MARCO BELPOLITI, La Stampa 2/12/2010, pagina 47, 2 dicembre 2010
Astana, nel deserto kazako una Disneyland massonica - Che cos’è Astana? Una città utopica? Un sogno di metallo, vetro e cemento? Un incubo postsovietico? La sede del futuro regno massonico mondiale? O ancora: Dubai sottozero nel centro della steppa asiatica? Difficile dire a cosa somigli, o cosa ricordi, la capitale del ricco Stato del Kazakhstan dotato d’immense ricchezze sotterranee (petrolio, gas naturale, uranio, manganese, rame, oro, acciaio, carbone) e grande più dell’Europa intera
Astana, nel deserto kazako una Disneyland massonica - Che cos’è Astana? Una città utopica? Un sogno di metallo, vetro e cemento? Un incubo postsovietico? La sede del futuro regno massonico mondiale? O ancora: Dubai sottozero nel centro della steppa asiatica? Difficile dire a cosa somigli, o cosa ricordi, la capitale del ricco Stato del Kazakhstan dotato d’immense ricchezze sotterranee (petrolio, gas naturale, uranio, manganese, rame, oro, acciaio, carbone) e grande più dell’Europa intera. Questa Shangri-La del XXI secolo è la capitale edificata ex novo da un visionario capo dell’ex Impero sovietico, il presidente Nazarbaev. Indipendente dal 1991, il Kazakhstan è governato dal 1994 mediante una costituzione emanata ad hoc dal suo Sovrano democraticamente eletto, che le ha imposto un nome kazako: Astana significa «la capitale»; ovvero: «il posto dove si prendono le decisioni»; e in antico persiano è il nome del luogo dove si adora la tomba del santo. Nel viale centrale dell’immaginifica città si erge una torre alta alcune centinaia di metri sulla cui sommità è collocata una sfera: il globo d’oro. Disegnata da Norman Foster, rappresenta l’albero magico su cui è assiso l’uccello della felicità, Samkur. Secondo una leggenda locale, il globo è il suo uovo. Il tutto in realtà appare simile a un trofeo dall’esorbitante altezza, sottile e astruso, simbolo di un potere che si vuole assoluto e capace di produrre una psicometropoli, come ha scritto Anthony Vidler in Il perturbante dell’architettura . Dall’alto dell’uovo si può osservare il panorama della città, e porre la propria mano nella «cosa», un tavolo magico ricoperto di simboli sincretici, su cui è impressa l’impronta della mano del Presidente. La popolazione della capitale è ancora sotto il milione di abitanti, poiché si trova in una delle zone più fredde del pianeta, con escursioni di anche 70 gradi tra estate e inverno, ma è prevedibile che presto i suoi grandi palazzi, simili ai grattacieli eretti da Stalin tra gli Anni Quaranta e gli Anni Cinquanta nel centro di Mosca, saranno abitati da migliaia di persone che affluiranno dalle varie parti del Paese. Astana è una psicometropoli non solo per i suoi simboli, ma prima di tutto per l’eclettismo delle sue forme, cui non corrisponde un contenuto preciso, bensì una evidente forza psichica bizzarra e stordente. La capitale kazaka è un’utopia regressiva, una distopia, rivolta verso il passato, eretta con la volontà di stupire, affascinare, e soprattutto ammonire. I palazzi ultramoderni, disegnati da Kisho Kurokawa, si mescolano alle riprese dell’architettura viennese del Karl Marx Hoff, ai templi sincretici che ibridano stili persiani e fantasie hollywoodiane, alle cupole geodetiche, alle svettanti torri in vetro e acciaio che lasciano il visitatore a bocca aperta nella Pyongyang del capitalismo post-sovietico. Norman Foster ha progettato una gigantesca tenda, Khan Shatyr, di oltre 150 metri di altezza, che ricopre un parco, un fiume, un centro commerciale e una spiaggia. Astana è l’effetto del post-urbanesimo che nei Paesi emergenti dell’Asia si esplica nella costruzione di città fantastiche, frutto del disegno di autocrati, come è accaduto a Singapore, prototipo delle città cinesi del XXI secolo. Astana è figlia non solo delle fantasie di un sovrano cripto-massonico, che adora la forma piramide, ma anche della volontà inconscia di creare sempre nuove città utopiche, città impossibili, eppure esistenti, come Brasilia di Niemeyer e Chandigarth di Le Corbusier. Gli architetti europei e asiatici hanno trovato alla corte di Nazarbaev il clima giusto per produrre quella tabula rasa del nuovo che nel post-postmodernismo non ha più la preoccupazione di rispondere a forme date, a un progetto organico. Il master planner della capitale kazaka contempla il succedersi di architetture sempre diverse. Se ci si aggira tra le piramidi massoniche, centri di forza astrale, e le torri ritorte dei nuovi grattacieli, ci si rende conto che qui l’architettura «prova nostalgia per un momento proiettato in avanti verso un evento che non si è mai verificato» (Vidler). Astana c’è, esiste, ma è allo stesso tempo anche una città fantasma, la realizzazione in materiali nobili e pregiati di un sogno in 3D uscito dallo schermo cinematografico: Las Vegas e la città di Blade Runner, le città invisibili di Calvino e una nuova Brasilia nel gelo asiatico. Una città di simboli e magie, d’incubi e potenze occulte, città giardino e insieme Disneyland massonica, tentativo di concentrare su di sé un potere magico sfuggendo con le proprie simbologie alle strettoie della Storia, per entrare direttamente nel Mito.