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 2010  dicembre 01 Mercoledì calendario

Quegli interessi intorno alla difesa - L’inchiesta della magistratura potrebbe far anticipare, ma non è detto, le decisioni sui vertici di Finmeccanica, il cui mandato scade la prossima primavera

Quegli interessi intorno alla difesa - L’inchiesta della magistratura potrebbe far anticipare, ma non è detto, le decisioni sui vertici di Finmeccanica, il cui mandato scade la prossima primavera. Poiché si tratta della multinazionale italiana della Difesa, la questione assume un rilievo generale e tuttavia legato alle sfide industriali. Dovrebbe infatti essere chiaro che, solo se va bene, Finmeccanica può presidiare le alte tecnologie e, al tempo stesso, aiutare la politica estera del Paese. Il governo oscilla. Giulio Tremonti, ministro dell’Economia che detiene la maggioranza relativa, propende per una soluzione rapida, capace di ridare stabilità. Ma la scelta coinvolge pure Palazzo Chigi, dove il sottosegretario Gianni Letta suggerisce di aspettare e vedere. La prima opzione prevede la permanenza di Pier Francesco Guarguaglini, 73 anni, alla presidenza e il conferimento dei poteri operativi a un amministratore delegato scelto tra i manager interni, con il contributo dello stesso Guarguaglini. Tre i candidati: il direttore generale Giorgio Zappa, 65 anni, da tempo critico con il presidente; il condirettore generale Alessandro Pansa, 48 anni, tutore dei conti leale a Guarguaglini; Giuseppe Orsi, 64 anni, capo dell’Agusta-Westland, radicata nel Varesotto, terra di Lega. L’altra opzione, invece, congela tutto, ma a termine potrebbe aprire la strada a un «papa straniero». Per quanto sia stato ascoltato solo come teste, Guarguaglini risulta indebolito: le indagini coinvolgono manager e consulenti a lui vicini; tra questi spicca la moglie, Marina Grossi, la cui posizione, peraltro, non era stata discussa in termini di corporate governance prima dei guai giudiziari. Resta il fatto che è con Guarguaglini che Finmeccanica diventa una delle prime dieci aziende al mondo nella difesa. In questi casi, è sempre meglio partire dalla storia. Quando, nel 2000, venne parzialmente privatizzata, Finmeccanica aveva valore negativo. Fu possibile darle un prezzo solo perché il governo le attribuì, quale ricapitalizzazione, la sua quota di StMicroelectronics, brillante azienda di semiconduttori. Finmeccanica rischiava di essere presa e spartita tra i big della difesa, un oligopolio dove la domanda viene dagli Stati. Per evitare quell’esito, il governo D’Alema fissò per legge la partecipazione pubblica e pose un tetto del 3% ai privati. A fine 2002, anno d’insediamento di Guarguaglini, il valore del gruppo dipendeva ancora al 70% da St. Quella partecipazione è stata poi ceduta e i proventi reinvestiti. Oggi Finmeccanica dà lavoro a 72 mila persone, fattura 18 miliardi, per il 70-75% negli armamenti. Ha fabbriche in Italia, Regno Unito, Usa, ma anche in Polonia, India, Libia, Turchia, Australia. Contende alla Fiat il primato nazionale nella spesa per ricerca e sviluppo, che per tre quarti fa in Italia. Dal valore negativo d’esordio è passata a uno positivo di poco più di 5 miliardi, ancorché dipendente per 1,2 miliardi dal recente aumento di capitale. Prima della crisi i numeri erano ovviamente migliori. Ma il punto vero oggi sta nel confronto con i concorrenti. I mercati stimano il valore d’impresa di Finmeccanica (capitalizzazione più debiti meno liquidità) 5,6 volte il margine operativo, due punti meno della media europea del settore. Questa riserva dovrebbe far riflettere chi, come Tremonti, guarda allo stato patrimoniale. La crescita, pur positiva, ha posto nuovi problemi: troppi debiti (5 miliardi contro 1,8 di liquidità), avviamenti da giustificare (5,8 miliardi contro 6,5 di mezzi propri), un portafoglio di attività rivedibile. Lo stesso Guarguaglini ne è ben consapevole. E infatti, per ridurre subito di 5-600 milioni i debiti, voleva quotare Ansaldo Energia. La Borsa non gli è stata propizia, ma i private equity e i concorrenti possono comprare l’intera azienda e consentire un congruo incasso. D’altra parte, se i pilastri sono l’aeronautica, l’elicotteristica e l’elettronica della difesa, potrebbe esserci anche altro da dismettere. Una stretta nella gestione può far risparmiare molto e concorrere anch’essa, con un più forte flusso di cassa, al taglio del debito e a giustificare, aumentando i profitti delle nuove province, l’americana Drs in primis, gli avviamenti pagati per la loro conquista. Sono tutti fronti nei quali serve il polso di una holding stabilizzata che, integrando le diverse competenze e con il mondo come orizzonte, sappia ragionare a lungo termine e coltivare un rapporto aperto ma non prono con lo Stato azionista. Una nuova sudditanza ai partiti, invece, lungi dal respingerle, darebbe spazio alle mene dei concorrenti che rimpiangono la preda perduta dieci anni fa e sperano nella destabilizzazione che può venire, latitando l’azionista, da inchieste giudiziarie su cui deve decidere il tribunale e non la politica.