GIACOMO GALEAZZI, La Stampa 6/12/2010, pagina 7, 6 dicembre 2010
Il monsignore su due ruote “Assurdo morire in gita” - Monsignor Carlo Mazza (vescovo di Fidenza, ex responsabile Cei della pastorale dello sport e cappellano della squadra italiana in cinque Olimpiadi e quattro Giochi del Mediterraneo), come nasce la sua passione per la bicicletta? «Sono bergamasco della generazione di Gimondi, quindi già in seminario la bicicletta era il mio consueto mezzo di locomozione
Il monsignore su due ruote “Assurdo morire in gita” - Monsignor Carlo Mazza (vescovo di Fidenza, ex responsabile Cei della pastorale dello sport e cappellano della squadra italiana in cinque Olimpiadi e quattro Giochi del Mediterraneo), come nasce la sua passione per la bicicletta? «Sono bergamasco della generazione di Gimondi, quindi già in seminario la bicicletta era il mio consueto mezzo di locomozione. Per molti anni ho praticato vari sport e muovermi su due ruote mi è sempre sembrato naturale. Poi nei 25 anni trascorsi a Roma ho perso un po’ l’abitudine e quando sono venuto qui in Emilia, nella terra di Guareschi e del prete ciclista don Camillo, mi è venuto spontaneo riprendere a usare la bicicletta. Ma recentemente ho dovuto rinunciare perché purtroppo mi sono subito reso conto che i tempi sono cambiati e chela motorizzazione di massa ha drammaticamente aumentato i pericoli. Viviamo un tempo di profonda insicurezza e quanto è accaduto a Lamezia Terme è tanto più terribile perché ribalta nel suo opposto la cultura della vita e del rispetto che è propria del muoversi su due ruote». I sacerdoti della sua diocesi continuano a utilizzare la bici? «Sì. Spesso quando c’è da andare ad assistere un malato o incontrare una famiglia del circondario si inforca la bicicletta e si va. Il problema è che al giorno d’oggi i rischi sono cresciuti in maniera incontrollabile. Morire così mentre si pedala in allegria tra amici è la negazione dello sport. Mi commuove ricordare la preghiera di Giovanni Paolo II il 28 ottobre del 2000, allo stadio Olimpico. Al termine della sua omelia il Papa pregò per l’atleta e lo paragonò all’atleta di Dio, Gesù, offrendo il modello di Cristo a tutti gli sportivi, a tutti gli atleti». Da cosa dipende se neppure pedalare è più sicuro? «E’ come se due epoche geologiche si siano sovrapposte. Ormai anche nei piccoli centri la modalità più rilassata e salutare della bicicletta affianca la frenesia delle strade sempre affollate di auto. E’ una convivenza di mondi che provoca pericoli per i ciclisti perché ci si trova a pedalare lungo vie trasformate in micidiali trappole d’asfalto. E’ una marcia a ostacoli. Per questo ho dovuto abbandonare la bicicletta. A un certo punto non mi sono più sentito sicuro né a mio agio sul mezzo che mi ha accompagnato lungo l’intera missione di sacerdote prima e di vescovo poi. Mi addolora moltissimo che l’irresponsabilità di un singolo ricada su persone innocenti. Quelle vite spezzate simboleggiano un presente frequentemente inquinato da un’assenza di sicurezza anche nei momenti e nei gesti che dovrebbero essere i più tranquilli e spensierati». Cosa prova davanti a una tragedia simile? «In questo tempo di incertezza è raccapricciante trovare la morte per una gita. Qualcuno che evidentemente non sa neppure cosa sia la strada ha tramutato una domenica in bici in una tragedia. Dalla gioia di un’esperienza bella e rilassante a un dolore inspiegabile. Sono sconvolto come pastore, vecchio utente delle due ruote e sportivo. Fare sport implica un investimento totale da parte di una persona che mette in campo la sua dimensione fisica, emozionale, atletica e corporale. È questo che fa di una disciplina sportiva un investimento sull’uomo nella sua complessità e quindi uno strumento educativo. Questi cicloamatori sono stati uccisi mentre celebravano la vita attraverso lo sport». Colpa di un singolo o segno di un’epoca? «Il colpevole non è un normale utente della strada e la sua condotta non è imputabile a pura fortuità. Se si guida in quelle condizioni e in quel modo poi non si può parlare di incidente, di evenienza sfortunata. Chi ama lo sport ama la vita e la rispetta sempre. Vedere innocenti falciati in bicicletta è per me uno choc. Attraverso lo sport, che riguarda la persona umana e in particolare il corpo dell’uomo, si esprime la potenza, la bellezza, la gloria divina».