Il Messagero 5/12/2010, 5 dicembre 2010
5 DOMANDE E RISPOSTE DEL MESSAGGERO SULLA FIDUCIA DEL 14 DICEMBRE 2010
COSA SUCCEDE IL 14 DICEMBRE?
Si vota in Parlamento la fiducia al governo Berlusconi. In Senato si voterà la mozione presentata dalla maggioranza sulla relazione programmatica che terrà il giorno 13 il presidente del Consiglio. Su questo documento è possibile che il governo decida di porre la questione di fiducia. Alla Camera si voteranno invece, lo stesso giorno 14 dicembre, le due mozioni di sfiducia presentate da Pd e Italia dei valori, da una parte, e da Futuro e libertà, Udc, Api e dagli altri parlamentari aderenti al cosiddetto terzo polo. Insieme, sulla carta, le mozioni di sfiducia hanno la maggioranza dei componenti della Camera: 317 firme su 630 componenti dell’assemblea di Montecitorio. Le mozioni di fiducia e di sfiducia si votano, da regolamento, per appello nominale con doppia chiama. Se un ramo del Parlamento vota la fiducia e l’altro la sfiducia, prevale comunque il voto di sfiducia: la Costituzione sancisce infatti la necessità che il governo goda della fiducia di entrambe le Camere. In tal caso la crisi sarebbe formalmente aperta e il premier sarebbe tenuto a dimettersi nelle mani del capo dello Stato.
QUANDO UN ESECUTIVO È FORMALMENTE IN CRISI?
La crisi di governo si apre formalmente con le dimissioni del presidente del Consiglio o con l’approvazione di una mozione di sfiducia in una delle due Camere. In caso di dimissioni, il presidente della Repubblica potrebbe anche invitare il governo a ripresentarsi in aula, in ossequio alla prassi ormai consolidata della “parlamentarizzazione” della crisi. E dal dibattito Napolitano potrebbe trarre indicazioni per il dopo. Tuttavia il governoBerlusconi ha ricevuto anche a settembre la formale fiducia delle Camere: dunque, il capo dello Stato non avrebbe obblighi di sorta qualora il premier rassegnasse le dimissioni. Sta di fatto che dopo il 14 dicembre prossimo la crisi potrebbe formalmente aprirsi, anche se la crisi politica è in atto sin dal giorno dell’uscita dei ministri di Futuro e libertà dall’esecutivo. Le dimissioni di un ministro non comportano le dimissioni automatiche del governo: la valutazione è affidata al premier e al presidente della Repubblica. Nel ’90 cinque ministri della sinistra Dc lasciarono il governo Andreotti in dissenso con la legge sull’emittenza tv
BERLUSCONI PUÒ RICEVERE UN REINCARICO?
Una volta aperta formalmente la crisi, arbitro diventa il presidente della Repubblica. Affidare un nuovo incarico al presidente del Consiglio uscente è certamente una delle scelte a disposizione delQuirinale. Ma sono necessarie due condizioni perché ciò avvenga: la disponibilità dell’interessato e la realistica possibilità di ricomporre una maggioranza. Fin qui Berlusconi ha sostenuto che la sola alternativa all’attuale governo sono le elezioni anticipate: conterà comunque ciò che dirà al tempo delle consultazioni ufficiali allo studio alla Vetrata. Evitare di prendere in considerazione eventualità subordinate può essere una tattica di gestione della crisi in atto. Incassata l’eventuale sfiducia il Cavaliere potrebbe accettare l’ipotesi di tentare lui stesso la ricerca di una nuova maggioranza in Parlamento. E del resto sia i finiani sia l’Udc hanno ripetutamente chiarito che le dimissioni di Berlusconi sono condicio sine qua non per poter affrontare qualsiasi eventualità successiva. Senza chiudere all’ipotesi del reincarico per un Berlusconi bis
CHE COSA SI INTENDE PER ESECUTIVO DI TRANSIZIONE?
Un secondo governo di legislatura con un premier diverso da Berlusconi può nascere qualora il capo dello Stato lo ritenga capace di ottenere la maggioranza in Parlamento. Tutto sarebbe più semplice per il Quirinale se fossero i ”vincitori” delle elezioni ad indicare il nuovo premier (come accadde con Dini nel ’95 e D’Alema nel ’98). Più complicato il caso di una maggioranza senza Pdl e Lega: Napolitano dovrebbe essere sicuro dei numeri in anticipo (perché il governo entra ufficialmente carica prima del voto di fiducia). Venerdì scorso Pier Ferdinando Casini ha avuto modo di elogiare il ruolo di Gianni Letta, arrivando a dichiarare che l’Udc vedrebbe «non bene, ma benissimo» un gabinetto presieduto dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Una soluzione Letta avrebbe evidentemente il segno della continuità con il governo uscito dalle elezioni, seppur con la fondamentale sostituzione (per la prima volta in 16 anni) del premier a capo di un esecutivo di centrodestra. Un governo di transizione farebbe probabilmente slittare le elezioni al 2012.
LE ELEZIONI ANTICIPATE SONO PIÙ VICINE?
L’ultimo strappo di Fini sembra aver avviato la crisi politica su un piano inclinato. I tempi sono tuttora incerti, ma il momento della verità non dovrebbe tardare. Le elezioni anticipate a marzo restano ad oggi l’obiettivo concreto di Berlusconi. Avendo scongiurato la formalizzazione della crisi a novembre (con la legge di Stabilità ancora non approvata, un nuovo governo sarebbe stato decisamente più probabile), le chance che sia questo lo sbocco della crisi sono effettivamente maggiori. In ogni caso il Cavaliere per ottenere le elezioni deve correre il rischio delle dimissioni e poi impedire al capo dello Stato e al Parlamento di far nascere il governo di transizione. Quanto ai tempi, la Costituzione si limita a dettare un calendario di massima: non si può votare se non almeno 45 giorni dopo lo scioglimento (secondo la legge) ed entro 70 (secondo quanto stabilisce l’art. 87 della Costituzione). Questo vuol dire che in caso di scioglimento in seguito all’eventuale sfiducia del 14 dicembre, si arriverebbe al voto a marzo