Michele Farina, Corriere della Sera 05/12/2010, 5 dicembre 2010
I DUE PRESIDENTI DELLA COSTA D’AVORIO
Laurent Gbagbo ha rubato le elezioni. Senza mezzucci. A testa alta. Per cinque anni il presidente di un Paese noto per essere il primo produttore di cacao (e per aver sperperato in dieci anni una stabilità rara in Africa) ha rinviato il voto con pretesti vari. Quando finalmente si è deciso - e ha perso - ha cambiato i risultati. Niente brogli scientifici o falli sotto porta. Calcisticamente si direbbe che ha sparato una cannonata alla Drogba, il connazionale più famoso, abbattendo oltre al vincitore anche una nutrita barriera di suoi difensori di rango, dal Segretario dell’Onu Ban Ki-moon a Barack Obama. Tecnicamente gli è bastato chiedere all’amico Paul Yao Ndre, che guida il Consiglio Costituzionale, di annullare il responso della Commissione Elettorale Indipendente (appoggiata dall’Onu) che aveva appena dato la vittoria al rivale Alassane Ouattara.
E’ così semplice: mentre l’Unione Africana e la comunità internazionale si complimentavano con l’economista ex premier per quel 54% di consensi, Gbagbo incassava l’appoggio di quelli che contano veramente dentro e fuori il Paese. In primis la lealtà dei capi delle forze armate. E poi il sostegno (discreto quanto sostanziale) del governo sudafricano, il gigante del continente ormai da tempo (politicamente) orfano di Nelson Mandela. Et voilà: voto dichiarato nullo in 8 regioni su 15 - nel Nord sotto il controllo dell’opposizione - e risultato ribaltato.
Così ieri pomeriggio 20 milioni di ivoriani si sono ritrovati con due presidenti, e quel che è peggio sull’orlo di un conflitto che le elezioni di domenica scorsa avrebbero dovuto allontanare definitivamente. Coprifuoco, scontri nelle strade. Tensione. Paese isolato: spazio aereo e frontiere chiuse. Il numero delle vittime (due) non dice la gravità del momento che deve affrontare un Paese ancora convalescente dopo la guerra civile dei primi anni Duemila. La divisione è la stessa, tanto profonda quanto recente, alimentata negli anni ’90 dall’arrivo di lavoratori stranieri nei campi di cacao del centro-nord. Da qui il risentimento del Sud, un confronto tribale e religioso (musulmani e cristiani) che si è fatto personale e viceversa. E ha dato la parola alle armi: i governativi contro le New Forces che nel 2002 calarono su Abidjan. Gbagbo fu salvato dai parà francesi. Alleanze ribaltate: mentre da Parigi Sarkozy salutava la vittoria di Ouattara, Gbagbo sparava a zero sulle «interferenze internazionali» e in particolare su quelle di marca francese.
Difficile prendersela con gli occidentali, quando la stessa Unione Africana - che di solito si schiera con la continuità del più forte - ha ribadito ieri l’appoggio alla Commissione Elettorale Indipendente. Anche Ban Ki-moon si è detto «molto preoccupato» per la situazione, assicurando che «l’Onu farà il possibile per mantenere pace e sicurezza».
E’ una parola. Gli 8mila Caschi Blu (inviati dopo il 2002 per mantenere una zona cuscinetto tra Nord e Sud) hanno un compito delicato. Nei giorni scorsi hanno montato la guardia all’Hotel du Golfe, alle porte di Abidjan, dove il capo della Commissione Elettorale - Youssouf Bakayoko - ha deciso di annunciare i risultati provvisori. Non l’ha fatto nella sede in città perché aveva paura di essere fatto fuori. Per dargli coraggio l’Onu gli ha promesso una vita senza problemi all’estero. I sostenitori di Gbagbo gli hanno strappato i fogli mentre si apprestava a parlare. Quando l’ha fatto, la tv di Stato ha oscurato le trasmissioni. Per alcune ore ha mandato in onda cartoni animati e documentari. Poi il posto di Bakayoko l’ha preso Yao Ndre, il capo del Consiglio Costituzionale: Monsieur Gagbo rimane presidente con il 51% dei voti. Ieri pomeriggio il giuramento a palazzo. Mentre all’Hotel du Golfe anche Ouattara si proclamava presidente. c’è chi dice che finirà come alle ultime elezioni contese in Kenya, dove alla fine i due rivali si sono divisi il potere. Prima però è stata guerra civile, pulizia etnica, centinaia di vittime. Gli ivoriani si meritano di meglio.
Michele Farina