MARCO ALFIERI, La Stampa 2/12/2010, pagina 1, 2 dicembre 2010
Nuovo miracolo a Nord-Est Il Veneto è già ripartito, da solo - A Vicenza hanno appena acceso i festoni di Natale dal centro storico fino al ponte degli Angeli, dove il Bacchiglione ha rotto gli argini allagando le vie
Nuovo miracolo a Nord-Est Il Veneto è già ripartito, da solo - A Vicenza hanno appena acceso i festoni di Natale dal centro storico fino al ponte degli Angeli, dove il Bacchiglione ha rotto gli argini allagando le vie. Un mese dopo la grande alluvione che ha piegato il Veneto, epicentro la città del Palladio (160 milioni di danni), tutto sembra aggiustato. Solo la puzza che sale dagli scantinati è ancora di un tanfo acre. Non fosse che per qualche mobile appoggiato fuori dai portoni in attesa della discarica, o per i sacchi di sabbia sulla strada, non si direbbe che 30 giorni fa in questi vicoli si è scatenato l’inferno. «È un’abitudine molto veneta - spiega il sindaco Achille Variati, fresco di sospensione della seconda rata Ici per chi ha subito danni - qui ci si tira su le maniche e si fa da sé». Come Claudio Bagante, titolare della Sdb di Ponti di Debba, periferia berica. Il lunedì mattina dell’alluvione ha dovuto spedire dal computer di casa l’ordine per non perdere una commessa buona dalla Russia. I pc aziendali erano tutti finiti nel fango. Quaranta centimetri di melma in magazzino, bobine di rame da buttare e fatture appese ad asciugare su un filo di corda. Ma insieme ai suoi 20 dipendenti non si è perso d’animo: «A metà novembre - racconta - avevamo già riattivato le linee di produzione». La Sdb fa cavi speciali per le linee ad alta trasmissione dati. I danni? «Trecentomila euro ma chi ci riconoscerà il fermo produzione? Se non facciamo da noi, nessuno ci aiuta». Già. Una ripartenza sprint che nell’Italia pigra e dimentica rischia di diventare un boomerang, perché se i danni non si vedono, i soldi non arrivano. Solo dopo molte pressioni il governo ha concesso una mini proroga dei pagamenti Irpef e Inps rispettivamente al 10 e al 20 dicembre). Per alcuni ambienti industriali è una «mini beffa»; per il ministro Sacconi sarà il decreto Milleproroghe a contenere il rinvio dei versamenti fino a giugno 2011. Ma i veneti sono diventati tanti piccoli San Tommaso. Anche perché i 300 milioni annunciati in pompa magna dal premier Berlusconi non si vedranno almeno fino a Natale. Una frustrazione che riporta alla tremenda sperequazione di un territorio che manda 100 a Roma e si vede ritornare 30. Tanto più oggi che il conto dell’alluvione è salato: 328 Comuni coinvolti, 2 morti, 4100 persone costrette a lasciare la casa, 140 km quadrati allagati e 3433 imprese danneggiate per 1,2 miliardi di danni. A Caldogno, dov’è morto nella piena del Timonchio Giuseppe Spigolon e si è allagata persino la chiesa, il sindaco Marcello Vezzaro ha dovuto spostare i tornei a carte degli anziani negli spogliatoi del campo sportivo (il centro ricreativo è inagibile) e avviare una raccolta fondi per ricomprare il pulmino dei disabili. Ma se uno passasse dal paese di Roberto Baggio non si accorgerebbe di nulla. Il suo collega di Bovolenta, l’ex parà Vittorio Meneghello, conta 23 milioni di danni, 35 aziende colpite e 45 famiglie allagate di cui 6 alloggiate in palestra (da domani finalmente trasferite in casette/roulotte). «In un mese abbiamo sistemato quasi tutto, la mia gente non si è fermata un attimo». Ma due metri di acqua a mollo per 6 giorni nei capannoni è dura da smaltire. Quel che preoccupa il sindaco Pdl sono le promesse da marinaio della politica. «A 66 anni si è disincantati», si sfoga. «Nel vademecum della Regione è scritto che ci sarà dato un acconto salvo disponibilità di cassa. Significa che se Tremonti non batte un colpo non si muoverà foglia…». Quanto a Berlusconi, «l’altro giorno ha detto che sono pronti 100 miliardi per il Sud. Perché di questi non ne ha dato uno a noi veneti per l’alluvione? Saremmo stati felicissimi». Non bastasse, Carlo Tessari, borgomastro di Monteforte d’Alpone, nel veronese, dopo 5 giorni aveva già riaperto le scuole del paese, ma oggi stramaledice la burocrazia. Per compilare le schede di risarcimento dei suoi 800 alluvionati, ha dovuto istituire 20 squadre di esperti. Per questo mentre tutto è ripreso veloce, il moto perpetuo veneto si riflette nello specchio di un territorio che si scopre un’altra volta nudo di fronte al Paese. Inchiodato alle solite doglianze, ingigantite: il nervo delle tasse, la burocrazia e il patto di stabilità che non fa differenza tra Comuni virtuosi e spreconi strangolando i tanti Lino Gambaretto, sindaco di Soave, che non può utilizzare i 7 milioni in cassa per aiutare la ventina di aziende ancora ferme del suo paese. Nel frattempo la Regione guidata da Luca Zaia, nella sua riserva indiana, ha costretto Berlusconi a mettere la faccia sul disastro e attivato i fondi di rotazione di Veneto sviluppo per la prima emergenza: in autocertificazione le imprese possono richiedere finanziamenti da 10 a 100 mila euro da restituire entro marzo 2013 senza oneri. Ma è chiaro che la partita, anzitutto politica, il governatore la gioca sui soldi che riuscirà a riportare in casa da Roma (ladrona). Sullo sfondo resta il lavoro più strategico. Il 25% dei Comuni veneti vive sotto minaccia di frane e smottamenti. Per anni la rete idrografica è stata devastata da una cementificazione ossessiva. Argini abbandonati, casse di espansione non fatte e tagli continui ai fondi per le opere idrauliche. Servirebbero 14 milioni l’anno per la sola manutenzione: nel 2009 la Regione ne ha stanziati 6, quest’anno 3. «È urgente un piano di opere strutturali per la messa in sicurezza del territorio», insistono dalla Protezione Civile. «Altrimenti…».