Il Riformista 2/12/2010, 2 dicembre 2010
Dalla carta all’iPad Ipotesi sul futuro dei quotidiani TRE SAGGI A CONFRONTO. Un forum tra Luca De Biase, Luca Sofri e Vittorio Zambardino sulle nuove sfide dell’informazione, ancora tramortita dall’evoluzione di Internet
Dalla carta all’iPad Ipotesi sul futuro dei quotidiani TRE SAGGI A CONFRONTO. Un forum tra Luca De Biase, Luca Sofri e Vittorio Zambardino sulle nuove sfide dell’informazione, ancora tramortita dall’evoluzione di Internet. Il caso Corriere.it, il salvagente delle “apps”, l’inadeguatezza delle testate italiane: «Oggi i giornalisti ignorano la grande fascia di giovani lettori della Rete». Nella lettera aperta inviata alla redazione del Corriere della sera, il direttore De Bortoli denuncia una situazione ritenuta inaccettabile: il corpo del giornale rifiuta l’innovazione e resiste al «nuovo» che avanza. Cosa ne pensate? Luca Sofri: Non so cosa sia successo dentro la redazione del Corriere, ma ritengo che esistano delle dinamiche non note e molto delicate che vanno oltre la lettera del direttore. Non vorrei che tutto si riducesse a: De Bortoli ha capito le novità mentre la redazione è attaccata al vecchio. Più in generale, quello che sta accadendo all’informazione italiana, che riguarda tanto i giornalisti quanto direttori ed editori, è frutto di scarsa modernità di pensiero e di scarsa attitudine all’innovazione, visibile nel nostro paese anche nella politica. I giornali si differenziano da quel che accade nel resto del mondo, creando invece un microcosmo tutto italiano, autoreferenziale che perpetua se stesso e a cui l’Italia finisce per somigliare. Ma voi l’analisi di De Bortoli la condividete oppure no? Luca De Biase: La mia impressione è che ci troviamo dinanzi a un rinnovamento profondo del sistema con il quale si fanno le trattative sindacali e che, all’interno dei giornali, fatica a emergere. Una volta il mondo dei giornali era come quello della «catena di montaggio»: i sindacati potevano proporre una piattaforma, l’azienda poteva discuterla e attraverso una contrattazione si giungeva a un compromesso. Questo sistema oggi è in crisi. I metodi precedenti di produzione dei giornali sono ormai resi obsoleti da un insieme di nuove dinamiche e ciò sollecita, insieme ad altri interrogativi urgenti, una riflessione su cosa siano oggi i giornali. Tuttavia, il direttore De Bortoli mette a fuoco il fatto che i lettori si stanno muovendo verso contenuti a minor costo o a costo zero. Vittorio Zambardino: (...) Poco dopo il 2007 è cominciata la grande virata con il duro attacco degli editori a Google, da una parte, e dall’altra l’affondo degli stessi editori nei confronti d’un modello di giornale ritenuto inadeguato. Mi sembra, però, che l’inadeguatezza sia frutto di una complicità reciproca. Quella dei giornalisti e degli editori che non sono in grado di cogliere tutti i fili di questa grande tela chiamata crisi. La lettera di De Bortoli mette in luce proprio questo problema: nel tracollo di un’industria non sbaglia solo una categoria, così nel mondo dei giornali italiani sono i giornalisti insieme ai loro editori a condividere il sogno di una rivalsa nei confronti del web. (...) L’illusione, ma anche l’errore colossale, è che alla rivalsa oggi si dà il nome di iPad, mentre invece, quello che bisognerebbe far capire ai giornalisti è che si rende necessaria una diversificazione del loro lavoro in termini di qualità ma anche di quantità. Dunque, Zambardino sostiene che il mondo delle applicazioni che girano su iPad e altri tablet funge da rivalsa delle testate dinanzi alla logica «aperta» del web. Ormai da qualche anno, periodicamente, tra chi si occupa di informazione digitale e web si ripropone il problema dei contenuti gratuiti e di quelli a pagamento. Un’occasione potrebbe essere rappresentata dall’articolo che questa estate ha scritto Chris Anderson a proposito della contrapposizione tra il modello delle apps e quello della Rete, quindi un nuovo modo di produrre contenuti. Secondo voi, è adeguato il modo in cui i giornali italiani si pongono rispetto a questo problema? (...) De Biase: La soluzione proposta da Chris Anderson mi sembra sbagliata: applicazioni o web, si tratta pur sempre di internet, sebbene utilizzata in modo diverso. Quello che è possibile fare è cercare una nuova soluzione al problema, realizzare cioè qualcosa che abbia una qualità riconoscibile e trovare il proprio modello di business. Il mio consiglio è riuscire a innovare gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Le apps, a differenza del web che induce l’utente a passare da un link all’altro e quindi a visualizzare velocemente i contenuti, hanno un’interfaccia che consente una maggiore facilità nella focalizzazione della lettura. Dato il presupposto, è possibile ad esempio organizzare meglio l’informazione raggiungendo l’obiettivo di un prodotto di qualità. Accanto a giornalisti ed editori, per la realizzazione di un buon lavoro e per un efficace salto di qualità, è necessario aggiungere anche altri ruoli specializzati come i grafici e i softwaristi. (...) Zambardino: (...) Prima dell’avvento dell’iPad, il grande problema era dato dalle aziende editoriali che non riuscivano a fare il salto di qualità perché l’unica fonte di reddito possibile, cioè la pubblicità, nel passaggio dalla carta al web, riceveva un deprezzamento di un tale ordine di grandezza che, di fatto, rendeva impraticabili i profitti dell’editoria così come l’abbiamo conosciuta in una certa fase. Dopo il big bang delle applicazioni per tablet, il giornale diventa invece un’applicazione stessa del web e accanto alla pubblicità tutti i giornali on line che hanno anche l’edizione cartacea, sono stati in grado di reggere le perdite economiche proprio grazie al fatto che alle spalle c’è un’azienda in grado di sostenerli. Gli editori oggi pensano che nel canale finalmente protetto delle applicazioni potranno realizzare una transazione effettiva dalla carta al giornale sulla rete. Il problema, semmai, risiede nel tipo di calcolo che molti di questi giornali fanno. E di che calcolo si tratta? Zambardino: Non si considerano i lettori della Rete: per ogni lettore del giornale di carta, ce ne sono almeno cinque online. Ed è a loro che bisogna anche rivolgersi, non solo per far quadrare i conti di bilancio ma anche per incrementare l’attendibilità (...) e il tipo di influenza che questi prodotti editoriali dovrebbero avere anche sull’agenda politica. (...) Giornali di carta e web. Come spiegate questa forte contrapposizione tra i giornali tradizionali, che mantengono una linea editoriale molto definita, e quella adottata invece dal resto della Rete? Sofri: Tra popolo ed élite penso ci sia convivenza più che contrapposizione, ma ciò che invece mi preoccupa è un certo dilagante populismo che si sviluppa in modo incontrastato. L’appiattimento generale è il frutto diretto di un forte anti-intellettualismo al quale segue la tendenza a riconoscere solo chi è più simile a noi, finendo quindi con l’escludere dalla nostra visuale quelle qualità straordinarie che sono già parte del nuovo. Un processo visibile e riscontrabile già su Internet, dove quotidianamente prende forma quella via alla democrazia migliore, basata sull’informazione e sulla corretta rappresentanza dei suoi membri. Zambardino: Condivido la posizione di Luca Sofri a proposito della questione élite-populismo, da cui mi sembra ancora più urgente ribadire come le cattedrali della vecchia lezione del giornalismo debbano scoprire quale sia il loro nuovo ruolo. Mi accontenterei, per esempio, che i giornali vecchi e nuovi sapessero porsi il problema di andare a coinvolgere quei pochi lettori del Corriere o di Repubblica che non comprano il giornale di carta ma che lo leggono online. Quello che mi preoccupa è che i lettori cartacei e quelli su iPad siano vecchi e che i giornalisti parlino solo a loro ignorando invece la grande fascia di giovani lettori che si muove in Rete. Bisogna riuscire a coinvolgere tutti coloro che fanno parte di questo grande bacino di utenza fuori dai tradizionali circuiti dell’informazione, magari cominciando con la politica, le inchieste, i reportage. Nella capacità di saper coinvolgere questo pubblico risiede anche il futuro del giornalismo.