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 2010  dicembre 06 Lunedì calendario

BANCA DEL SUD. PER DECOLLARE SERVIREBBE BEN ALTRO CAPITALE


Poste Italiane rompe gli indugi e si prepara ad acquistare il Mediocredito centrale da Unicredit per farne il cuore della Banca del Sud. L’operazione è già stata criticata perché rappresenta una marcia indietro rispetto alle privatizzazioni.

Ma non è questo il punto principale. Non lo è perché la crisi finanziaria globale, innescata dalle banche anglosassoni, ha rimesso in discussione il pregiudizio favorevole alla mano privata. E non lo è neanche per la cifra in gioco, circa 130 milioni, la cui modestia riflette l’ormai minuscola dimensione operativa del Mediocredito. Nel 2002, infatti, il Mediocredito, che aveva in corpo anche il Banco di Sicilia, venne acquisito da Capitalia che ne assorbì la liquidità e le competenze nel credito agevolato, settore peraltro di importanza decrescente, prima di essere essa stessa incorporata da Unicredit.

Il piano
Il progetto operativo della Banca del Sud rimane ancora largamente da capire. E’ vero che le grandi banche meridionali sono finite tutte in pancia alle consorelle del Nord, ma a questa migrazione delle proprietà non è seguito lo spostamento degli impieghi. Che anzi sono aumentati e oggi assorbono ampiamente la raccolta. La storia del risparmio drenato dall’ex Regno delle Due Sicilie verso la Padania è superata da anni. D’altra parte, è difficile individuare un servizio specifico che già non sia disponibile presso le banche già oggi attive nel Mezzogiorno, a cominciare da quelle di credito cooperativo. E il Mediocredito trasformato in Banca del Sud non avrà sportelli suoi, ma raccoglierà lavoro procurato dai 600 sportelli delle Bcc da Roma in giù e dai 5 mila sportelli di Poste Italiane. Ma qui bisogna intendersi.

Con un capitale sociale che, se e quando entreranno le Bcc, arriverà attorno ai 200 milioni, non si fanno né raccolta né impieghi diretti. Semmai si può fare consulenza, organizzare garanzie altrui, aiutare a sistemare i Confidi. Attività utili, se ben eseguite. Ma il credito vero continuerà ad arrivare da dove arriva oggi. E tuttavia l’acquisizione del Mediocredito presenta, per ora solo sul piano potenziale, un certo interesse proprio per Poste Italiane.

Il gruppo guidato da Massimo Sarmi svolge attività che vanno oltre l’originario servizio di recapito di corrispondenza e pacchi per allargarsi alla logistica e ai servizi finanziari e assicurativi di base. Il suo fatturato è così arrivato a 17 miliardi nel 2009 e crescerà ancora quest’anno, probabilmente oltre i 20 soprattutto per effetto delle polizze di Poste Vita.


Quest’articolazione consente al gruppo di realizzare un utile non trascurabile, 904 milioni nel 2009, in relazione al patrimonio netto, pari a 4,5 miliardi. Questo risultato deriva per circa due terzi dai servizi finanziari che il Banco Posta eroga alla clientela minuta. Si tratta di servizi acquistati per lo più da banche vere e proprie. Per esempio da Deutsche Bank.

Diversamente dalle consorelle tedesche e francesi, il Banco Posta non è una vera e propria banca. Per avere la licenza dalla Banca d’Italia, Poste Italiane dovrebbero scorporare l’attività bancaria in una ben determinata società di capitali, con un attivo e un passivo all’interno del quale vi sia una dotazione di mezzi propri atta a supportarne lo sviluppo. E per poter procedere a questa operazione, propedeutica alla richiesta di licenza bancaria alla Banca d’Italia, servirebbero alcune, piccole ma significative modifiche legislative.

Trasformazione
Avremmo allora una banca che potrebbe lavorare sui 14 mila sportelli delle Poste o anche su una gran parte. Il Banco Posta non potrebbe certo utilizzare il risparmio postale per alimentare i suoi impieghi, perché i buoni postali hanno la garanzia dello Stato e servono a finanziare i mutui degli enti locali.

E tuttavia potrebbe recuperare i 35 miliardi di conti correnti e sperimentare altre forme di raccolta per quanto lo possa consentire quello che, a quel punto, sarebbe il patrimonio di vigilanza. Il Banco Posta trasformato in vera banca avrebbe rilevanti prospettive di crescita, sviluppando, se ben organizzato, un credito di prossimità per le microimprese e non solo.

Ma per crescere dovrebbe aumentare il poco capitale che riceverebbe al momento della scissione iniziale. Lo potrebbe fare accantonando a riserva gli utili per un certo periodo. La domanda è: perché non si procede? Le risposte sono due: a) separando le profittevole attività bancarie dalle meno remunerative attività postali, Poste Italiane dovrebbe probabilmente ridurre il personale nel settore tradizionale; 2) accumulando gli utili del Banco Posta, diminuirebbero i dividendi disponibili per il Tesoro. E tanto basta a spiegare, perché, di questi tempi, non si corregge la legge per poter poi lanciare la vera banca delle Poste, che potrebbe fare molto nel Mezzogiorno, ma si preferisce fare, via Mediocredito, la Banca del Sud, complicando un progetto più semplice.