MARCO ZATTERIN, La Stampa 2/12/2010, pagina 37, 2 dicembre 2010
“I soldi agli Stati devono arrivare prima delle crisi” - Mettere ordine nel sistema bancario, usare il fondo europeo anticrac (Efsf) con coraggio e in modo anche preventivo, essere prudenti nella gestione dei conti pubblici
“I soldi agli Stati devono arrivare prima delle crisi” - Mettere ordine nel sistema bancario, usare il fondo europeo anticrac (Efsf) con coraggio e in modo anche preventivo, essere prudenti nella gestione dei conti pubblici. André Sapir, economista del think-tank europeo Bruegel, riconosce che la situazione è «seria», ma non condivide l’opinione di chi vede l’inizio della fine dell’euro. «Finché esiste la volontà politica di aiutare chi si trova in difficoltà non ci sono problemi - assicura l’accademico della Université Libre de Bruxelles -. Questa volontà esiste, come esistono i mezzi per sostenere le azioni comuni. Non ha senso parlare di fine...». Professore, i mercati hanno giocato con Grecia e Irlanda. Ora puntano a Portogallo e Spagna, forse Italia e Belgio. Che succede? «Non condivido l’uso del verbo “giocare”. Atene e Dublino avevano delle debolezze concrete. Sono situazioni che hanno sortito effetti simili pur appartenendo a famiglie diverse, l’una ha visto scatenarsi la crisi per ragioni strutturali, l’altra per motivi finanziari. Il tutto è stato amplificato dalle turbolenze globali, dalla recessione e dalla mancanza di meccanismi di intervento quali sono quelli di cui l’Europa si è dotata ora, a partire dal fondo di stabilità finanziaria. Era qualcosa che mancava». Ora si teme il contagio. Giusto o sbagliato? «Posso comprendere le ragioni dell’inquietudine su Portogallo e Spagna, erano lì anche prima che scoppiasse il caso irlandese. In giro ci sono dubbi su come il meccanismo di intervento deciso domenica per aiutare Dublino funzionerà. Leggo di sospetti sulle capacità di finanziamento dell’Efsf, di incertezza sulla ristrutturazione delle banche. Tutto si manifesta in una pressione sui Paesi meno solidi». Portogallo e Spagna sono due casi ben diversi, però. «Vedo meno ragioni di inquietarsi per Madrid». L’Italia è a rischio? «E’ un caso interessante. Ha evitato la crisi finanziaria perché le banche non sono state toccate, se non marginalmente, pertanto non hanno avuto bisogno di chiedere aiuto. Nell’Eurozona una situazione analoga si riscontra solo in Finlandia. D’altra parte, il debito italiano è molto elevato e rappresenta una fonte di instabilità, eppure i conti non ne hanno derapato. La crescita era debole anche prima. Strutturalmente,l’Italia sta uscendo dalla crisi in condizioni analoghe a come c’è entrata. Non ho notatoalcun errore particolare». I mercati e l’euro sono sotto pressione. Che fare? «Anzitutto si deve intervenire sulle banche. Vanno ristrutturate, ricapitalizzate e vigilate. Gli stress test non hanno avuto l’impatto sperato. Non bisogna ridurre l’attenzione». Trichet ipotizza «una quasi federazione di politiche di bilancio». Come la vede? «La prima cosa è cercare di rendere più aggressivo l’Efsf. Ora che c’è, potremmo usarlo in modo preventivo e dissuasivo. Come il Fmi, che presta soldi in tempi difficili anche agli Stati non in crisi. I governi faticano ad accettare aiuti, politicamente è una brutta storia. Eppure bisognerebbe agire prima che una situazione difficile si deteriorasse». Ognuno deve fare i suoi compiti a casa lo stesso… «Senza dubbio. Occorre una prudenza molto grande nei Paesi considerati “a rischio” - dal Portogallo al Belgio passando per l’Italia - per quanto concerne la disciplina di bilancio. Come minimo bisogna evitare di aggiungere debito a debito. Serve rigore. Senza, si è sempre molto più esposti alle turbolenze».