Andrea Carobene, Nòva24 2/12/2010, 2 dicembre 2010
COLTIVARE IL MARE
La seconda rivoluzione verde sarà azzurra come il mare. La nuova agricoltura, infatti, potrebbe essere basata sulle alghe che saranno utilizzate non solo per nutrire uomini e animali, ma anche come combustibili, come composti farmaceutici o ingredienti per l’industria. Questa rivoluzione è più vicina di quanto si possa pensare, e non a caso proprio a Milano si è svolta la scorsa settimana Algae Europe, la prima mostra-convegno italiana dedicata interamente alle tecnologie e alle applicazioni industriali dell’algacoltura. L’appuntamento ha rivelato la molteplicità dei settori nei quali già oggi le alghe sono utilizzate: dall’industria tessile a quella del cuoio, dalla chimica alla biochimica passando per la farmacologia.
La ricerca sistematica sulle proprietà delle alghe è abbastanza recente, e ad esempio solamente a partire dagli anni 90 si è cercato di usarle per estrarre molecole di interesse farmacologico. In particolare, sono state prese in considerazione le alghe azzurre, che sono poi cianobatteri, organismi fotosintetici tra i primi esseri viventi apparsi sul nostro Pianeta. Come spiega Monica Molteni, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, da questo tipo di batteri è possibile estrarre molecole che costituiscono «potenziali candidati farmaci. In particolare, nel campo degli anti-tumorali, alcune molecole sono già state sperimentate in fase clinica». Per quanto riguarda gli anti-infiammatori e anti-virali, invece, gli studi sono più recenti e quindi al momento vi sono soli dati pre-clinici che offrono comunque risultati «molto significativi».
Non stupisce quindi che l’Unione europea abbia dato il via, nell’ambito del VII programma quadro, a "Marex", un programma di ricerca intensivo dal valore di 7,9 milioni di euro per cercare quali tra gli organismi marini possono fornire sostanze d’interesse farmacologico. Il progetto, coordinato da Heikki Vuorela della facoltà di Helsinki, coinvolge 13 paesi, e non mira solo all’identificazione dei composti utili, ma anche allo sviluppo di tecnologie che permettano di produrre le alghe in quantità sufficienti. La sfida della produzione intensiva coinvolge anche il settore dei biocombustibili. Attualmente, infatti, la produzione del biodiesel da alghe costa molto di più rispetto a quello derivato da colture terrestri.
Justus Wesseler e Vujadin Dovacevic dell’Università olandese Wageningen, hanno provato sulla rivista «Energy Policy» a misurare questa differenza. Secondo i due ricercatori, oggi in media produrre un gigajoule di energia con biocombustibile da alghe costa 52,3 euro, 36 euro con l’olio di colza e appena 15,8 euro con il petrolio. Secondo i ricercatori olandesi, tuttavia, questa differenza non è destinata a durare e potrebbe azzerarsi nel giro di 10-15 anni. Così come «il processo di trasformazione dell’olio di colza e di altre colture in biocombustibile ha già raggiunto un notevole stadio», lo stesso progresso è atteso per le alghe con una riduzione nei costi di dieci volte. «Oggi assistiamo a un crescente interesse per le colture algali, volto a migliorare e sviluppare tecnologie per una loro coltivazione su larga scala a scopi energetici» conferma Mario Tredici, dell’Università di Milano. I vantaggi dell’algacoltura marina sono innumerevoli, come quelli di: «non richiedere terreni fertili, acque dolci, pesticidi, erbicidi, di poter essere abbinata al trattamento delle acque reflue e alla produzione di alimenti». Quasi a dimostrare la concretezza della prospettiva della coltivazione su larga scala, durante la fiera di Milano la società italiana Sogepi ha presentato un nuovo fotobioreattore tubolare per la produzione di microalghe in circuito chiuso. Questa nuova generazione di "serre per alghe" presenta tra l’altro un basso livello di consumo energetico grazie a motori elettrici ad alta efficienza. Inoltre, i tecnici Sogepi sono riusciti a risolvere alcuni problemi tipici dei fotobioreattori come quello della regolazione della temperatura sia estiva che invernale.
Gli studi per diminuire i costi di produzione delle alghe avvengono anche a livello genetico. Così Jie Sheng, dell’Università dello Stato dell’Arizona, sta tentando di modificare geneticamente i cianobatteri per ottimizzare al massimo l’estrazione di biocombustibili da alghe, con l’obiettivo di arrivare a una resa che potrebbe essere 100 volte superiore a quella delle coltivazioni terrestri. I ricercatori dell’Università del Montana, invece, hanno sviluppato una tecnologia che permetterebbe di raddoppiare la resa delle coltivazioni di alghe e che non si basa sul Dna, ma sulla somministrazione di bicarbonato.
Non solo biocombustbili, ma anche pannelli solari. Nei meccanismi fotosintetici delle alghe potrebbe infatti essere racchiuso il segreto per realizzare pannelli fotovoltaici ad alta efficienza. All’Università di Cambridge Adrian Fisher e Paolo Bombelli hanno così sviluppato un dispositivo fotovoltaico alle alghe depositando una pellicola di cellule biologiche fotosintetiche su un elettrodo conduttore. Il dispositivo ha oggi un’efficienza di appena lo 0,1%, ma funziona perfettamente; anzi, secondo il suo ideatore Fisher «produce elettroni in modo molto generoso» e potrebbe quindi costituire una strada valida per la realizzazione di pannelli fotovoltaici di nuova generazione.
Nelle alghe si trova dunque forse la risposta a molte delle sfide ambientali che l’umanità deve affrontare, a partire da quella energetica. Come conclude Mario Tredici, la seconda rivoluzione verde «sarà sostenuta dall’integrazione di diverse tecnologie tra le quali potrebbe trovare posto la coltura di microalghe marine».