FRANCESCO MANACORDA, La Stampa 6/12/2010, pagina 25, 6 dicembre 2010
“In banca clienti superprotetti” - «Bisogna rivedere le regole del gioco tra banche e clienti»
“In banca clienti superprotetti” - «Bisogna rivedere le regole del gioco tra banche e clienti». In effetti. Le associazioni dei consumatori lo chiedono spesso... «No, guardi, il problema è opposto. Noi siamo passati da qualche anno fa, quando il cliente era davvero poco protetto, alla situazione attuale in cui invece è molto protetto». Victor Massiah, curriculum d’ordinanza da ex Arthur Andersen e poi McKinsey, «Bazoli boy» per aver lavorato con il professore alla costruzione di Intesa, è da due anni amministratore delegato di Ubi Banca, quinto gruppo bancario italiano, terzo nel risparmio gestito. In questa intervista gioca in contropiede per almeno due motivi. Il primo lo ha appena detto; il secondo è che a gennaio sposterà la sede della Banca Regionale Europea, una delle nove del gruppo, da Milano a Torino. «Di questi tempi - dice - non è un percorso scontato». Vero, ma prima ci spieghi meglio: banche bistrattate e clienti ipergarantiti? Davvero? Urge caso concreto. «Qualche anno fa si faceva pagare una penale a chi estingueva in anticipo un mutuo a tasso variabile; non era giusto. Ma ora siamo all’eccesso opposto. Bisogna abbattere il tabù per cui un cliente con mutuo a tasso fisso può cambiare contratto o estinguerlo senza pagare nulla. La banca, quando concede un mutuo di questo genere, si accolla un rischio tassi che va remunerato. Occorre, come in tutto, un approccio equilibrato». Riecheggiano le parole di Giovanni Bazoli poche sere fa a Bergamo: troppe regole rischiano di strangolare le banche. «Il professor Bazoli fa riferimento a un altro aspetto: l’eccesso di controlli e di burocrazia che talvolta pare dimenticare che una banca è un’impresa e quindi non può essere a rischio zero». Par di capire che lei approvi. «Del tutto: regole di Basilea, Ias, Compliance. È tutto giustissimo, ma se si supera un livello adeguato si fanno almeno due vittime». E chi? «Le piccole banche, non hanno la dimensione per far fronte a un tal carico di regole. E poi anche i clienti. Ad esempio la comunicazione verso di loro sta diventando “obbligatoriamente” sempre più complessa e quindi meno comprensibile. Per fortuna mi sembra che la Banca d’Italia abbia in programma per il 2011 una razionalizzazione. Mi auguro una forte semplificazione». Torniamo ai clienti. Che cosa dovrebbero cambiare? E voi banche siete così inappuntabili? «Le banche devono essere trasparenti, non c’è dubbio. E chi non lo è deve essere punito. Ma poi serve una grande opera di educazione finanziaria, a partire dalle scuole. Perché non si insegna come calcolare le rate di un mutuo, visto che la stragrande maggioranza di noi avrà bisogno di saperlo?». Mutui a parte dal mondo delle imprese si accusano le banche di centellinare il credito... «Posso rispondere per noi: nei primi nove mesi del 2010 gli impieghi sono saliti del 4,8%. Ma bisogna dire che il credito è il risultato di un esame di merito, non un diritto costituzionale. È ovvio che in una situazione di difficoltà si può dare credito a chi lo merita nel lungo periodo, anche se ha difficoltà contingenti. E questo è stato fatto. Ma non si può separare il credito dal merito. Sarebbe un male per le banche e per le aziende». Voi siete una banca mediogrande, che mantiene però ben nove istituti sotto la holding. Perché questa scelta mentre tanti altri hanno fuso le loro banche? «Non mi pare che ci sia una ricetta magica. Hanno avuto problemi banche grandi e banche piccole. Noi siamo convinti di far funzionare al meglio un modello federale: le banche gestiscono ciascuna il suo territorio, la strategia è comune. Un modello “glocal”, che pensa globale e agisce nel locale». Da qui il trasloco a Torino? «Sì, da gennaio spostiamo la direzione generale della Bre da Milano a Torino. E’ giusto che questa banca, con 228 sportelli e una missione legata al territorio piemontese, sia al centro di quest’area. Peraltro intendiamo far crescere ancora la Bre nel Piemonte settentrionale». Malumori a Cuneo, dove sta la fondazione vostro grande socio? «Per niente. Anzi, l’indicazione di Torino come sede centrale ci è venuta proprio dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo. La sintonia fra azionisti è indispensabile». Parliamo ancora di regole. Qualche mese fa gli stress test in tutta Europa. Ora il ciclone sulle banche irlandesi. C’era il trucco? «Noi abbiamo preso con grande serietà i test e siamo apparsi con livelli di patrimonializzazione inferiore sia alle banche irlandesi che adesso devono ricorrere agli aiuti di Stato, sia ad alcune tedesche che stanno varando aumenti di capitale. Mi sembra opportuno che si pensi a rifarli». La speculazione punta su un rischio Italia. Esiste davvero? «Penso proprio di no. È vero che abbiamo 1,8 trilioni di debito pubblico, ma da noi il risparmio privato è da record e di fronte a quel debito ci sono 8 trilioni di attivi. E poi il deficit è al 5% del Pil, livello rispettabile, ma inferiore a quello di molti altri Paesi. Ancora, abbiamo sostanzialmente già fatto la riforma delle pensioni». Torniamo da voi. Avete anche una merchant bank, Centrobanca. Sento quel nome e penso al crac Burani... «E io penso a un paragone con Parmalat. All’inizio sembrava un problema delle banche; poi abbiamo scoperto che qualcuno falsificava i bilanci e alla fine le banche sono uscite indenni dal processo». Qui è davvero lo stesso caso? «Qui abbiamo qualcuno - da quel che apprendo dagli atti processuali pubblici - che ha già detto che i bilanci presentati dagli azionisti ai revisori, erano falsi. Siamo stati danneggiati per 65 milioni. Danni di cui vogliamo rientrare. Nonostante la botta Centrobanca ha chiuso il 2009 in utile e anche nei primi nove mesi del 2010 il trend è confermato. È sana, ha un futuro al servizio delle piccole e medie imprese».