Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 06 Lunedì calendario

Piccolo catalogo critico dei critici letterari - Si parla tanto di rifor­ma universitaria, di meritocrazia, di ri­sultati verificabili? E se dovessimo appli­care alle terze pagi­ne i criteri meritocratici, quali sarebbero i risultati? Se a un dottorando in letteratura si ri­chiedono risultati scientifici, una volta uscito dall’universi­tà cosa mai potrà diventare? Non certo un critico letterario, al quale è richiesto di non sape­re nulla e, se mai avesse saputo qualcosa, di dover dimentica­re tutto

Piccolo catalogo critico dei critici letterari - Si parla tanto di rifor­ma universitaria, di meritocrazia, di ri­sultati verificabili? E se dovessimo appli­care alle terze pagi­ne i criteri meritocratici, quali sarebbero i risultati? Se a un dottorando in letteratura si ri­chiedono risultati scientifici, una volta uscito dall’universi­tà cosa mai potrà diventare? Non certo un critico letterario, al quale è richiesto di non sape­re nulla e, se mai avesse saputo qualcosa, di dover dimentica­re tutto. Così non troverete mai un critico che faccia riferi­mento a quelli che Harold Bloom chiama canoni in base a un principio meritocratico universale. Quindi perché stu­diare letteratura nelle scuole e all’università se poi i più gran­di scrittori italiani sono Camil­­leri, Faletti, Piperno, Saviano, perfino Veltroni e Francheschi­ni? Chi sono i critici italiani? Li si può dividere in categorie, vo­lendo, ma ciascuno le rappre­senta tutte, uno per tutti, tutti per uno. L’ACCADEMICO Non scrive sui giornali. Al massimo dà un’oc­chiata alle pagine culturali di Repubblica, del Corriere, del Manifesto o del Sole24Ore per vedere se qualcuno lo nomina. Infatti non c’è nessuna soluzio­ne di continuità tra le classifi­che di vendita, le recensioni e gli autori viventi studiati e invi­tati come oratori negli atenei, troverete gli stessi nomi del mainstream editoriale: Pen­nacchi, Scarpa, Saviano, Scura­ti, Ammaniti, Avallone. Spesso a parlare di politica, perché del­la letteratura non frega niente neppure a loro. DA TRENTA PAGINE Legge solo l’inizio dei romanzi che recen­sisce per lavoro e, se troppo vo­luminosi e complessi, li stron­ca preventivamente, contan­do s­ulla certezza che tanto nes­sun altro li leggerà. Angelo Gu­glielmi definì Aldo Busi «un grande scrittore che scriveva brutti libri», non significa nulla ma suona bene. Filippo La Por­ta continua a dare dello scritto­re fallito a Moresco ma a cola­zione mi rivela di non aver let­to se non le prime trenta pagi­ne di Canti del Caos e, in quan­­to giurato allo Strega, di aver let­to dell’ultimo Pennacchi, il vin­citore, solo le prime trenta pagi­ne, pur avendolo votato, e per mi chiede «Tu l’hai letto? Co­m’è? ». Siamo l’unico paese in cui un grande romanzo di mil­le pagine di Jonathan Littell non ha suscitato dibattiti ma stroncaturine piccate perché non era facile da leggere come Aldo Nove. D’altra parte ho molte esperienze personali an­che sui più insospettabili: Car­la Benedetti, prima di scrivere un’entusiastica recensione di un mio romanzo su L’espresso mi inviò decine di mail per chiedermi come finiva, perché non aveva tempo di leggerlo. Per fortuna lo stesso romanzo fu altrettanto entusiasticamen­te recensito da Filippo La Porta e definito «Il Fratelli d’Italia del 2000», e anziché sentirme­ne lusingato, poiché con il li­bro di Arbasino il mio c’entra­va ben poco, ne dedussi che do­vesse aver letto solo le prime trenta pagine di Arbasino. Da allora smisi di contestare a un genio come Aldo Busi di anda­re in televisione in contesti sciocchini e ballerini e lo com­presi. Meglio avere come refe­rente Maria De Filippi che un critico italiano, e ormai quan­do mi invita Barbara D’urso ci vado perché meglio andare dalla D’urso a pagamento che a cena con un critico gratis. L’AMICO DELL’UOMO Se sei uno scrittore vero e conosci un criti­co lo eviti, se sei lesivo e autole­sionista come Parente lo umili o lo sputtani pubblicamente consapevole che tanto di loro, mancando le opere, nulla re­sterà. Intanto ti faranno terra bruciata intorno ma non ci riu­sciranno, l’hai già bruciata tu. Se sei un autore qualsiasi e arri­vista quanto basta lo coccoli e lui ti ricambia citandoti appe­na può: il critico è il miglior ami­co dell’uomo, basta accarez­zarlo, tanto non legge. Così è sufficiente vedere le liste degli autori indicati nei recenti di­battiti sugli “under 40”apparsi negli ultimi mesi sul Sole24Ore per avere una mappa comple­ta delle consorterie. Li ritrova­te insieme alle presentazioni, nei cenacoli, all’interno delle stesse collane dove spesso gli autori sono anche direttori di collana che offrono collabora­zioni e saranno fedelmente ri­cambiati, e non mancano pa­rentele: il Pedullà critico che elogia tanto Nicola Lagioia non è il padre ma il figlio, ma il Nicola Lagioia elogiato da Pe­dullà figlio è anche il suo diret­tore di collana. L’ABUSIVO Non essendo uno scrittore, e tantomeno un criti­co, attacca chiunque osi scrive­re un capolavoro. Spesso, non essendo neppure un critico, tende a sovvertire i generi per portare in alto il basso e l’alto in basso, sotto la sua scrivania, sotto i suoi piedi. L’esempio più noto è Antonio D’Orrico: dopo aver stroncato Joyce e Musil, dopo aver elevato Piper­no a Proust italiano e Faletti a il più grande scrittore italiano vi­vente, oggi esalta il librino di Ammaniti Io e te come un capo­lavoro. Meno è meglio è. Più i libri sono insignificanti più so­no immensi. Ha perfino inven­tato le recensioni in venticin­que parole, per sbrigare il lavo­ro ancora prima. IL GIORNALISTA È sostanzial­mente uguale agli altri ma è dichiaratamente un giornali­sta che scrive di romanzi co­me scriverebbe di mozzarel­le­se fosse un critico gastrono­mico, tanto ormai non c’è bi­sogno di aver scritto i saggi di Bachtin o di Steiner o di Todo­ro­v o Genette o Adorno per es­sere critici, neppure di averle letti, anzi è d’obbligo ignora­re tutto, al massimo citare Pa­solini che va bene sempre. Le recensioni saranno poi rac­colte in tanti pamphlet: il cri­tico come intruso, casi critici, il critico militante, il tradi­mento dei critici. Nessuno li legge ma loro se li spulciano tra loro, è l’equivalente del grooming degli scimpanzé. IL MULTICULTURALISTA Ospite da Michele Mirabella, su Rai Tre, due settimane fa, cercavo di spiegare in tv che uno scrit­tore scrive delle opere e, se so­no opere d’arte, un critico è in funzione dell’opera, mai il contrario. Rispetto alle grandi opere: Proust o Michelangelo o Gadda sono più importanti di Debenedetti o Vasari o Con­tini, perché i secondi studia­no i primi e dipendono dai pri­mi, mai il contrario. Ma il buon Mirabella non mi capi­va, io ero il vecchio e il giovane era lui: «Ma perché questa ge­rarchia così rigida? È bella la contaminazione» e, contami­nato anche Michele, mi ri­spondeva come Jovanotti. L’AUTOCITAZIONISTA La Porta cita Berardinelli che cita Mani­ca che cita Onofri, nella spe­ranza che qualcosa resterà. Emblematico il titolo dell’ulti­mo libro di La Porta: Meno let­teratura, per favore! , la porta aperta agli amici critici. Diffici­le capire quale sia la differen­za qu­alitativa tra una recensio­ne di Giovanni Pacchiano, cri­tico professionista, e una re­censione di Loredana Lipperi­ni, giornalista, né su cosa si fondi la loro autorevolezza se i risultato sono identici e i curri­cula anche. Interpellare la Gel­mini. L’AUTOCRITICO È crucciato e i­m­pegnato a interrogarsi sul ruo­lo della critica. Non leggono più i grandi scrittori ma studia­no i critici colleghi perfino co­me modello di scrittura. Se la Gelmini fosse andata a assiste­re al convegno sulla critica te­nutosi alla Sapienza di Roma avrebbe tagliato non i finan­ziamenti alla facoltà di Lette­re e Filosofia ma direttamente le loro teste. QUELLO VERO Non scrive sui giornali, e per quanto mi ri­guarda nonostante le belle re­censioni ricevute negli anni sui miei romanzi, i migliori cri­tici li ho trovati nei lettori, che a differenza dei critici leggono i libri. Mi sono arrivati, nel tempo, lunghi scritti sui miei romanzi da chi non te li aspet­teresti mai, illuminanti perfi­no per me, positivi o negativi. Un cuoco abruzzese che si chiama Domenico Valeriano Durante, un ventunenne sar­do al primo anno di giurispru­denza che si chiama Claudio Ottonello, un barista di Tori­no, un impiegato delle poste di Palermo, un avvocato di Na­poli e tanti altri. Sono loro i ve­ri critici. VISTO DAL GENIO Witold Gom­browicz: «Come può un infe­riore giudicare un superio­re? ». Alberto Arbasino: «L’af­fre­ttato feuilletton per il quoti­diano o il settimanale è la prin­cipale attività del recensore ­e non il sottoprodotto occasio­nale di impegni più seri, come la saggistica o l’insegnamen­to- come non definire questo tipo di critico un architetto che non abbia costruito né una casa né una scuola, ma so­lo cabine da spiaggia o la cuc­cia del cane?». Gustave Flau­bert: «Siamo invasi dalla mer­da ». Massimiliano Parente: «Non è ora di tirare lo sciac­quone? Ma dov’è?».