Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 5/12/2010, 5 dicembre 2010
L’INDIA COLOSSO DAI PIEDI D’ARGILLA
La spiritualità dell’India, diceva il Mahatma Gandhi, è nella campagna, nei suoi 500mila villaggi. Da allora il Subcontinente è cambiato, ora è "Shining India", una delle 20 potenze globali. Ma qualcosa ancora non funziona se, pur crescendo una solida classe media urbana, quell’anima che era così cara a Mohandas Gandhi continua invece a vivere nella povertà.
Peggio. È nel Subcontinente indiano che vive la metà della popolazione mondiale "estremamente povera". È la definizione internazionale che indica il miliardo di persone che non ha niente, tranne la fame: quelli che guardano dal basso in alto gli altri 400 milioni della stessa categoria che "almeno" hanno un reddito da 1,25 dollari al giorno, e ancora da più lontano le centinaia di milioni di individui solamente "poveri" che guadagnano due dollari.
Sono alcune spigolature dello stato più aggiornato della miseria globale che il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, l’Ifad, presenta domani a Londra, alla Chatham House durante la Conferenza internazionale sulla sicurezza alimentare. L’Ifad, la cui sede è a Roma, come la Fao e il Programma alimentare mondiale, è l’agenzia Onu che finanzia le attività agricole. Dal 1978 a oggi ha concesso ai piccoli imprenditori del Terzo mondo 12 miliardi in prestiti a tassi agevolati. Il "Rapporto 2011 sulla povertà rurale" che il presidente Ifad Kanayo Nwanze illustrerà a Londra è una specie di evento: ce n’è uno ogni 10 anni.
La sintesi non è entusiasmante: «La povertà globale resta un fenomeno massiccio e principalmente agricolo». Il 70% di quel miliardo e 400 milioni di "estremamente poveri" vive nelle campagne, gli altri negli slums delle metropoli in crescita disordinata. La metà dei poverissimi abita in quel mezzo milione di villaggi indiani cari a Ghandi, un po’ meno ai governi di Delhi. L’Africa sub-sahariana è invece l’unica regione dove la povertà rurale continua a crescere.
Perché nel rapporto c’è anche qualche buona notizia. La miseria del mondo diminuisce, se ci accontentiamo di sapere che riguarda sempre miliardi di persone. I poveri con un reddito di 2 dollari la giorno nel 1988 erano il 69,1% della popolazione del mondo in via di sviluppo, e dal 2008 il 51,2; gli "estremamente poveri" erano il 45,1 e ora il 27. Così pure nelle aree rurali: dall’83% al 60,9 i poveri; dal 54 al 34,2 quelli che non hanno nulla. Tranne l’Africa, principalmente a causa dell’incapacità di diversificare. Vent’anni fa i poveri (2 dollari) nelle campagne sub-sahariane erano il 75,2% e ora l’87,2. I poverissimi il 51,7 e il 61,62 per cento.
Anche dove c’è, la crescita è tuttavia fragile. Secondo il rapporto Ifad fra il 10 e il 20% della popolazione rurale può facilmente uscire dalla povertà o precipitarvi nello spazio di 5-10 anni. Dipende dalle infrastrutture, dalle crisi finanziarie mondiali, dal prezzo delle commodities, dal clima.
La riduzione della povertà agricola capace di assorbire il fallimento africano è dovuta al successo economico dell’Asia orientale e in misura minore alla crescita in America Latina. Se, statisticamente, da poco più di un anno nel mondo vive più gente nelle città che nelle campagne, nei paesi in via di sviluppo la popolazione è ancora soprattutto agricola. La crescita nelle aree rurali continuerà fino al 2020-25, poi incomincerà a declinare. Sempre che funzioni la diversificazione, indicata dall’Ifad come una delle formule per uscire dalla povertà agricola. Ogni dollaro di valore aggiunto in agricoltura genera dai 30 agli 80 centesimi nel resto dell’economia locale.
L’urbanizzazione, soprattutto nelle città medie con un legame più diretto con la campagna, lo sviluppo delle comunicazioni, i processi di liberalizzazione e globalizzazione sono gli strumenti per far crescere un’economia rurale più ampia, meno dipendente dal solo lavoro nei campi.
Nel 2050 sul pianeta vivranno 9 miliardi di persone. È stato calcolato che la produzione di cibo dovrà aumentare del 70 per cento. È un’opportunità per le economie rurali: insieme alla crescita della popolazione urbana che richiederà al mercato prodotti alimentari di maggior valore e all’aumento globale dei prezzi. Le piccole imprese dei paesi in via di sviluppo già garantiscono l’80% del cibo consumato nel Terzo Mondo ma sfamano solo un terzo della popolazione mondiale. Come spiegherà Kanayo Nwanze a Londra, per sfruttare le grandi opportunità, il sistema delle piccole imprese agricole dovrà essere produttivo, integrato nei mercati, eco-sostenibile. Occorre quindi «un approccio politico e di investimenti orientato al mercato e alla sostenibilità». Modernità e tradizione. È più o meno quello che già diceva Ghandi un’ottantina d’anni fa e che oggi sintetizza un guru della crescita indiana, Vijai Mahajan: «Il marchio globale dell’India senza la sua spiritualità sarebbe un marchio difettoso». Così per il resto dell’Asia, l’Africa e l’America Latina.