Dino Messina, Corriere della Sera 05/12/2010, 5 dicembre 2010
IL PETROLIO CAMBIA IL PAESE CHE PORTO’ L’ARPA IN EUROPA - L’
utilitaria di Michele Treves, il personaggio interpretato da Moni Ovadia, si ferma senza benzina davanti al centro oli Eni di Viggiano, cuore della Val d’Agri dove esiste il maggior giacimento di petrolio dell’Europa continentale. «A chi tanto a chi niente» commenta con la cantilena del luogo Vincenzo Coviello, detto «Cusumiello», perché qui si è conosciuto più per il soprannome che per il nome. Comincia così Alma Story, docufiction diretta da Gerardo Lamattina su soggetto di Dario Zigiotto, presentata il 28 novembre al Mei (Meeting delle etichette indipendenti) di Faenza.
In Alma story recitano molti personaggi di Viggiano, che fu feudo dei Sanseverino, dei Sangro, dei Loffredo, per finire nel marchesato dei Sanfelice. Coprotagonista è il farmacista Nino Caiazza, presidente della Pro Loco da una vita e appassionato fotografo. Una particina il versatile dottor Caiazza se l’era guadagnata anche in Basilicata coast to coast, il film di Rocco Papaleo, ma il paese nelle cui viscere scorre l’oro nero che ha dato nuova linfa a tutta la Basilicata era poco rappresentato. Così al figlio di Nino, Luca Caiazza, farmacista pure lui e assessore alla Cultura, venne l’idea di fare un film interamente dedicato a Viggiano una sera che navigando su internet si imbattè in un’intervista di Moni Ovadia a un gruppo di studenti. L’attore, scrittore e musicista che ha reso popolari in Italia le musiche del folclore askenazita con «Oylem Goylem» raccontava agli studenti delle ricerche condotte dal suo maestro Roberto Leydi, uno dei fondatori della nostra etnomusicologia, sull’arpa viggianese. L’unico caso di arpa portativa conosciuta in Italia.
Ovadia aveva colpito al cuore Luca Caiazza, che a scuola, come tutti i bambini del posto, aveva dovuto mandare a memoria i versi del poeta ottocentesco Pier Paolo Parzanese, «ho l’arpa al collo son viggianese». Una poesia del 1838 che fotografa il destino di una comunità che dalla metà del Settecento agli inizi del Novecento aveva trovato sostentamento in un mestiere, quello del suonatore ambulante d’arpa portativa, di flauto e violino, documentato nelle statuine settecentesche del Presepe Cuciniello a Napoli e in una serie di documenti resi noti dal lavoro di un brillante etnologo, Enzo Alliegro. Docente all’università di Napoli, Alliegro, che sta per pubblicare una storia dell’etnografia italiana, nata proprio qui in Basilicata e anche a Viggiano con le ricerche pionieristiche di Ernesto De Martino e di Diego Carpitella, è autore del saggio L’arpa perduta (Argo), dove documenta e spiega lo strano destino di questo paese di cui ci si può bene rendere conto da una tabella sui mestieri degli sposi tra il 1809 e il 1910: su 4.076, 2.433 (60%) erano contadini, mentre 537 musicisti (13%). A seguire, artigiani, proprietari, pastori, professionisti. L’Alma artistica di questa comunità è stata così celebrata anche con un film grazie al fiume di danaro che portano le royalties dell’oro nero. «Spendiamo duecentocinquantamila euro all’anno per le attività culturali», dice Luca Caiazza, animatore di un programma che spazia da un festival jazz a una rassegna di concerti d’arpa, a un concorso intitolato al grande flautista Leonardo De Lorenzo e a uno dedicato ai film culturali.
Duecentocinquantamila euro all’anno per la cultura sono tanti per un paese di 3.150 persone, ma poco in confronto ai circa cinquanta milioni di euro affluiti in dieci anni nelle casse del Comune.
L’ingegner Giuseppe Alberti, sindaco del Pd al secondo mandato, scottato quattro anni fa da un’intervista in cui passava per un amministratore che non sapeva come gestire questa manna, snocciola ora con sicurezza dati e programmi. I 18 pozzi attivi a Viggiano sui 28 della Val d’Agri (ma i pozzi in totale sono una cinquantina) producono oltre cinquantamila barili di petrolio al giorno che vengono processati nel grande centro oli dell’Eni prima di essere trasferiti con un oleodotto a Taranto. Secondo l’intesa firmata con l’Eni, alla Regione va il 7 per cento del valore del petrolio. Di questo 7 per cento, il 15 va direttamente ai Comuni, il resto dovrebbe essere ridistribuito dalla Regione alle aree interessate, anche se non sempre è così. Comunque al Comune di Viggiano, a seconda del prezzo del petrolio, arrivano annualmente dagli otto ai quindici milioni di euro. E questo flusso di denaro potrebbe continuare per ancora quindici-vent’anni. «A parte il settore culturale — riassume il sindaco Alberti — una ventina di milioni sono stati stanziati per opere pubbliche che comprendono una piscina coperta, un palazzetto dello sport, un museo nella restaurata villa dei marchesi Sanfelice che abbiamo acquisito». Oltre 3,6 milioni vanno poi a sostegno dell’occupazione, secondo un bando che prevede l’erogazione per 36 mesi di mille euro alle aziende lucane che impieghino una viggianese, novecento se il viggianese è di sesso maschile. Un programma particolare con 4,8 milioni riguarda poi le attività produttive: un imprenditore che presenti un buon progetto di investimento di quattrocentomila euro ne potrà ricevere sino a duecentomila a fondo perduto. Poi ci sono i due milioni per l’agricoltura... A Viggiano si racconta che Giuseppe Nigro «Terranevra», soprannominato così per aver faticato nei campi tutta la vita, alla morte del suo asino, l’ultimo esemplare rimasto in paese, abbia pensato di presentare domanda al Comune per comprarne un altro.
Viggiano nuova Bengodi? «Alla fine degli anni Ottanta, quando Raffaele Di Nardo firmò per la Regione la convenzione con l’Eni accettammo il petrolio come una sfida», dice Vittorio Prinzi, dal 1980 per vent’anni sindaco comunista a Viggiano e ora consigliere provinciale nell’Idv, «ma a me pare che si stiano affrontando i problemi partendo dalla coda. Soltanto quest’anno è stato istituito l’Osservatorio ambientale Val d’Agri per la valutazione dell’impatto ambientale e gli investimenti fatti mi sembra non vadano ancora nella direzione giusta per un sostegno reale all’occupazione e per assicurare un futuro ai nostri figli». L’economia locale non si può basare solo sulle sovvenzioni, come i cinquanta miliardi di lire arrivati dopo il terremoto del 23 novembre 1980 che colpì duramente Viggiano. Sulla stessa linea è il medico Giambattista Mele, che parla di «un aumento sicuro dei tumori in Basilicata anche se non si può fare l’equazione petrolio=cancro, poiché un monitoraggio non è mai stato fatto e solo quest’anno è nata una commissione comunale». Poi Mele avverte: «Per ben due volte, il 24 novembre 2008 e il 2 febbraio 2009 dal centro oli si è levato un boato e la fiamma di sicurezza è arrivata a 35 metri». Ma l’Eni smentisce che si sia mai verificato un incidente. Si teme per la salute dei cittadini ma anche per le colture rinomate: i fagioli di Sarconi, il pecorino di Moliterno, il vino della Val d’Agri che ha ottenuto il riconoscimento doc grazie alla sapienza dei fratelli Pisani.
Una voce di dissenso si alza anche dalla Basilica di Viggiano, che ospita la Madonna Nera, protettrice della Lucania e vero simbolo del paese. Citata nel Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e nei racconti di Leonardo Sinisgalli, la Madonna venerata dal Cinquecento anche in Calabria e in Campania sembra passata in secondo piano. Don Paolo D’Ambrosio, il colto parroco di Viggiano, non ha gradito il cartello che accoglie i visitatori dopo una recente delibera della giunta comunale: «Benvenuti a Viggiano, paese dell’arpa e della musica». Per la verità qualche centinaia di metri prima c’è un altro cartello, del 1995, che definisce «Viggiano città di Maria». Dice don Paolo: «Non mi riconosco nell’operazione culturale che punta unilateralmente sull’arpa e sulla musica. Non voglio soldi, ma chiedo: quanto si è investito sul patrimonio religioso? Niente». In effetti il culto mariano a Viggiano data dal tredicesimo secolo, quando secondo la tradizione sul monte del paese, 1775 metri, venne scoperta una effigie lignea della madre di Gesù salvata dalla furia iconoclastica che risente di evidenti influssi bizantini. Già una bolla di Giulio II nel Cinquecento parlava del culto della Madonna di Viggiano e nel 1892 alla cerimonia di incoronazione della protettrice della Basilicata parteciparono 30mila fedeli. La Regina della Lucania, che viene portata a spalle sulla cappella del monte ogni prima domenica di maggio e riportata in paese ogni prima domenica di settembre, con l’arrivo del petrolio sembra aver perso il centro della scena, tanto che don Paolo parla con sospetto di «rinascita massonica». Una cultura, quella dei fratelli muratori, introdotta a Viggiano dai suonatori ambulanti che nelle capitali europee assorbivano idee liberali e socialiste. Tanto che nel 1911 quasi un terzo dei capifamiglia si dichiarava ateo.
Benvenuti nel paese di Maria, dell’arpa e del petrolio. E delle molte contraddizioni.
Dino Messina