Jagdish Bhagwati, Il Sole 24 Ore 6/12/2010, 6 dicembre 2010
L’INDIA FARÀ MEGLIO DELLA CINA
Dopo la visita in India del Presidente Barack Obama, una domanda è tornata al centro dell’attenzione: la Cina crescerà più rapidamente dell’India a tempo indefinito o presto verrà superata?
Questa competizione si può, in realtà, ricondurre al 1947, anno dell’indipendenza dell’India e contesto in cui la democrazia divenne una caratteristica definitoria del paese, al contrario della Cina che apriva invece le porte al comunismo con il successo di Mao Tze-tung dopo la Lunga marcia. In base alle aspettative, entrambi i paesi, chiamati "i giganti dormienti", si sarebbero prima o poi risvegliati dal loro sonno. Ma dato che il modello di crescita in voga al tempo era incentrato sull’accumulo di capitale, si è da sempre ritenuto che la Cina avesse un grande vantaggio avendo infatti una maggiore possibilità di aumentare il tasso di investimento rispetto all’India dove la democrazia imponeva un limite di tassazione sui contribuenti allo scopo di aumentare i risparmi domestici.
Il caso ha voluto che i due giganti continuassero a dormire, la Cina fino agli anni ’80 e l’India fino agli anni ’90, principalmente perché entrambi avevano optato per una politica controproducente che ha finito per danneggiare la produttività degli sforzi sugli investimenti.
Sulla base di principi economici errati, l’India ha abbracciato l’autarchia nel commercio respingendo gli afflussi di investimenti azionari. Ha poi implementato una politica di interventismo economico su grande scala, sostenendo la crescita di imprese all’interno del settore pubblico anche in aree esterne ai servizi pubblici. In Cina i risultati sono stati simili in quanto il comunismo ha portato direttamente ad uno stato di autarchia dando al paese un ruolo imponente all’interno dell’economia.
Dopo aver smantellato progressivamente la politica inefficiente in atto a favore di riforme liberali, i due giganti hanno iniziato a progredire accendendo la competizione. E, ancora una volta, la Cina si è rivelata il cavallo migliore su cui scommettere con una crescita più rapida grazie alle modifiche apportate alla sua politica in tempi molto più rapidi rispetto a quelli implicati da una democrazia. Ma ci sono buone ragioni per credere che il vantaggio autoritario non durerà.
Prima di tutto, se da un lato l’autoritarismo permette un’accelerazione delle riforme, dall’altro può rivelarsi anche un grande ostacolo. Anni fa, quando Mao e Chou En-lai erano ancora entrambi vivi, fu chiesto a Padma Desau, esperto della Columbia University sulla Russia, quali erano le prospettive future di crescita per la Cina. Rispose che dipendeva da chi sarebbe morto prima tra Mao e Chou, in quanto in un sistema verticistico i sentieri di crescita economica possono diventare imprevedibili e quindi soggetti a volatilità.
Inoltre, sappiamo da esperienze in altri paesi, e ora dalla stessa Cina, che con l’accelerazione della crescita le aspirazioni politiche aumentano. Nel caso della Cina, le autorità risponderanno a queste aspirazioni con una repressione ancora più forte di quella scagliata contro i dissidenti e Falun Gong, creando dissenso e difficoltà, o soddisferanno la domanda del popolo spostandosi verso una maggiore democrazia?
La politica autoritaria della Cina comporta l’impossibilità di trarre profitto dalle innovazioni legate ai software quali strumenti in grado di creare ulteriore dissenso con il rischio che si trasformi in sovversione al controllo totale. Come ha osservato chi ha spirito d’arguzia, il Pc - Personal Computer e il Pc - Partito Comunista non vanno certo di pari passo.
Infine, la crescita della Cina dovrà continuare a dipendere dallo sfruttamento dei mercati esterni che la rendono, tuttavia, vulnerabile in un mondo che mette sempre più al centro i diritti umani e la democrazia. In un mondo simile le esportazioni cinesi non possono far altro che aspettarsi inconvenienti e singulti.
Anche i fattori economici ostacolano le prospettive cinesi. La Cina è stata evidentemente in grado, per diversi anni, di sfruttare "l’esercito di riserve di disoccupati" alla Karl Marx, beneficiando di una crescita rapida senza dover affrontare la contrazione dell’offerta di manodopera, ed evitando quindi che l’accumulo di capitale si traducesse in diminuzione di guadagno. Ma ora, vista la politica cinese dei figli unici e la mancanza di infrastrutture adeguate (tra cui gli alloggi) in aree in rapida espansione, la manodopera inizia a diventare scarsa mentre gli stipendi aumentano.
In gergo economico, la curva dell’offerta di manodopera fino a poco tempo fa piatta, si sta ora inclinando verso l’alto, tanto che la domanda in rapido aumento di manodopera derivante dalla crescita rapida sta portando ad un aumento degli stipendi. Ciò significa che la Cina sta iniziando a "rientrare tra gli esseri umani" man mano che si avvicina a un rallentamento della crescita derivato da un accumulo di capitale e da una manodopera più scarsa.
Per contro, l’India ha un’offerta di manodopera molto più ampia e un profilo demografico più favorevole, tanto che pur con l’aumento del tasso di investimento la manodopera non subirà una contrazione. L’India diventerà quindi la nuova Cina dell’ultimo ventennio.
Inoltre, rispetto alla Cina dove le riforme economiche sono state più rapide ed esaustive, l’India deve ancora percorrere la sua strada. Operazioni come la privatizzazione, le riforme del mercato del lavoro e l’apertura del settore al dettaglio a operatori più grandi ed efficienti sono ancora in attesa di essere avviate. Una volta implementate saranno loro a dare una nuova spinta al tasso di crescita indiano.