Francesco Verderami, Corriere della Sera 1/12/2010, 1 dicembre 2010
Voci su nuove rivelazioni, Casini cambia tattica - «Questa storia di Wikileaks mica finisce qui. Ne vedremo ancora delle belle
Voci su nuove rivelazioni, Casini cambia tattica - «Questa storia di Wikileaks mica finisce qui. Ne vedremo ancora delle belle. Certo tra i report dell’ambasciata americana su Berlusconi non ci sono solo quelli sui festini. Uscirà dell’altro, e faranno un botto». Non è chiaro se Casini si limiti a una previsione o sappia qualcosa di più sul contenuto dei file trasmessi da Roma all’italian desk di Washington. Oltre il leader dell’Udc non va nelle sue confidenze a un dirigente del Pd, sebbene il modo in cui preannuncia il «botto» appaia perentorio. È certo comunque che nelle variabili della crisi di governo si è aggiunta un’ulteriore incognita. E l’impressione è che non sia l’unica. Il caso Finmeccanica, per esempio, è argomento di discussione in Transatlantico, dove sottovoce i deputati cercano di capire il motivo per cui sabato scorso — al Palazzo di Giustizia di Roma — si sarebbe tenuto un vertice riservato, convocato dalla procura capitolina, e al quale avrebbero preso parte altre otto procure interessate più o meno direttamente all’inchiesta giudiziaria sul colosso mondiale specializzato in sistemi di difesa. Si vedrà se le due vicende — non per forza collegate tra loro — incideranno sui giochi politici. Così come si vedrà se nella rete del Grande Fratello spionistico è finita anche qualche altra grande azienda italiana. Allorasì, l’onda d’ urt o del «botto» potrebbe colpire in anticipo un esecutivo fragile e ormai a fine corsa. Per ora si tratta solo di boatos che rendono l’idea del clima politico e servono anche ad ammazzare il tempo. L’attesa per il 14 dicembre infatti è stata (e sarà ancora) così lunga, che già si tenta di immaginare cosa potrebbe accadere nel secondo tempo della sfida di governo. Cioè dopo il voto sulla fiducia. È uno dei tanti paradossi di una crisi difficile da decifrare, perché gli avversari del premier continuano a cambiare tattica. Se due settimane fa Fini e Casini sembravano intenzionati a far passare indenne il Cavaliere dalle forche caudine della Camera, ora avrebbero deciso di mandarlo sotto. Quantomeno è l’intenzione del leader centrista, convinto adesso che «l’unico modo di aprire a un nuovo governo, sia mandare subito a casa l’attuale». L’opzione di lasciare Berlusconi a logorare, tenendolo in carica con un esecutivo «di minoranza», è stata accantonata. Anche il Fli lo lascia intuire, nonostante Casini non sia ancora convinto che il presidente della Camera ne sia del tutto convinto. Sarà per scelta tattica o per gli scricchiolii nel suo gruppo, ma Fini — al pari del Cavaliere — non ha scoperto le proprie carte. «Noi comunque andiamo avanti e voteremo la sfiducia al governo», assicura il capo dell’Udc. Ipotesi di mediazione, al momento, non se ne vedono. Sulla legge elettorale Berlusconi non pare disposto a concessioni, e ha rigettato la proposta di inserire una soglia di sbarramento per ottenere il premio di maggioranza: «Fini e Casini la vogliono, facendo finta che potremmo trovare un accordo. Poi non si alleerebbero con noi alle elezioni e farebbero saltare il bipolarismo». Traduzione: così mi impedirebbero di vincere. D’altronde, un’intesa sul sistema di voto non avrebbe senso se non si portasse appresso un’intesa sugli assetti futuri nel centrodestra, compresi i nomi dei prossimi candidati per il Quirinale e Palazzo Chigi. E il Cavaliere su questo non ci sente, anzi lavora per accaparrarsi nuovi consensi alla Camera con in testa un solo obiettivo: chiudere i conti con Fini. Che ha in mente la stessa cosa, ovviamente a parti rovesciate. Se ne resero conto alcuni deputati calabresi del Pdl, mesi fa, quando il presidente della Camera fu brusco con il ministro della Giustizia che provava a sondarlo: «Cinquanta giorni di gogna mediatica sul "caso Montecarlo" non andranno mai in prescrizione», disse con un gioco allusivo di parole. Tra meno di due settimane si capirà se ci sarà «il botto», quello politico. Tutto dipenderà dai numeri a Montecitorio. Il capogruppo della Lega, Reguzzoni, ritiene che il governo debba avere «almeno una maggioranza di quindici voti in Aula, sennò ci ritroveremmo in minoranza nelle commissioni». Sarà con il voto alla Camera che si chiuderà il primo tempo della sfida e si capirà come inizia il secondo tempo. Casini punta sul «botto» di Berlusconi, «anche se — ammette — con l’aria che tira tra la gente c’è il rischio di finire tutti sotto le macerie». Quale sia «l’aria» lo spiega l’ultimo sondaggio di Euromedia research, commissionato dal premier, preoccupato dal partito del «non voto» che oscilla tra il 34 e il 38%, e che rappresenta oggi la prima forza del Paese. Appare difficile parlare a quell’elettorato, dove si trova parte del consenso perduto dal Pdl, attestato al 29,1%. Insieme alla Lega (12,6%) e alla Destra (2%), la coalizione del Cavaliere tocca il 43,7%%, mentre il Pd (24,5%) con l’Idv (6,6%) e la Sinistra di Vendola (4,3%) non arriverebbe al 36%. Anche aggiungendo a questo fronte il Prc (2,8%), il movimento di Grillo (2,5%) e i Radicali (1,6%), non si andrebbe oltre il 42,3%. La verità è che i democratici hanno perso capacità attrattiva. Uno studio, che verrà reso noto oggi, rivela come al Sud — dove si gioca la sfida decisiva — il Pd non riesca più ad avere appeal, se è vero che solo il 16% dei commercianti vota per il partito di Bersani, e che le percentuali non vanno oltre il 20% tra gli artigiani e i coltivatori. «Il consenso — spiega Fioroni, che presenterà la ricerca — sta andando verso l’area del terzo polo», stimato nei sondaggi del Cavaliere al 13%, con Udc (6,2%) e Fli (5,4%) a far da traino. Ecco perché Berlusconi non è convinto del voto anticipato, così come Fini e Casini temono per parte loro l’azzardo. Ecco spiegato il rompicapo di Palazzo.