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 2010  dicembre 06 Lunedì calendario

SU INTERNET DILAGA LA RIVOLTA DEI FAN "NON SPEGNERETE LA VOCE DELLA VERITÀ" - NEW YORK

Il popolo del web si specchia in WikiLeaks e la battaglia per tenere in vita il sito che sta rivelando i segreti del mondo si avvia davvero a diventare la prima info-guerra mondiale. I siti specchio - i cosiddetti mirrors - sono l´ultima speranza per la creatura di Julian Assange. «Wikileaks sono io...» si legge nei messaggini su Twitter che dall´America all´Europa convogliano il traffico verso i siti che rilanciano i contenuti del cablegate: clicchi appunto sull´indirizzo "imwikileaks" e vieni rimandato alla pagina che gli Stati Uniti di Barack Obama hanno vietato di aprire ai dipendenti pubblici e ai militari. Mica uno slogan scelto a caso questo "I´m WikiLeaks". Il riferimento è a "I´m Spartacus" - "Sono io Spartaco": la frase con cui nel film di Stanley Kubrik gli schiavi ribelli si denunciavano a uno a uno per proteggere lo Spartaco vero.
Spartaco-Assange contro l´Impero Romano di Obama? Neppure Hollywood saprebbe immaginare adesso un finale convincente per la battaglia apertissima. Ieri sera dagli Usa era sempre più difficile connettersi a quel wikileaks.ch che è diventato l´indirizzo ufficiale dei rivelatori di segreti da quando gli americani hanno chiuso il dominio wikileaks.org. Nemmeno l´esilio nella neutrale svizzera ("ch" è il suffisso della confederazione) sembra poter salvare Julian Assange. Le autorità elvetiche sono sotto pressione dopo che l´ambasciatore degli Usa, Donald Beyer, ha sostenuto che gli svizzeri «dovrebbero fare molta attenzione nel dare asilo a un latitante». Sembra un messaggio che non si non può rifiutare. E come se non bastasse il diplomatico avrebbe anche avvertito che il sito potrebbe presto spifferare 250 cable in partenza dall´ambasciata americana a Berna.
La Francia si è già allineata. Il server OVH ha sloggiato Assange che aveva fatto tappa virtuale a Parigi dopo essere stato sbattuto fuori da Amazon: la società ha così prontamente raccolto la richiesta del governo. Poi dice che non avevano ragione i diplomatici Usa a definire Nicolas Sarkozy un monarca. E così adesso resta in funzione solo il centro operativo della Bahnhof: in un bunker costruito in Svezia ai tempi della guerra fredda. «WikiLeaks colpisce ancora» promettono i fan su Twitter citando ancora una volta un film. Ma la fantasia al potere non s´è vista mai. E c´è già chi teme che Assange possa essere tagliato fuori anche dai messaggini. Le regole di Twitter - così come quelle della pagina Facebook su cui il gruppo - ha oramai più di 600mila amici - prevedono che nessuno possa usare il servizio «per scopi o per la promozione di attività illegali». È il motivo per cui Amazon e PayPal hanno già troncato ogni rapporto, negando, le pressioni del governo. Forse anche per questo WikiLeaks è già corsa al riparo trasmettendo i messaggini non sul canale Twitter principale ma su TwittBackup: una sorta di archivio che resterebbe comunque in piedi.
Dice bene Evgeny Morozov. Il professore di Stanford è uno dei critici più accessi della cosiddetta "democrazia web" come dimostra nel libro La delusione della rete che sta per pubblicare. Ma intervistato dal Financial Times mette in guardia dalle conseguenze dell´info-guerra lanciata dagli Stati Uniti. Già adesso sul web se ne leggono di tutti i colori: «Se Assange ha violato la legge anche la legge va cambiata». Wikileaks non è più un sito ma una rivoluzione. Ma il professore va oltre: «WikiLeaks potrebbe trasformarsi da un pugno di volontari a un movimento globale di tecnofan politicizzati e in cerca di rivincita. E se oggi parla il linguaggio della trasparenza domani potrebbe sviluppare un nuovo codice: anti-americanismo, anti-imperialismo e anti-globalismo». WikiLeaks, che nel lanciare gli slogan non è seconda a nessuno, l´ha già chiamato "maccartismo digitale". E´ come la caccia alle streghe ai comunisti negli anni Cinquanta. «E la sua persecuzione - dice Morozov - potrebbe portarlo alla guida di un movimento globale capace di paralizzare il lavoro dei governi e aziende». Il ritorno del popolo di Seattle. Via web.