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 2010  dicembre 05 Domenica calendario

«LA ’NDRANGHETA MI VUOLE MORTO MA PER SANTORO SONO UN MAFIOSO»

Entra da Giolitti con l’aria del poliziotto in borghese. Sonda il locale con gli immancabili Ray-Ban a goccia fumé. Poi si fa largo tra i tavoli col capello impomatato di sempre e la giacca sbottonata come al solito sui blue-jeans, che fanno sembrare Giuseppe Scopelliti il cugino reggiocalabro di Starsky & Hutch più che un governatore regionale. Ma la sinistra, tramite la stampa amica (l’Unità) e i talk-show di parte (Annozero), ha provato a macchiare di ‘ndrina il distintivo dello sceriffo della Calabria. Ai proiettili lui è abituato: le cosche li fanno cadere da anni nella sua buca della posta. Ma alla diffamazione no. Né intende farci il callo. «La ‘ndrangheta, gli affaristi e una parte della politica mi aggrediscono perché sto cambiando l’approccio al governo della cosa
pubblica».
Stando a quello che il giornalista calabrese
Lucio Musolino ha raccontato un paio di mesi fa da Michele Santoro, lei non sarebbe nemico ma compagno di merende dei boss. «Per quelle dichiarazioni ho chiesto un risarcimento danni di un milione di euro. Sono tutte falsità che vanno inquadrate in una strategia che mira a stoppare l’azione innovatrice che stiamo portando avanti in Calabria. Io per le cosche rappresento un problema. Adesso chiedo solo che su questa vicenda sia fatta giustizia. Abbiamo trovato marciume dappertutto, non solo nella sanità. La connivenza di alcuni politici locali con le cosche è vergognosa». Ma lei ha partecipato o no a questo pranzo con un capoclan? «Non ho mai mangiato neanche un salatino con un mafioso in vita mia. Ho solo partecipato a un pranzo con 250 invitati organizzato da un imprenditore calabrese che festeggiava i suoi cinquant’anni di matrimonio. Io ero seduto a uno dei tanti tavoli con mia moglie e mia figlia. Non sapevo neanche che tra tutta quella gente ci fosse questo boss, l’ho scoperto solo a posteriori». Da Annozero? «No. Ma trovo strano che la Rai, e soprattutto un giornalista come Santoro che ha sempre fatto della lotta alla mafia il suo cavallo di battaglia, possa ospitare un giornalista che ha uno zio, fratello del padre, il quale risulta affiliato alla cosca Araniti, del locale di Gallico Catona Sambatello, più volte arrestato per armi e associazione mafiosa, sorvegliato speciale e addirittura evaso dal carcere. Stranamente accanto a Musolino c’era Angela Napoli...». Sta dicendo che la deputata finiana è collusa con le cosche?
«No, ma mi sembra strano che proprio lei, che dice di sapere tutto della ‘ndrangheta, non sapesse che parentele abbia quel giornalista». A proposito di Fini, lei che è stato il suo pupillo dai tempi del Msi, si aspettava una simile metamorfosi?
«In politica tutto è possibile. Ma adesso mi aspetto che entri veramente in campo la politica». Perché, finora cosa c’è stato?
«Astio personale, competizione sfrenata, ma poca politica. Fini ha dimostrato a Berlusconi che, con i numeri che ha, può mettere in difficoltà questo governo. Ora è il momento di sedersi tutti e due intorno a un tavolo per rinegoziare un patto di legislatura. Un nuovo governo con altri alleati che hanno perso le elezioni sarebbe vergognoso. Sono fiducioso che possa prevalere una scelta politica e che Fini possa continuare con un altro partito a far politica dentro il centrodestra. Non lo vedo credibile fuori dal suo luogo di appartenenza naturale».
Lei dà l’impressione che le sia calato parecchio il suo ex capo... «Io sono tra quelli che hanno sempre sostenuto che, dopo Berlusconi, Fini è il più grande leader. Non ce ne sono altri in questo Paese. Fini, in prospettiva, può ambire alla leadership, ma solo se resta nel centrodestra e riprende a dialogare con Berlusconi».
Ipotesi sulla quale la nascita del terzo polo ha messo una bella pietra tombale. «No, io penso che sia una tattica di Fini per cercare una più ampia convergenza con Berlusconi e spingerlo ad allargare il governo all’Udc e ad altri soggetti di centro». Presidente, non teme di fare la figura dell’ultimo giapponese?
«Sarò anche l’ultimo giapponese, ma io continuo a ritenere che ci siano ancora i margini per una trattativa e che la strategia di Fini si collochi pur sempre nell’ambito del centrodestra».
Ma lei sinceramente se l’aspettava che l’ex leader di An un giorno avrebbe stretto un’alleanza con un ex leader di centrosinistra come Francesco Rutelli che un tempo sfidò per la guida del Campidoglio?
«Non credo che Fini si sia alleato con una parte del centrosinistra, ha solo creato un asse con altri soggetti politici di centro». Fini ha messo in ginocchio un governo che era stato eletto con un’ampia maggioranza. Secondo lei, perché lo ha fatto?
«Perché ormai si era logorato il rapporto politico, ma soprattutto umano tra lui e Berlusconi, dal quale si sentiva sempre più schiacciato e frenato nelle sue ambizioni. Ma non era opportuno far degenerare a tal punto lo scontro, viste le difficoltà che vive il Paese in questo momento».
Lei è stato amico fraterno di molti finiani, con
Roberto Menia e Italo Bocchino ha anche convissuto a Roma. Avrebbe mai immaginato allora che la politica un giorno vi avrebbe collocato su fronti opposti?
«Allora sicuramente no. E sono convinto che uomini come Roberto e Italo non potranno mai votare assieme alla sinistra». Crede che il fronte futurista rimarrà compatto sul voto di sfiducia al governo o si sfalderà? «Sono convinto che una parte di Fli non sia intenzionata ad andare oltre il centrodestra. Non vedo il centro come un approdo naturale per molti di loro. Anche perché credo che al loro interno ci siano tanti bipolaristi convinti come me. La politica non può essere tutto e il contrario di tutto».
Quindi pensa anche lei, come il premier, che una parte di loro resterà fedele al governo? «Io sono sicuro che il 14 dicembre Berlusconi avrà la fiducia alla Camera. Il problema per il governo, semmai, sarà dopo».
Anche lei non è che sia messo benissimo in Calabria... «Nella mia Regione la maggioranza di centrodestra è a prova di bomba».
Sì, ma se entro il prossimo anno lei non ridurrà di 150 milioni di euro le spese della sanità, sarà licenziato. «Non credo proprio che succederà».
Questo prevede il decreto legge sul federalismo appena varato dal Consiglio dei ministri: la rimozione dei governatori che non riescono a far rientrare il deficit delle loro Regioni. «Non mi preoccupo, perché ormai abbiamo avviato un meccanismo che ci consentirà non solo di ridurre le spese ma di produrre una sanità di qualità».
Che non la preoccupi, ok. Ma condivide quel decreto? «Sì, perché le Regioni sono sempre state le più spendaccione, quindi è giusto che si ricorra anche a misure drastiche pur di renderle virtuose. Il problema però è nella burocrazia, che è sempre stata elefantiaca e farraginosa. Speriamo che non continui a rappresentare una palla al piede ostacolando il federalismo. Questo sarebbe sì un problema».
Com’è possibile migliorare la qualità della sanità tagliando le risorse? «Eliminando gli sprechi e le spese inutili, che sono tante, razionalizzando la rete ospedaliera e migliorando la rete territoriale e quella dell’emergenza-urgenza, si può già arrivare a un risultato importante».
Mera utopia, se si considera che in tutta la Calabria ci sono 36 ospedali pubblici e 24 privati (per un totale di 8.874 posti letto), molti dei quali funzionano solo come poliambulatori, e che solo nella piana di Gioia Tauro ci sono sei nosocomi, tutti sprovvisti di pronto soccorso. «Abbiamo predisposto un piano che prevede il taglio di 1.500 posti letto nella sanità pubblica e il dimezzamento degli ospedali pubblici, da 36 a 18. Quelli inutili e a rischio verranno tutti chiusi e riconvertiti». E che ne farete dei medici e degli infermieri degli ospedali da rottamare?
«Abbiamo già siglato un accordo con i sindacati che prevede l’accorpamento di quei medici e infermieri nel personale degli ospedali che resteranno aperti».
Come farà, visto che solo nella piana di Gioia Tauro ci sono già 1.758 dipendenti per 234 posti letto: 7,5 dipendenti a paziente? «Questa operazione ci consentirà di ridurre in parte il personale in esubero ma soprattutto le spese di straordinario, offrendo un servizio migliore, e di abbattere i tempi delle liste di attesa sulla diagnostica, che in molte Asp abbiamo già ridotto da 150 a 30 giorni».
Ma come riuscirà ad abbattere 1 miliardo e 200 milioni di deficit della sanità calabra? «Utilizzando gli 800 milioni di euro dei fondi per la premialità, con i quali colmeremo quasi interamente il deficit. Per abbatterlo del tutto utilizzeremo anche una piccola parte dei fondi Fas, se dovesse servire».
E come pensa di eliminare le infiltrazione della ‘ndrangheta, che ha sempre usato gli ospedali come ufficio di collocamento? «Mi ha turbato una volta una frase dell’ex presidente della Regione, che dichiarò apertamente: “La sanità sarà la nostra Fiat”. Questo
ha fatto sì che abbiamo circa 3.000 dipendenti in più rispetto al fabbisogno, perché la sanità in Calabria per anni è stata usata più per fini politici che di tutela della salute pubblica». Ok, ma lei cosa ha fatto per invertire questa tendenza anche in altri comparti?
«Abbiamo bloccato investimenti sospetti. Ad esempio, nell’edilizia sociale, di 150 milioni di euro, solo la metà erano andati alle cooperative rosse. Abbiamo sconvolto interi comparti dove vi erano affarismi consolidati, mettendo a capo giovani brillanti e di qualità che come me hanno a cuore un solo interesse: la crescita della nostra Regione. C’è questo alla base delle aggressioni e minacce che sto subendo, non solo dalle cosche ma anche da una parte della politica».
L’era Scopelliti verrà ricordata come quella in cui la Salerno-Reggio Calabria ha finalmente visto la luce? «A sentire le parole del presidente dell’Anas, Pietro Ciucci, e del ministro dei Trasporti, Altero Matteoli, direi di sì. Ma vorrei un ministro più presente e impegnato nel rilancio del Mezzogiorno, dove le infrastrutture sono strategiche».
Lei è disponibile o no ad accogliere i rifiuti della Campania? «Lo abbiamo fatto fino a un mese e mezzo fa. Ma ora la Calabria è in difficoltà per una serie
di emergenze».
Nonostante il suo avvento alla guida della Regione, la Calabria resta la ventesima regione d’Italia, regno della ‘ndrangheta. Cos’ha fatto in questi nove mesi per contrastare le cosche? «Abbiamo offerto un modello di governo nuovo, capace di rappresentare realmente i bisogni della gente mettendo da parte le logiche clientelari e assistenziali che hanno condannato la mia terra. Nel prossimo bilancio è previsto un mutuo ventennale di 15 milioni di euro da investire nella lotta alla ‘ndrangheta. Stiamo lavorando per creare una serie di leggi ad hoc e abbiamo istituito l’Agenzia regionale per i beni confiscati».
Che opinione ha dell’autore di Gomorra, Roberto Saviano? «Saviano conosce bene la camorra». E la ‘ndrangheta?
«Molto meno, non conoscendo bene il nostro territorio. Può aver offerto un contributo alla descrizione del fenomeno mafioso calabrese, ma nel complesso non ritengo si sia rivelato puntuale e nitido rispetto a quella che è la realtà. Mi piacerebbe potermi confrontare con Saviano per spiegargli che la ’ndrangheta non è il solo male di questa terra, ma che c’è una certa borghesia mafiosa che può rivelarsi più invasiva e inquietante della stessa ’ndrangheta».