ma è stato lo stesso Guardian a girare il database al New York Times, che Assange voleva in un primo tempo tagliar fuori, irritato da un articolo al vetriolo scritto su di lui da John Burns, responsabile dell’ufficio londinese del giornale Usa. Irritato, Julian, nei confronti di chi aveva ricevuto da Wikileaks 75 mila documenti sull’Afghanistan e 400 mila sull’Iraq. Insomma, irriconoscenti quelli del New York Times, che, secondo Assange, hanno un direttore attento alla “realpolitik” e ai fatti che “descrivono l’esercito americano in modo negativo”. Assange è stato forse pagato? David Leigh, autore di saggi e scoop pluripremiati, lo nega: “Niente”. Nemmeno un euro.
Pochi lo sanno, ma il database da 1,6 gigabyte, che contiene oltre 250 mila cablogrammi in una minuscola pen drive, non è stato soltanto appannaggio del Guardian. “Una copia, identica”, spiega David Leigh, “è stata ottenuta anche da Heather Brooke, autrice di un libro sul Freedom of information’ . L’ha avuta tramite suoi contatti. Siamo rimasti sorpresi, ma le abbiamo chiesto di unirsi al Guardian”.
OGGI ASSANGE è braccato dall’Interpol, inseguito da un ordine d’arresto spiccato dalla magistratura svedese per un presunto stupro subìto da due donne (“Erano consenzienti”, si è difeso lui). Ma non smette di farsi vivo, soprattutto via “Skype”, che, come è noto, non consente intercettazioni. Usa mille metodi per non farsi rintracciare. Cambia spesso cellulare e schede telefoniche. In pochi giorni ha rilasciato due interviste, una al settimanale Time, l’altra, ieri, rispondendo a domande poste dai lettori del Guardian. Si sente minacciato. E ha annunciato: “L’archivio del cablegate è stato sistemato, assieme ad altro materiale significativo dagli Usa e da altri paesi, presso 100 mila persone in forma criptata. Se ci succedequalcosa,lepartichiave verranno diffuse immediatamente. Quell’archivio è nelle mani di numerose organizzazioni giornalistiche. La storia vincerà. Il mondo sarà elevato a un livello migliore. Noi sopravvivremo? Dipende da voi”. Un messaggio chiarissimo, preoccupante.
Una delle questioni poste ad Assange riguarda l’“intervento” su nomi e situazioni riportate nei file di Wikileaks. Con quale criterio? Eccolo: “L’‘oscuramento’ è opera di giornalisti che sviluppano quelle storie, sono loro a conoscerle. Le correzioni vengono poi riviste da almeno un altro giornalista o direttore”. David Leigh aggiunge: “Abbiamo depennato nomi di individui che potessero essere oggetto di ritorsioni. A esempio, cose riguardanti Russia, Cina o Gheddafi”.
UNA NOTIZIA che ha meravigliato i giornalisti del Guardian è quella su Silvio Berlusconi che, come si legge in un dispaccio dell’ambasciata Usa a Roma, avrebbe delle “percentuali sui profitti realizzati nel gasdotto Gazprom ed Eni” (dichiarazione già smentita ufficialmente dallo stesso Berlusconi). Una notizia curiosa, perché il premier è ricchissimo: che bisogno avrebbe di altri soldi? Commenta Leigh: “Non so quanto ci sia di vero in quel cablo. Ma c’è gente a cui piace tanto il denaro e lo ama sempre di più”.