MARCO ZATTERIN, La Stampa 6/12/2010, pagina 19, 6 dicembre 2010
Cammino tortuoso senza Parigi e Berlino - Raccontano i file di Wikileaks che, quando nell’aprile 2009 il sindaco di Parigi illuminò la Torre Eiffel con i colori nazionali turchi perché il premier Erdogan era in città, i collaboratori di Nicolas Sarkozy fecero cambiare rotta all’aereo presidenziale per evitare che il grande capo notasse la cosa e s’irritasse
Cammino tortuoso senza Parigi e Berlino - Raccontano i file di Wikileaks che, quando nell’aprile 2009 il sindaco di Parigi illuminò la Torre Eiffel con i colori nazionali turchi perché il premier Erdogan era in città, i collaboratori di Nicolas Sarkozy fecero cambiare rotta all’aereo presidenziale per evitare che il grande capo notasse la cosa e s’irritasse. I diplomatici americani ne trassero lo spunto per commentare come il francese vivesse «in impunità stile monarca», eppure il cablogramma reiterava e amplificava soprattutto la profonda contrarietà del primo cittadino dell’Esagono nei confronti della Turchia come possibile Stato Ue. Un’opposizione politica, quella dell’establishment transalpino, resa ancora più dura dall’insofferenza personale di Sarkò. Ne consegue che la Francia non vuole nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che i ministri di Ankara si siedano al tavolo di Bruxelles con pari onori e doveri. La sua chiusura rappresenta l’ostacolo più alto al futuro comunitario dei turchi, ma non l’unico. Anche la Germania di «Frau Merkel» è almeno fredda nei confronti dell’adesione. Berlino spinge per «un partenariato privilegiato» in luogo di un’adesione a tutto tondo: scambi commerciali, abolizione di visti, però niente bandiere a dodici stelle sui palazzi dell’Anatolia. Detto che la Grecia è contraria per causa di Cipro, ecco che il quadro appare problematico. Questione di opportunismo politico, più che di strategia globale. I governi francese e tedesco sono convinti che un’apertura al dialogo con i turchi, anche soltanto nella prospettiva di accoglierli fra dieci anni o più, equivarrebbe ad una grave emorragia di consensi che preferiscono evitare. Un discorso, questo, che l’Italia non fa. Il nostro governo è apertamente pro Turchia, anche se nella componente leghista si registrano rumorosi mal di pancia se si affronta l’argomento. La posizione ufficiale della Farnesina è che Roma insiste per la «piena adesione» della Turchia nell’Ue e «condivide la frustrazione turca, per la lentezza dei negoziati, eccessivamente politicizzati». Linea chiara. Molto simile a quella degli Stati Uniti che tifano per Ankara. Forse è vero che Erdogan fa il doppio gioco fra Europa e Iran, come Wikileaks fa dire al ministro degli Esteri Frattini. Eppure nella diplomazia delle relazioni ufficiali, che ancora ha un senso nonostante tutto, il premier turco avverte che «sino a che saremo fuori, l’Ue non sarà protagonista globale; se entrassimo, diventerebbe un ponte fra l’Europa e mezzo miliardo di musulmani». L’America professa l’adesione pensando a questo. I turchi sono nella Nato e ciò mette al sicuro il nodo della Difesa. Chiudere il discorso a livello politico ed economico è un compito che Washington vorrebbe vedere fare a Bruxelles. Sarà difficile e ci vorrà tempo. La Turchia è in lista d’attesa per l’adesione dal 1987. Il negoziato vero e proprio è cominciato nel 2005. Da allora sono stati aperti 13 capitoli su 35 previsti, uno solo dei quali è stato chiuso. La Commissione Ue, che il mese scorso ha espresso parecchie riserve sul dossier, ritiene che «per poter accelerare le trattative il Paese deve adempiere gli obblighi derivanti dall’unione doganale e progredire verso la normalizzazione delle relazioni con Cipro». L’esecutivo ammette che il referendum costituzionale del 12 settembre ha «creato i presupposti per un avanzamento in numerose aree». Eppure si chiedono sforzi sui diritti fondamentali (dalle donne ai gay), la libertà di stampa, il trattamento delle religioni non islamiche, ebraismo in particolare visto che si registrano pulsioni all’antisemitismo. Pure l’apertura «democratica» ai curdi pare «aver prodotto risultati limitati». L’Ungheria, che sarà presidente di turno dell’Ue da gennaio, ha messo nel suo programma l’apertura di unodue capitoli. È il massimo a cui si può aspirare se Francia e Germania sono di traverso, ed è poco. Un poco che, in ogni caso, sarà molto difficile da ottenere.