Il Riformista 2/12/2010, 2 dicembre 2010
L’Occidente salva Sakineh ma lascia impiccare Shala - Si chiamava Shahla Jahed e aveva 40 anni. È stata impiccata ieri all’alba, nel carcere di Evin, in Iran
L’Occidente salva Sakineh ma lascia impiccare Shala - Si chiamava Shahla Jahed e aveva 40 anni. È stata impiccata ieri all’alba, nel carcere di Evin, in Iran. Da 9 anni era in prigione, accusata di avere ucciso a coltellate la moglie del suo amante, Nasser Mohammed Khani, un ex calciatore della nazionale iraniana degli anni 80. Shahla aveva confessato l’omicidio, poi aveva ritrattato. Ma il Tribunale supremo di Teheran ha scelto di considerare la confessione ritrattata come una prova “sufficiente” per toglierle la vita. Inutili gli sforzi di Amnesty International, che fino a martedì scorso ha cercato di fermare la mano del boia, adducendo le prove di un processo iniquo e sostenendo che in realtà Shahla era innocente. Ma di Shahla il mondo non si è accorto, se non troppo tardi, quando ormai il cappio le aveva già tolto il respiro. Secondo l’agenzia di Stato Irna, nei suoi ultimi momenti la donna ha pregato ma, non appena è stata portata nel cortile per essere impiccata, ha cominciato «a piangere, a disperarsi e a urlare». A Teheran questa è la 146esima esecuzione capitale dall’inizio dell’anno. La storia di Shahla è quella di una “moglie temporanea”, un sistema legale in Iran che permette agli uomini di avere una o più amanti al di fuori del matrimonio, con accordi formali che possono durare qualche ora o diversi anni. Secondo i media locali, la condanna a morte eseguita ieri si basa sui dettami della norma islamica del “qisas”, una sorta di legge del taglione. E, infatti, all’esecuzione hanno assistito sia il marito (adultero) Khani che suo figlio, il quale ha tolto la sedia da sotto i piedi di Shahla. L’Ue ha condannato la barbara esecuzione. Ma senza troppo clamore dopo non aver fatto nulla per provare a impedire che accadesse.