Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 05 Domenica calendario

LE NOSTRE BUSSOLE PER CAPIRE IL MONDO

Parigi. «Nonostante si pensi spesso il contrario, nei colori non c´è nulla d´universale. La loro percezione, il loro uso e la loro simbologia cambiano in funzione dei luoghi, dei tempi, delle società e delle culture». Lo ricorda ancora una volta Michel Pastoureau, uno dei più autorevoli specialisti mondiali del colore, che da anni ne studia la storia e le pratiche sociali, ricostruendo pazientemente conoscenze, significati e tradizioni. Tale prezioso lavoro di ricerca è testimoniato da libri come I colori del nostro tempo, Blu e Nero (tutti da Ponte alle Grazie), a cui ora si aggiungono Les couleurs des nos souvenirs (uscito in Francia da Seuil), e Croma (Contrasto Due), un affascinante ed emozionante viaggio fotografico attraverso la magia dei colori nei quattro angoli del pianeta.
Accogliendoci nel suo studio parigino ingombro di libri, lo storico francese, per il quale «i colori consentono di capire molti aspetti di una società», ricorda innanzitutto che il colore è stato a lungo considerato «una materia che riveste la realtà». Lo confermano molti testi medievali, ad esempio quelli dei monaci cistercensi, «che condannavano il colore perché occultava la verità delle cose». Più tardi, nel Diciottesimo secolo, riprendendo un´intuizione già presente in Aristotele e sfruttando le scoperte di Newton, «si è imposta la concezione del colore come frazione della luce». Più di recente, ci si è interessati delle relazioni tra l´uomo e il colore, facendo emergere la centralità della percezione: «Secondo questa prospettiva, un colore che nessuno guarda è un colore che non esiste», spiega Pastoureau, per il quale «la concezione contemporanea del colore nasce alla frontiera tra questi tre elementi - materia, luce e percezione - anche se in fondo per gli individui il colore è una categoria astratta, un´idea».
Per questo, da sempre, i colori sono utilizzati come etichette per classificare e gerarchizzare il reale, dividendolo in gruppi e sottogruppi: «Le variazioni cromatiche, si trasformano allora in codici e convenzioni che talvolta producono uno scarto tra il colore reale, il colore nominato e il colore percepito. Si pensi ad esempio al vino cosiddetto "bianco", che di bianco non ha assolutamente nulla». Naturalmente, affermare che i colori sono delle convenzioni sociali e culturali non significa negare la dimensione soggettiva della percezione, che però solo raramente entra in conflitto con le abitudini collettive. «Tutti noi viviamo in società. Ciò che amiamo, crediamo o detestiamo passa attraverso lo sguardo degli altri. Il gusto individuale è quindi molto dipendente dai gusti collettivi», sottolinea l´autore di Croma, ricordando che la percezione soggettiva interviene più facilmente nei ricordi: «Per me, la memoria è come un blocco in bianco e nero. Quando recupero e rendo coscienti i singoli ricordi, allora attribuisco loro un colore che però, più che alla realtà passata, è legato al contesto in cui vivo e alle convenzioni cromatiche dominanti. Spesso, infatti, associamo un ricordo a un colore particolare, che però poi scopriamo non avere nulla a che vedere con le tonalità reali della realtà alla base del ricordo».
Il dominio delle convenzioni è confermato anche dalla stabilità delle preferenze individuali. Il colore più amato è infatti sempre lo stesso dalla fine del Diciannovesimo secolo: «In Europa, metà della popolazione preferisce il blu, mentre il colore meno amato è il giallo. Nonostante i cambiamenti sociali e tecnologici, i gusti evolvono molto lentamente proprio perché i colori sono innanzitutto delle categorie astratte». Per spiegare la prevalenza nel mondo occidentale delle tonalità più scure, Pastoureau ricorda che per molto tempo i colori considerati più belli erano quelli importati da lontano, ad esempio dall´Asia. Erano quindi costosi e da usare con parsimonia in circostanze e luoghi eccezionali, come i palazzi e le chiese: «Dominava l´idea che i colori fossero troppo belli perché se ne potesse abusare. Il timore che utilizzandoli troppo si finisse per svilirli e banalizzarli ha forgiato il nostro immaginario cromatico». Come pure la convinzione che i colori sgargianti fossero volgari: «Si tratta di un´eredità della morale religiosa protestante che, in questo ambito, si è imposta anche nel mondo cattolico. Per i protestanti, un buon cristiano doveva vestirsi con colori "onesti", come il nero, il grigio o il blu. La condanna del rosso, del giallo e del verde ha avuto importanti conseguenze nella vita quotidiana dell´Occidente, dato che, a partire dal Sedicesimo secolo, un uomo vestito di giallo o di rosso è considerato un individuo stravagante. Il grande successo contemporaneo del blu si spiega anche così».
Nei suoi studi l´autore di Blu e Nero, che ora sta preparando un libro sul verde, ha messo in luce l´estrema varietà del simbolismo dei colori, i cui significati cambiano di continuo, spesso sovrapponendosi gli uni agli altri senza tuttavia sostituirsi: «Il rosso, ad esempio, è il colore della collera, del sangue, della trasgressione, dell´eros, ma contemporaneamente è il colore dell´amore, della festa, del potere, della bellezza. Anche il nero è molto polivalente, sebbene gli aspetti negativi abbiano spesso preso il sopravvento, visto che lo associamo più facilmente alla morte, alle tenebre e all´angoscia. Il nero però evoca anche l´autorità, la temperanza e la dignità, senza dimenticare che oggi viene associato all´eleganza, al lusso e alla modernità». Insomma, i colori assumono un senso «solo in rapporto all´uso che se ne fa, al contesto in cui operano e agli altri colori a quali vengono associati o contrapposti».
Anche per questo, conclude Pastoureau, bisogna guardarsi dai rischi di una società satura di colori luccicanti: «Viviamo in un mondo dominato dagli schermi che ci bombardano in continuazione di immagini brillanti. La loro onnipresenza rischia di privare il colore del suo potere d´attrazione e del suo mistero. Insomma, un mondo troppo sfavillante rischia di uccidere il colore». Monito finale di uno studioso che ai colori ha dedicato tutta la sua vita.