MATTIA FELTRI, La Stampa 2/12/2010, pagina 1, 2 dicembre 2010
Crolli e nuovi allarmi: gli ultimi giorni di Pompei - Piogge monsoniche si abbattono su Pompei e lungo le strade trasformate in rivoli, le strade dai bei nomi - via Stabiana, via degli Augustali, vicolo dei 12 Dei - tutti dicono, senza consapevolezza del paradosso, che è soltanto l’ultima goccia
Crolli e nuovi allarmi: gli ultimi giorni di Pompei - Piogge monsoniche si abbattono su Pompei e lungo le strade trasformate in rivoli, le strade dai bei nomi - via Stabiana, via degli Augustali, vicolo dei 12 Dei - tutti dicono, senza consapevolezza del paradosso, che è soltanto l’ultima goccia. Però queste vecchie carcasse hanno retto al terremoto del 1980, dice gesticolando un sindacalista. Non venne giù un sasso, dice. Poi arrivò l’esercito a tastare muro per muro, e nemmeno una crepa, e si puntellò qualche facciata giusto per precauzione e passarono i lustri e alla fine - «credi ammé», dice il sindacalista - saltò fuori che erano le facciate a tenere su i puntelli, non viceversa. Certo che è ben strano. Una città resiste all’eruzione del Vesuvio, resiste ai secoli, agli scavi, alle scosse telluriche, alle fiumane di turisti, ai vandali, ai tombaroli, e poi cede a due anni e mezzo di ministero di Sandro Bondi. Li vedi sotto al diluvio, questi quarantaquattro ettari di storia catapultati in mezzo alla scasciata e deprimente edilizia campana moderna, e altri ventidue sarebbero da tirare fuori, e ti chiedi dove trovino le forze per restare in piedi. Perché all’apparenza è tutto lindo, perfettino, e invece le guide ti indicano le pietre da cui spuntano erbacce, cespugli, rami. Sono il sintomo della malattia, la premessa del cedimento. Anni fa un grande archeologo, Amedeo Maiuri, provò a buttare il diserbante, ma poi si trasformò tutto in un deserto e, nei giorni di vento, la polvere s’alzava e si depositava sugli affreschi danneggiandoli. E cioè: come fai, sbagli. Un lungo elenco Però l’elenco è impressionante. Nel 2009, di fronte alla Casa di Giulia Felice, crollò un muro di contenimento; il 18 gennaio una frana tirò giù parte della casa dei casti amanti; il 2 novembre è stato il turno della via dell’Abbondanza, travolta di acqua, terra e lapillo, e si dovette chiudere una casa; il 6 novembre il celebre collasso della Casa dei gladiatori, cioè della Scuola d’armi della gioventù aristocratica pompeiana; il collasso provocò il franamento del muro della taverna della Casa del Moralista. E avanti così, sino alle cose di ieri e dell’altro ieri. E insomma, Bondi deve essere anche ben sfortunello. Infatti il professor Luca Cerchiai, archeologo e preside della facolta di Lettere all’Università di Salerno, giudica pessimo il lavoro di Bondi e non migliore quello dei governi precedenti, almeno quelli degli ultimi dieci anni, e comprendendo così i due di Romano Prodi e i cinque precedenti di Silvio Berlusconi. «Se Pompei si sbriciola, come si sbriciola Roma, è perché i nostri beni archeologici mancano di manutenzione. E la manutenzione non si fa perché non è un bene immediatamente spendibile», dice Cerchiai. E cioè, il ministro che spende in manutenzione non fa propaganda a sé ma ai successori, che magari saranno avversari e intascheranno i benefici dell’investimento. E così da anni si lascia perdere e si attende arrivi uno a prendersi le responsabilità. E questo signore è oggi Sandro Bondi, il quale però oltretutto non è più lungimirante di chi lo precedette.Questo, almeno, è il contenuto di una lettera che il medesimo Cerchiai (con Salvatore Settis, ex presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, con Adriano La Regina, ex soprintendente dei beni archeologici di Roma, e altri archeologi ancora) fece girare poche settimane fa, e con scarsa fortuna: non ebbe accoglienza. Lì, si predicevano ulteriori disastri e ora, qui, ipochi turisti noncuranti del vento e degli scrosci si rimirano le macerie da dietro le transenne. Le guide minimizzano. Una, che si chiama Mattia e basta, niente cognome, sostiene che è sempre stato così, e soltanto che i giornali non ci facevano caso. Sarà, ma gli archivi ricordano solamente il crollo di una colonna nel 2007. Poi, a taccuini riposti, le stesse guide, i custodi, i sindacalisti, persino gli idraulici, si stringono sotto gli ombrelli ed estraggono organigrammi aggiornatissimi con i quali intendono dimostrare l’abbandono cui sono destinati. «Nel 1966, qui c’erano 100 operai», dice uno. «Ma quando mai, erano 120», dice un altro. Oggi, giurano, sono una decina e gli tocca correre dietro a tutto. L’ultima fotografia E comunque sia, Pompei sembra ormai la cartolina di saluti dal governo che fu. Anche se poi la Pompei moderna è più diroccata di quella antica, e le strade sono laghi con le automobili in panne. E’ l’immagine del disfacimento, perché di soppiatto, nella città morta, ti fanno girare l’angolo e ti mostrano pareti bombate, pronte al cedimento di domani. Sarà mica tutta colpa di Bondi? «Macché», ti dicono. «Vuoi sapere chi è il colpevele? Eccolo». Il colpevole è su un quadretto appeso in ufficio: «OGNUNO incolpò QUALCUNO perché NESSUNO fece ciò che CIASCUNO avrebbe potuto fare...».