Giovanni Ruggiero, Avvenire 5/12/2010, 5 dicembre 2010
ALBANIA, NASCE LA LETTERATURA
Si capisce entrando nella libreria Adrion, sotto i portici del palazzo della cultura di Tirana. Basta leggere i titoli: opere di scrittori e poeti che in Albania vanno per la maggiore, ma che in Italia e nel resto dell’Europa non sono tradotti. Viceversa, le gentili commesse spalancano gli occhi stupite se si chiedono autori che da noi hanno avuto la loro fetta di successo. Qualche esempio. Avete mai sentito dire di Mira Meksi, di Drita Çomo, di Teodor Kenko o di Flutura Açka? Eppure in Albania sono spesso in vetta alle classifiche. Questo dice che la cultura albanese, quella del post comunismo, è come l’aquila bicefala della bandiera nazionale: una testa è rivolta al Paese, un’altra (quella degli scrittori che se ne sono andati) guarda al mercato estero cui si rivolge. Questi scrittori scrivono in un’altra lingua, italiano, francese, spagnolo, a seconda del Paese che li ha accolti. Ibrahimi Ahmeti, in italiano, come Ornela Vorpsi o Elvira Dones che scrive in francese. Con altri danno vita a quella che qualcuno ha definito ’letteratura dell’immigrazione’. È tutto da vedere, poi, se questa letteratura abbia una utilità interna, se cioè abbia una ricaduta sulla crescita culturale del Paese. Quanti sostengono che pure questo dovrebbe essere il compito dello scrittore, è quindi convinto che questa letteratura è senza peso in un Paese che vuole crescere, come l’Albania. Cosa definisce la cultura per così dire ad intra? «Stiamo cercando – dice Bashkinm Hoxha – un equilibrio della cultura locale in un modo globale. Cerchiamo cioè di coniugare la nostra cultura nazionale con quella che da venti anni stiamo scoprendo».
Bashkim Hoxha, oggi direttore del teatro stabile di Durazzo «Alexander Moisiu» dove Pirandello è ben noto, è anche autore di romanzi e commedie. I suoi personaggi sono albanesi di nome, ma sono ’eroi globali’, come li definisce il suo creatore. La nuova letteratura albanese costruisce nuovi eroi: dagli eroi armati (l’Albania ha un passato di guerre), ecco personaggi con tutte le sfaccettature esistenziali dell’uomo moderno.
Ed è questo, vedremo, il fattore che può allineare la letteratura albanese a quella europea e, tout court, a quella occidentale. È ancora centrale nelle pagine degli scrittori albanesi la sofferenza legata al passato regime comunista. Elio Miracco, il maggiore studioso italiano di lingua e letteratura albanese, usa l’espressione ’letteratura della memoria’. «Questi scritti – spiega – ci fanno scoprire, finalmente, autori degli anni Trenta che subirono la damnatio memoriae , come il francescano Gjergj Fishta che si leggeva sottobanco. Il giovane albanese lo conosceva solo perché era considerato dal regime un fascista collaborazionista, e con una frase si chiudeva il discorso sul più grande scrittore e intellettuale albanese». Ernest Koliqi ebbe la stessa sorte. Poi c’è tutta quella letteratura che si è prodotta durante il regime che oggi è ’memoria’ di quegli anni tristi. «In Albania – dice Miracco – era detta «letteratura del cassetto»: manoscritti mai pubblicati. Nasce dentro il carcere, quindi coeva del realismo socialista. Se non venisse a galla dovremmo dire che in Albania c’è stata soltanto la letteratura socialista, e ufficialmente era così.
Cito Pjeter Arbonori che scrisse tutto in carcere. La sua opera si è conosciuta soltanto quando finalmente fu scarcerato, caduto il regime». Questo filone della memoria è ricco e ancora tutto da scoprire. I giovani, invece, lontani per nascita da questo passato, non hanno tale «dovere di raccontarlo». «C’è in loro – dice Miracco – un riecheggiare occidentale, perché sono ripresi temi proprio dell’uomo. Il panorama letterario albanese è un arcipelago: non esiste una corrente letteraria unica, ma ciascuno tende all’universalità. L’uomo, al centro della letteratura, è universale e quando trattano dei suoi problemi, nell’uomo albanese si rispecchia l’uomo moderno generalmente inteso». È specchio di questo arcipelago la recentissima antologia Albania racconta 1991-2010, curata, tra gli altri, dal critico Ardian Klosi . Mette insieme 26 scrittori, molti dei quali vivono all’estero. Su questa emigrazione culturale, Klosi precisa: «Non importa in che lingua scrivano, ma cosa scrivono. E i temi sono universali: la famiglia, l’amore, la morte. A parte poi temi che sono propri albanesi, come quelli legati all’emigrazione: lo sfruttamento, la prostituzione, la difficoltà a integrarsi. C’è anche un filone simbolista. Anche kafkiano, con l’uso di parabole e metafore mitologiche o fiabesche per spiegare la propria condizione esistenziale». Questi vent’anni di ritrovata democrazia (che l’Albania ha sempre conosciuto per brevi periodi) sono stati anni di conoscenza. Se l’Albania non ha avuto corrispondenti periodi letterari è perché all’albanese non era consentito di conoscere Proust o Marquez o Mann e tanti altri. A Tirana una giovane scrittrice, Flutura Açka, ha messo su una piccola casa editrice (nel Paese c’è una proliferazione, tra molte difficoltà, di editori) che traduce in albanese scrittori altrimenti sconosciuti. Ha in catalogo Haruki Murakami, Doris Lessing, Orhan Pamuk: «Leggerli è servito anche a me. Presto – dice Açka che ha portato in questi giorni in libreria l’ultimo romanzo, Ku je? (Dove sei) – tutti gli scrittori albanesi dovranno confrontarsi con la letteratura europea e mondiale, e non so fino a che punto siamo preparati. Nel nome della transizione – aggiunge – abbiamo sperimentato tanto, ma vedevamo che quanto sperimentato era già stato fatto nel mondo. Dunque, non ha funzionato bene, e il giovane scrittore albanese non sarà scrittore europeo se continua a pensare come albanese e non come uomo europeo e occidentale». Impresa non è facile, prima perché – lo spiega lo storico Artan Puto – «il campo è ancora occupato dai grandi nomi del passato e poi perché mancano le possibilità di promuovere le giovani leve, e in Albania è difficile vivere da scrittore». Resta valido, con questa amarezza, quanto diceva un poeta albanese che ha molto sofferto nel passato regime, Frederik Rreshpja, oggi scomparso: «Avevamo la carta, ma non la libertà per scrivere. Adesso che abbiamo la libertà, ci manca la carta su cui scrivere finalmente: siamo liberi».