Giuliano Ferrara, Il Foglo 2/12/2010, 2 dicembre 2010
LA TIRITERA NICHILISTA
L’altra sera un vecchio cieco e solo e malato si è buttato dalla finestra di un ospedale romano. Triste notizia di cronaca. Succede, non spesso magari, ma succede. Gli ospedali sono pieni di vecchi ammalati, la demografia dice che la tendenza è quella, una società di vecchi che a un certo punto si ammalano e devono curarsi e affrontare un periodo di prove molto dure, di conflitto tra un barlume di speranza e una letale noia di vivere. Questo vecchio che si è messo in volo era celebre per la sua arte di regista di commedie e per la sua personalità pubblica dal tratto amabilmente cinico e abrasivamente misantropico. Abbiamo scoperto allora che una circostanza malinconica, forse addirittura disperata, può trasformarsi, nel discorso pubblico italiano, in un orgoglioso e tetro manifesto ideologico a favore della libertà, dell’autodeterminazione umana, e del loro più recente compagno in occidente, il nulla.
Monicelli, come chiunque, aveva la facoltà di fare quel che ha fatto senza essere poco cristianamente e liberalmente giudicato, tanto meno biasimato o condannato. Dico la facoltà e non il diritto, perché “diritto di buttarsi dalla finestra” è espressione in sé grottesca, sebbene la sua parafrasi sia risuonata in confusi discorsetti sull’eutanasia pronunciati alla Camera. Ma la facoltà sì, quella ovviamente ce l’aveva. Il presidente della Repubblica e l’establishment culturale e civile italiano (ma per il presidente Napolitano questo giudizio vale doppiamente, per l’una e l’altra metà del paese che rappresenta) non hanno invece il diritto di imporci una insincera, mistificatrice, ideologica apologia della disperazione, della solitudine, della misantropia e del suicidio.
Ognuno può in coscienza valutare il gesto di Monicelli alla luce di convinzioni diverse, tutte libere: convinzioni religiose di tradizione cristiana, filosofie materialiste o ateiste, ma anche semplici considerazioni di senso comune sulle circostanze e il significato di una decisione estrema, in una situazione limite, che ha risvolti morali da discernere in spirito compassionevole, all’insegna della pietà. La valutazione dovrebbe essere discreta, attenta, governata dalla sensibilità e non dall’arroganza culturale, che è una delle peggiori varianti dell’aggressività umana. Ma come si vede siamo di fronte a ben altro. Il giornalista collettivo e l’uomo di spettacolo – figure massimamente ottuse del contemporaneo – hanno deciso in men che non si dica, appena la salma è stata ritrovata e coperta da un lenzuolo bianco nella pioggia, che il volo di Monicelli è lo sberleffo del laico, un atto di anticonformismo, l’espressione di una volontà incoercibile, superba, nobilitante per l’intera comunità. Ma a questa tiritera nichilista di serie B, caratterizzata da spontaneità e sciocco automatismo, indizio di un modo coatto, indottrinato, di guardare ai fatti della vita e della morte, si sono aggiunte le dichiarazioni autorevoli di leader politici o quella, caratterizzata da una sfumatura di prudenza, ma in sé non diversa dalle altre, del capo dello stato, che ha combinato nella sua riflessione pubblica la “forte personalità” di un grand’uomo con la necessità di “rispettare” questo suo ultimo “scatto di volontà”. Io penso che un uomo colto ed equilibrato come Napolitano dovrebbe tenere conto, per dirlo con Geno Pampaloni, di quel “sentimento dell’assoluto con cui l’uomo nella storia si difende dalla storia”.
Una volta il gesto suicida di un uomo celebre sarebbe stato circondato nella parola pubblica da un eccesso di pudore, da una riservatezza negazionista radicata nel senso del peccato e nella concezione cattolica della vita, e questo è qualcosa che probabilmente non tornerà mai più. Ma la cattiva secolarizzazione si vede dal fatto che la sua chiesa, con i suoi chierici e il suo clericalismo ciarliero e i suoi mortiferi devoti, rovescia la frittata; e impudicamente esibisce, davanti a vecchi e malati che magari vogliono curarsi e sperare, davanti a cittadini che si aspettano autorità e leader intellettuali capaci di pietas e di misura nel giudizio, un manifesto di gioiosa lode a chi in nome dei veri significati della vita – la vitalità, hanno detto – si è appena tolto di mezzo con tragica brutalità. Dicono che quel vecchio uomo di talento che si è buttato dalla finestra, lui sì, aveva “la schiena dritta”, era un partigiano dell’esistenza degna di essere vissuta. Nemmeno il regista Denys Arcand, con le sue demoniache ma tenere “Invasioni barbariche”, la storia di un’eutanasia postsessantottina vissuta in gruppo, aveva esibito una così stucchevole retorica di stato sulla morte come bandiera. Il suo racconto aveva la specifica pietà di una esperienza scristianizzata della fine terrena, e di una comunione generazionale fatta di amicizia e di valori umani stupefatti, fragili ma sinceri. Questa trombonata nazionale è molto peggio, è la misura irriflessa di quanto siamo diventati ipocriti e bugiardi.