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 2010  dicembre 06 Lunedì calendario

«SIAMO RIDOTTI IN CATENE». L’ULTIMO URLO DEGLI ERITREI


Il rumore arriva sordo alla cornetta del telefono. «Senti le catene? Ci hanno legato, come gli schiavi». La voce della ragazza eritrea, sequestrata in mezzo al deserto insieme ad altri 250 africani di varie nazionalità, arriva da uno dei due accampamenti scelti dai trafficanti di uomini per nascondere la loro vergogna: centinaia di uomini e donne africane, provenienti anche dal­l’Etiopia, dal Sudan e dalla Somalia, so­no da settimane nelle mani di una ban­da senza scrupoli. Sognavano di arri­vare in Occidente, invece sono in una delle tanti prigioni improvvisate na­scoste intorno al Sinai. Sei di loro sono stati uccisi all’inizio di que­sta settimana, molti vengono torturati quo­tidianamente e sono in condizioni drammati­che. «Ora devo lasciar­ti, ricordati di manda­re i soldi», è la frase più ricorrente che usano per troncare qualsiasi conversazione e ’rassi­curare’ i loro aguzzini. Dall’altra parte del te­lefono, ci sono fami­glie, soprattutto svizzere e svedesi, a cui viene chiesto un contributo eco­nomico. «Fai in fretta, altrimenti mi tol­gono un rene». Sono i soldi del riscat­to, l’unica cosa che interessa ai traffi­canti di uomini del ventunesimo se­colo: scovare chi, tra questa povera gente, ha parenti in Europa e con loro alzare la posta della liberazione. In Li­bia era di 2mila dollari mentre adesso, sulle alture del Sinai, il prezzo della li­bertà vale quattro volte tanto.

«Hanno fiutato l’affare – spiega don Mosè Zerai, il sacerdote che dall’Italia sta dando voce alle vittime di questa vi­cenda – e lanciano ultimatum conti­nui. Sono armati fino ai denti e proba­bilmente c’è qualcuno che li copre, al­l’interno di una zona non controllata». Sotto accusa, nelle ultime ore, è finito proprio il governo egiziano, a cui si so­no rivolti nell’ordine la Farnesina, le organizzazioni delle Nazioni Unite che lavorano per i diritti umani e per i ri­fugiati, diverse Ong e le associazioni ecclesiali. «C’è una sostanziale inerzia da parte del Cairo» denuncia Matteo Pegoraro, copresidente del gruppo E­veryone, una Ong che lavora nel cam­po dei diritti umani, che ha lanciato anche un appello all’Europa e ha chie­sto il sostegno persino del Mossad i­sraeliano, affinché aiuti le autorità lo­cali nella cattura della banda.

I profughi sono richiedenti asilo, in fu­ga perenne dalla loro terra, finiti in trappola prima in Libia, da dove sono successivamente scap­pati, e ora con il mirag­gio di arrivare in Israele, dove vorrebbero chie­dere asilo politico. Ma la loro drammatica rin­corsa, passata di traffi­cante in trafficante, di ricatto in ricatto, è dive­nuta ormai un caso in­ternazionale. «Non è la prima volta che succe­de, ma è la prima volta che assistiamo a una deportazione di massa di queste proporzioni», è il monito duro di don Zerai. «Mai vi­sto un traffico di esseri umani di que­ste dimensioni», conferma Laura Bol­drini, portavoce dell’Alto commissa­riato Onu per i rifugiati (Acnur), che parla di «un fiorente business per que­sti sfruttatori, ancora più spregiudica­ti da quando sanno che sono chiuse le rotte d’accesso all’Europa che arriva­no via mare». I gruppi criminali sono da sempre in agguato e, quando ti muovi nelle terre di nessuno, diventa impossibile garantire protezione da parte degli Stati, in alcuni casi conni­venti proprio con le stesse organizza­zioni. «Speriamo che la mobilitazione in corso per la liberazione dia presto i suoi frutti» spiega don Zerai. Il tempo della vergogna (e delle catene) è già scaduto.