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 2010  dicembre 06 Lunedì calendario

L’insurrezione operaia del giugno 1848 a Parigi Dal 22 al 25 giugno 1848 gi operai parigini insorsero come un sol uomo, battendosi per 4 giorni contro la borghesia, dando vita all’ "avvenimento più grandioso nella storia delle guerre civili europee", alla "prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna", come dirà Marx, seguendo trepidante e commentando gli avvenimenti da Colonia, in Germania

L’insurrezione operaia del giugno 1848 a Parigi Dal 22 al 25 giugno 1848 gi operai parigini insorsero come un sol uomo, battendosi per 4 giorni contro la borghesia, dando vita all’ "avvenimento più grandioso nella storia delle guerre civili europee", alla "prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna", come dirà Marx, seguendo trepidante e commentando gli avvenimenti da Colonia, in Germania. Leggiamo questa gloriosa pagina di storia proletaria attraverso le parole dello stesso Marx. Da K. Marx: Il 18 brumaio di Luigi Buonaparte. Cap. I (estratti). “Ricapitoliamo a grandi tratti le fasi percorse dalla rivoluzione francese dal 24 febbraio 1848 sino al dicembre 1851. Tre sono i periodi principali che è impossibile confondere: periodo di febbraio; dal 4 maggio 1848 sino al 29 maggio 1849: il periodo della costituzione della repubblica o dell’Assemblea nazionale costituente; dal 29 maggio 1849 sino al 21 dicembre 1851: il periodo della repubblica costituzionale o dell’Assemblea nazionale legislativa. Il primo periodo, dal 24 febbraio o dalla caduta di Luigi Filippo sino al 4 maggio 1848, quando si riunì l’Assemblea costituente, cioè il periodo di febbraio propriamente detto, può considerato come il prologo della rivoluzione. Il suo carattere si espresse ufficialmente nel fatto che il governo da essa improvvisato si dichiarò da sé provvisorio, e al pari del governo tutto ciò che in questo periodo venne proposto, tentato, dichiarato, non lo fu che provvisoriamente. Nessuno e nulla osò reclamate per sé il diritto all’esistenza e all’azione reale. Tutti gli elementi che avevano preparato o determinato la rivoluzione, l’opposizione dinastica, la borghesia repubblicana, la piccola borghesia repubblicana democratica, i lavoratori socialdemocratici, trovarono posto provvisoriamente nel governo di febbraio. Né poteva essere altrimenti. Le giornate di febbraio miravano in origine a una riforma elettorale, per cui la cerchia dei privilegiati politici in seno alla classe abbiente stessa doveva essere allargata, e il dominio esclusivo dell’aristocrazia finanziaria doveva essere rovesciato. Ma quando il conflitto scoppiò per davvero, quando il popolo salì sulle barricate, quando la Guardia nazionale rimase passiva, l’esercito non oppose nessuna resistenza seria e la monarchia prese la fuga, allora la repubblica sembrò imporsi da sé; ogni partito la interpretò a modo suo. Poiché essa era stata conquistata dal proletariato con le armi in pugno, questi le impresse il suo suggello e la proclamò repubblica sociale. Così venne additato il contenuto generale della rivoluzione moderna, contrastante nel modo più singolare con tutto ciò che, dato il grado di educazione raggiunto dalla massa, date le circostanze e le condizioni del tempo, poteva essere messo in opera lì per li col materiale esistente. D’altro lato, le pretese di tutti gli altri elementi che avevano cooperato alla rivoluzione di febbraio trovarono un riconoscimento nella parte leonina ch’essi ricevettero nel governo. In nessun periodo troviamo quindi una miscela più eterogenea di frasi alate e di indecisione e goffaggine reali, delle più entusiastiche aspirazioni di rinnovamento e del dominio più solido del vecchio trantran, della più apparente armonia di tutta la società e dell’antagonismo più profondo fra i suoi elementi. Mentre il proletariato di Parigi si inebriava ancora nella visione della grande prospettiva che gli si apriva dinanzi e si abbandonava a gravi discussioni sui problemi sociali, le vecchie potenze della società si erano raggruppate, riunite e messe d’accordo, e trovarono un appoggio inatteso nella massa della nazione, nei contadini e nei piccoli borghesi, i quali, cadute le barriere della monarchia di luglio, si precipitavano tutti ad un tempo sulla scena politica. Il secondo periodo, che va dal 4 maggio 1848 sino alla fine del Maggio 1849, è il periodo della costituzione, della fondazione della repubblica borghese. Immediatamente dopo le giornate di febbraio non soltanto l’opposizione dinastica era stata presa, alla sprovvista, dai repubblicani e questi dai socialisti, ma tutta la Francia era stata presa alla sprovvista da Parigi. L’Assemblea nazionale, che si riunì il 4 maggio 1848, essendo uscita dal suffragio della nazione, rappresentava la nazione. Era una protesta vivente contro le pretese delle giornate di febbraio e doveva ridurre i risultati della rivoluzione a misura borghese. Invano il proletariato parigino, il quale comprese immediatamente il carattere di quest’Assemblea nazionale, tentò alcuni giorni dopo la sua riunione, il 15 maggio, di negarne con la violenza l’esistenza, di scioglierla, di scomporre di nuovo nei suoi singoli elementi costitutivi l’organismo attraverso il quale lo spirito reazionario della nazione lo minacciava. Com’è noto, il 15 maggio non ebbe nessun altro risultato all’infuori di quello di allontanare dalla pubblica scena, per tutta la durata del periodo che stiamo considerando, Blanqui e i suoi compagni, cioè i veri capi del partito proletario. Alla monarchia borghese di Luigi Filippo può succedere soltanto la repubblica borghese, il che vuol dire che se prima una parte limitata della borghesia regnava in nome dei re, ora deve dominare in nome del popolo la totalità della borghesia. Le rivendicazioni del proletariato parigino sono fandonie utopistiche, con le quali si deve farla finita. A questa dichiarazione dell’Assemblea nazionale costituente, il proletariato parigino rispose coll’ insurrezione di giugno, l’avvenimento più grandioso nella storia delle guerre civili europee. La repubblica borghese, trionfò. Essa aveva per sé l’aristocrazia finanziaria, la borghesia industriale, il ceto medio, i piccoli borghesi, l’esercito, la canaglia organizzata in Guardia mobile, gli intellettuali, i preti e la popolazione rurale. Il proletariato non aveva al suo fianco altro che se stesso. Più di 3.000 insorti vennero massacrati dopo la vittoria; 15.000 deportati senza processo. Con questa disfatta il proletariato si ritira tra le quinte della scena rivoluzionaria. Esso cerca di farsi nuovamente avanti ogni volta che il movimento sembra prendere un nuovo slancio, ma con un’energia sempre più ridotta e con un risultato sempre più piccolo. Non appena uno degli strati sociali a lui sovrastanti entra in fermento rivoluzionario, il proletariato stabilisce con esso un collegamento, e in questo modo condivide tutte le sconfitte che i vari partiti subiscono l’uno dopo l’altro. Ma questi colpi successivi diventano via via tanto più deboli quanto più si ripartiscono su tutta la superficie della società. I rappresentanti più cospicui del proletariato nell’Assemblea e nella stampa sono vittime, l’uno dopo l’altro, dei tribunali, e figure sempre più equivoche prendono il loro posto. In parte, esso sì abbandona a esperimenti dottrinari, banche di scambio e associazioni operaie, cioè a un movimento in cui rinuncia a trasformare il vecchio mondo coi grandi mezzi collettivi che gli sono propri, e cerca piuttosto di conseguire la propria emancipazione alle spalle della società, in via privata, entro i limiti delle sue meschine condizioni d’esistenza, e in questo modo va necessariamente al fallimento. Sembra ch’esso non possa più ritrovare in se stesso la grandezza rivoluzionaria né attingere nuova energia dalle alleanze nuovamente contratte, sino a che tutte le classi contro le quali ha lottato in giugno non giacciono al suolo al suo fianco. Ma, per lo meno, esso soccombe con gli onori di una grande battaglia storica. Non soltanto la Francia, ma tutta l’Europa trema davanti al terremoto di giugno, mentre le successive disfatte delle classi più elevate vengono ottenute cosi a buon mercato, che è necessaria l’insolente esagerazione del partito vittorioso per poterle far passare come avvenimenti di importanza, ed esse diventano tanto più vergognose quanto più il partito che soccombe è lontano dal partito proletario. Certo, la disfatta degli insorti di giugno aveva preparato, spianato, il terreno su cui poteva essere fondata, stabilita, la repubblica borghese; però, aveva allo stesso tempo mostrato che si ponevano in Europa ben altri problemi che di "repubblica o monarchia"; aveva rivelato che repubblica borghese significa dispotismo assoluto di una classe su altre classi; aveva provato che in paesi di vecchia civiltà e con una avanzata struttura di classe, con condizioni di produzione moderne e una coscienza spirituale in cui tutte le idee tradizionali sono state dissolte da un lavoro secolare, la repubblica non è altro, in generale, che la forma politica del rovesciamento della società borghese, ma non la forma della sua conservazione, come avviene, per esempio, negli Stati Uniti d’America, dove classi sociali esistono già, senza dubbio, ma non si sono ancora fissate, e in un flusso continuo modificano continuamente le loro parti costitutive e se le cedono; dove i moderni mezzi di produzione, invece di coincidere con un eccesso di popolazione stagnante, compensano piuttosto la relativa scarsezza di teste e di braccia; e dove infine lo slancio giovanilmente febbrile della produzione materiale, che deve conquistarsi un mondo nuovo, non ha ancora lasciato né il tempo né l’opportunità di far piazza pulita del vecchio mondo spirituale. Tutte le classi e tutti i partiti si erano uniti durante le giornate di giugno nel partito dell’ordine per fronteggiare la classe proletaria, considerata come il partito dell’anarchia. del socialismo, del comunismo. Essi avevano "salvato" la società dai "nemici della società". Essi avevano dato alle loro truppe le parole d’ordine della vecchia società: "Proprietà, famiglia, religione, ordine", e gridato alla crociata controrivoluzionaria: "In questo segno vincerai!". A partire da questo momento, non appena uno dei numerosi partiti che sotto questa insegna si erano schierati contro gli insorti di giugno cerca, nel suo proprio interesse di classe, di tenere il campo della rivoluzione, viene schiacciato al grido di "proprietà, famiglia, religione, ordine". La società viene salvata tanto più spesso, quanto più si restringe la cerchia dei suoi dominatori, quanto più un interesse più ristretto prevale sugli interessi più larghi. Ogni rivendicazione della più semplice riforma finanziaria borghese, del liberalismo più ordinario, del repubblicanesimo più formale, della democrazia più volgare, viene ad un tempo colpita come "attentato contro la società" e bollata come "socialismo". E alla fine gli stessi grandi sacerdoti della "religione e dell’ordine" vengono cacciati a pedate dai loro tripodi pitici, strappati in piena notte dai loro letti, stivati nelle vetture cellulari, gettati in carcere o spediti in esilio. Il loro tempio viene raso al suolo, la loro bocca suggellata, la loro penna spezzata, la loro legge infranta, in nome della religione, della proprietà, della famiglia, dell’ordine. Borghesi fanatici dell’ordine vengono fucilati ai loro balconi da bande di soldati ubriachi, il sacrario della loro famiglia viene profanato, le loro case vengono bombardate per passatempo in nome della proprietà, della famiglia, della religione e dell’ordine. La feccia della società borghese forma, in ultima istanza, la falange sacra dell’ordine e Crapülinski, l’eroe, fa il suo ingresso alle Tuileries come "salvatore della società".” ----------------------------------------------------------- Da K.Marx (1850): Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Parte I: La disfatta del giugno 1848 (estratto) “La rivoluzione di febbraio era stata conquistata dagli operai con l’aiuto passivo della borghesia. I proletari si consideravano a ragione come i vincitori di febbraio, e avanzavano le pretese orgogliose del vincitore. Si doveva batterli nella strada; si doveva mostrar loro che erano sconfitti, non appena si battevano non con la borghesia, ma contro la borghesia. Come per la repubblica di febbraio con le sue concessioni socialiste era stata necessaria una battaglia del proletariato alleato alla borghesia contro la monarchia, così era necessaria una seconda battaglia per staccare la repubblica dalle concessioni socialiste, per fare ufficialmente della repubblica borghese l’elemento dominante. La borghesia doveva respingere le rivendicazioni del proletariato con le armi alla mano. E la vera culla della repubblica borghese non è la vittoria di febbraio ma la disfatta di giugno. Il proletariato accelerò la soluzione allorché, il 15 maggio, penetrò nell’Assemblea nazionale, cercò invano di riconquistare la propria influenza rivoluzionaria, e riuscì soltanto a far cadere in mano dei carcerieri della borghesia i suoi energici capi. Il faut en finir! Bisogna farla finita! Con questo grido l’Assemblea nazionale dette sfogo alla sua decisione di costringere il proletariato alla lotta decisiva. La commissione esecutiva emanò una serie di decreti provocatori, come la proibizione degli assembramenti popolari, ecc. Dall’alto della tribuna dell’Assemblea nazionale costituente gli operai furono direttamente provocati, insultati, scherniti. Ma il vero centro dell’attacco furono, come abbiamo visto, i laboratori nazionali. Su di essi l’Assemblea costituente richiamò in modo imperativo l’attenzione della commissione esecutiva, che aspettava soltanto di sentire il suo proprio piano diventare una imposizione dell’Assemblea nazionale. La commissione esecutiva incominciò col rendere più difficile l’ingresso nei laboratori nazionali, col trasformare il salario a giornata in salario a cottimo, col mandare in esilio nella Sologne gli operai non nativi di Parigi col pretesto di lavori di sterro. Questi lavori di sterro non erano che una formula retorica per coprire la loro cacciata, come fecero sapere ai loro compagni gli operai che tornarono indietro delusi. Finalmente il 21 giugno apparve sul "Moniteur" un decreto che ordinava l’espulsione dai laboratori nazionali di tutti gli operai non sposati, o il loro arruolamento nell’esercito. Agli operai non rimase altra alternativa, o morir di fame o scendere in campo. Essi risposero il 22 giugno con la terribile insurrezione in cui venne combattuta la prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna. Fu una lotta per la conservazione o per la distruzione dell’ordine borghese. Il velo che avvolgeva la repubblica fu lacerato. È noto con che valore e genialità senza esempio gli operai, senza capi, senza un piano comune, senza mezzi, per la maggior parte senza armi, tennero in scacco per cinque giorni l’esercito, la guardia mobile, la guardia nazionale di Parigi e la guardia nazionale accorsa dalle province. È noto come la borghesia si rifacesse con brutalità inaudita del pericolo corso, massacrando più di tremila prigionieri. I rappresentanti ufficiali della democrazia francese erano prigionieri dell’ideologia repubblicana a tal punto che solo alcune settimane dopo incominciarono a intuire il senso della lotta di giugno. Essi erano come storditi dal fumo della polvere in cui andava dileguando la loro repubblica fantastica. L’impressione immediata che fece su di noi la notizia della sconfitta di giugno, ci permetta il lettore di riferirla con le parole della "Neue Rheinische Zeitung": "L’ultimo residuo ufficiale della rivoluzione di febbraio, la commissione esecutiva, è svanito davanti alla gravità degli avvenimenti come un fantasma di nebbia. I fuochi artificiali di Lamartine si sono trasformati nelle bombe incendiarie di Cavaignac. La fraternité, la fratellanza delle classi opposte, di cui l’una sfrutta l’altra, questa fraternité, proclamata in febbraio, scritta a grosse lettere sulla fronte di Parigi, su ogni carcere, su ogni caserma, ha la sua espressione vera, genuina, prosaica, nella guerra civile: nella guerra civile nel suo aspetto più terribile, nella guerra tra il lavoro e il capitale. Questa fratellanza fiammeggiava da tutte le finestre di Parigi la sera del 25 giugno, quando la Parigi della borghesia si illuminava, mentre la Parigi del proletariato era in fiamme, grondava sangue e gemeva. La fratellanza era durata precisamente fino a tanto che l’interesse della borghesia era affratellato all’interesse del proletariato. Pedanti della vecchia tradizione rivoluzionaria del 1793; dottrinari socialisti che chiedevano alla borghesia l’elemosina per il popolo e a cui era stato permesso di tenere lunghe prediche e di compromettersi fino a tanto che era stato necessario venisse addormentato il leone proletario; repubblicani che volevano tutto il vecchio ordine borghese, ad eccezione della sola testa del re; oppositori dinastici ai quali il caso aveva messo tra i piedi la caduta di una dinastia invece di un cambiamento di ministero; legittimisti che non intendevano gettare la livrea, ma modificarne il taglio: questi erano gli alleati coi quali il popolo aveva fatto il suo febbraio... La rivoluzione di febbraio era stata la bella rivoluzione, la rivoluzione della simpatia generale, perché gli antagonismi che erano scoppiati in essa contro la monarchia, sonnecchiavano tranquilli l’uno accanto all’altro, non ancora sviluppati; perché la lotta sociale che formava il loro sostrato aveva soltanto raggiunto una esistenza vaporosa, l’esistenza della frase, della parola. La rivoluzione di giugno è la rivoluzione brutta, la rivoluzione repugnante, perché al posto della frase è subentrata la cosa, perché la repubblica stessa ha svelato la testa del mostro, abbattendo la corona che la proteggeva e la copriva. Ordine! - era stato il grido di battaglia di Guizot. Ordine! - aveva gridato Sébastiani, il Guizot in sedicesimo, quando Varsavia era diventata russa. Ordine! - gridava Cavaignac, eco brutale dell’Assemblea nazionale francese e della borghesia repubblicana. Ordine! - tuonavano le sue granate, mentre laceravano il corpo del proletariato. Nessuna delle numerose rivoluzioni della borghesia francese a partire dal 1789 era stata un attentato contro l’ordine, perché tutte avevano lasciato sussistere il dominio della classe, la schiavitù degli operai, l’ordine borghese, benché spesso fosse cambiata la forma politica di questo dominio e di questa schiavitù. Giugno ha intaccato questo ordine. Maledetto sia giugno!" ("Neue Rheinische Zeitung", 29 giugno 1848). Maledetto sia giugno! ripete l’eco europea. Il proletariato parigino era stato costretto all’insurrezione di giugno dalla borghesia. In ciò era già contenuta la sua condanna. Né un consapevole bisogno immediato lo spingeva a combattere per rovesciare con la violenza la borghesia; né esso era pari a questo compito. Il "Moniteur" dovette spiegargli ufficialmente che era passato il tempo in cui la repubblica considerava opportuno rendere gli onori alle sue illusioni; e solo la sua sconfitta lo convinse della verità che il più insignificante miglioramento della sua situazione è un’utopia dentro la repubblica borghese, un’utopia che diventa delitto non appena vuole attuarsi. Al posto delle sue rivendicazioni, esagerate nella forma, nel contenuto meschine e persino ancora borghesi, e che esso voleva strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò l’ardita parola di lotta rivoluzionaria: Abbattimento della borghesia! Dittatura della classe operaia! Mentre il proletariato faceva della sua bara la culla della repubblica borghese, costringeva questa a presentarsi nella sua forma genuina, come lo Stato il cui scopo riconosciuto è di perpetuare il dominio del capitale, la schiavitù del lavoro. Avendo continuamente davanti ai propri occhi il suo nemico coperto di cicatrici, irreconciliabile, invincibile - invincibile perché la sua esistenza è condizione dell’esistenza stessa della borghesia - il dominio della borghesia, sciolto da ogni catena, doveva trasformarsi ben presto nel terrorismo della borghesia. Eliminato provvisoriamente dalla scena il proletariato, riconosciuta ufficialmente la dittatura della borghesia, gli strati medi della società borghese - piccola borghesia e classe dei contadini - nella misura in cui la loro situazione si faceva più insopportabile e più acuto il loro contrasto con la borghesia, dovevano sempre di più unirsi al proletariato. Come prima l’avevano trovata nella sua ascesa, così ora dovevano trovare la ragione della loro miseria nella sua disfatta. Se l’insurrezione di giugno rafforzò dappertutto sul continente la coscienza di sé della borghesia, e la spinse ad una alleanza aperta con la monarchia feudale contro il popolo, chi fu la prima vittima di questa alleanza? La stessa borghesia del continente. La disfatta di giugno le impedì di consolidare il suo dominio, e di mantenere il popolo, mezzo soddisfatto e mezzo illuso, sull’ultimo scalino della rivoluzione borghese. Infine la disfatta di giugno rivelò alle potenze dispotiche d’Europa il segreto che la Francia era costretta ad ogni costo a mantenere la pace all’esterno, per poter condurre la guerra civile all’interno. In questo modo i popoli che avevano iniziato la lotta per la loro indipendenza nazionale vennero dati in balìa alla prepotenza della Russia, dell’Austria e della Prussia, ma in pari tempo la sorte di queste rivoluzioni nazionali venne subordinata alla sorte della rivoluzione proletaria; esse vennero spogliate della loro apparente autonomia, della loro apparente indipendenza dal grande rivolgimento sociale. Né l’ungherese, né il polacco, né l’italiano possono essere liberi fino a che rimane schiavo l’operaio! Infine, in seguito alle vittorie della Santa Alleanza, l’Europa ha preso un aspetto tale che ogni nuovo sollevamento proletario in Francia dovrà coincidere in modo diretto con una guerra mondiale. La nuova rivoluzione francese sarà costretta ad abbandonare immediatamente il terreno nazionale e a conquistare il terreno europeo, sul quale soltanto la rivoluzione sociale del XIX secolo può attuarsi. Solo con la disfatta di giugno dunque sono state create le condizioni entro le quali la Francia può prendere l’iniziativa della rivoluzione europea. Solo immergendosi nel sangue degli insorti di giugno il tricolore è diventato la bandiera della rivoluzione europea: la bandiera rossa! E il nostro grido è: La rivoluzione è morta! Viva la rivoluzione! ”.