Varie, 2 dicembre 2010
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Thomas Michael
• Boston (Stati Uniti) 21 agosto 1967. Scrittore. Col romanzo d’esordio Man grove down vinse nel 2009 l’Impac Award • «“Avrebbe potuto essere più breve”: così aveva sentenziato [...] Kalama G. Glover, critico letterario del “New York Times”, a proposito di Man gone down [...] Eppure, anche se forse troppo lungo (quasi quattrocentocinquanta pagine), il libro di questo [...] scrittore afroamericano [...] che vive a New York ha sbaragliato la concorrenza di grandi come Philip Roth, Doris Lessing o Joyce Carol Oates vincendo [...] a Dublino l’International Impac Dublin Literary Award, ovvero uno dei premi letterari più ricchi del mondo (con il suo assegno da 100 mila euro). [...] Il romanzo [...] (una sorta di “stream of consciousness” alla maniera dell’Ulisse di Joyce con echi del Moby Dick di Melville e dei Quartetti di T.S. Elliot) racconta la crisi di un afroamericano nativo di Boston che, nel giorno del suo trentacinquesimo compleanno, decide di sparire per ritrovare se stesso ma soprattutto per racimolare i soldi necessari per mantenere la propria famiglia: una moglie wasp di sangue blu e i tre figli (nel libro i due maschi vengono chiamati solo “C” e “X” mentre la femmina “my girl”, la mia ragazza) momentaneamente parcheggiati per l’estate a casa della nonna nel New England. Al protagonista servono dodicimila dollari per pagare l’affitto dell’appartamento di famiglia e le scuole private dei figli. Ma questa sua ricerca diventa anche un pretesto per raccontare il malessere di un individuo alle prese, tra l’altro, con i fantasmi della società americana e con i “rottami dell’incrocio tra le razze”. La giuria dell’Impac ha parlato di “un romanzo straordinario”, di uno scrittore “dalla voce incantevole e dallo sguardo abbagliante”, “della poesia delle sue digressioni” (dove si descrivono persone ma soprat tutto luoghi e cose). [...] Thomas (sposato con tre figli come il suo io narrante) ha dichiarato di averlo scritto durante “un momento di disperata povertà economica” che lo aveva spinto a fare di tutto (cameriere, barista, operaio, muratore, pizzaiolo, tassista), fino a [...] quando ha finalmente ottenuto un contratto per insegnare all’Hunter College di New York. [...]» (Stefano Bucci, “Corriere della Sera” 13/6/2009).