Goffredo Buccini, Corriere della Sera 02/12/2010; Fulvio Bufi, ib., 2 dicembre 2010
IL RISVEGLIO (LENTO) DELLA SOCIETA’ CIVILE —
L’ultimo tradimento può stare tutto in un’immagine: due carrozzine scassate e due vecchi tappeti sdruciti, là, sopra una pila di rifiuti in cima a Posillipo. In salsa sciué sciué, è la vecchia teoria dei vetri rotti di Wilson e Kelling (se non li riparate subito alla prima finestra, presto tutte le altre finestre del palazzo verranno spaccate dai vandali). Ma Stefano Caldoro, che da veterano del quartiere ci segnala la scena, se ne fa un baffo dei criminologi americani, e perde un po’ della sua proverbiale pazienza: «Chi ce l’ha messa quella roba? Non potevano tenersela a casa altri dieci giorni?»; perché certo qua i lazzari della Sanità c’entrano poco o nulla, al massimo uno può prendersela con qualche filippino a servizio su una delle terrazze della collina più famosa della città, sicuro di sbattere comunque, risalendo la gerarchia, contro la vituperata borghesia napoletana. «I cumuli di munnezza giustificano chiunque, anche i signori della Napoli bene, a mollarci sopra qualunque cosa».
Domenica s’è fatta viva la cosiddetta società civile, qualche centinaio di professionisti e mamme in marcia fino a piazza Plebiscito per protestare coi sacchetti della differenziata in pugno. E proprio da Posillipo è sceso un corteo («apolitico e apartitico»), guidato da un avvocato tosto al grido di «Napoli pulita». Tra forum e associazioni, primi segni di risveglio borghese, certo. Tuttavia non abbastanza forti per sanare una ferita che secondo Raffaele La Capria risale al massacro controrivoluzionario del 1799, alla strage che una città cupamente sanfedista fece delle proprie intelligenze migliori e dunque della sua possibile classe dirigente la quale, da allora, ha sempre tenuto con prudenza la testa al riparo. Proprio domenica, tuttavia, in un intensissimo articolo sul Corriere, La Capria ha voluto chiedere perdono alla sua Napoli «per quello che ti abbiamo fatto noi della borghesia cittadina», riaprendo il dibattito. Sicché qui la storia corre, sterza e si rovescia, talvolta. «Beh, quella del ’99 è una vicenda che ha segnato una spaccatura, certo», medita il filosofo Biagio De Giovanni: «Ma la debolezza politica della borghesia è endemica, da troppo non c’è segno di vita». Davanti a un caffè, al bar dell’hotel Paradiso, l’«antinapoletano» Caldoro (timido, taciturno, preciso) rimette per un attimo i panni da governatore: «Ci farebbe molto comodo avere qualcuno che ci pungolasse». Già, e magari dicesse «alla munnezza ci pensiamo noi privati», eh? «Mah, qui lo schema è sempre lo stesso, classe dirigente mai organizzata e richiamo al popolo: è stato così a vari livelli e in vari campi, con Lauro e Angelo Manna, Maradona e Antonio Bassolino». Pare lo schema preferito da Berlusconi: «…che infatti a Napoli è amatissimo», ridacchia Caldoro, sempre sottovoce.
Non ride per niente Bassolino, invece. Davanti ai fedelissimi della fondazione Sudd se la piglia con «i neoascari che cercano di scaricare tutto sulle classi dirigenti meridionali, politici, ma pure professionisti e imprenditori, come se tutto questo non fosse sintomo di crisi delle classi dirigenti nazionali!». Ha ancora addosso accuse pesanti proprio sul valzer della mondezza, ma prova a tuonare come un tempo l’ultimo pate ’e Napule, prima osannato e poi costretto a tapparsi in casa per un anno: «Adesso viene fuori tutto. Dicevano che avevano fatto il miracolo… Io nel 2008 dicevo sì a qualunque sito, ci mettevo la faccia, possibile che nessuno si prenda la responsabilità di una discarica, adesso?».
Capita, in questa città di paradossi, che il laurismo possa beneficiare di qualche rilettura meno preconcetta («L’altra metà della storia» di Marco Demarco è in questo senso un testo coraggioso), e che il bassolinismo ne prenda il posto soprattutto nell’immaginario della parte politica cui appartenne Bassolino, il Pci: la borghesia napoletana oscilla come un pendolo tra questi estremi, qui dove quasi tutto è plebeo anche in letteratura, tranne «Ferito a morte» di La Capria e certe commedie di Eduardo. Un dirigente di spicco del vecchio Pci come Andrea Geremicca, che si attribuisce «litigi trentennali con Bassolino», sostiene che nei gravi peccati del bassolinismo vada annoverato «l’assorbimento di larghi settori della borghesia tra consigli d’amministrazione e consulenze»: «S’è persa autonomia, questa è una città invertebrata». Antonio D’Amato, se gli si chiede dove sia la borghesia napoletana, si gira sornione come a cercarla, chiacchierando col cronista in un salone dell’hotel Vesuvio. Ma è uno dei rari grandi borghesi della città e può permettersi di scherzarci su. «Napoli è l’inizio e la fine del Mezzogiorno, chi salva Napoli si piglia l’Italia e la cambia», dice poi, serissimo. In città cominciano a essere contestati per strada «l’amatissimo» Berlusconi e il ben più defilato Casini, quasi tutti i politici nazionali rischiano pernacchie, e tirano venti opposti, orgoglio neo-borbonico e persino seduzione leghista: «Ho amici avvocati che mi dicono voterebbero per Maroni e Bossi se si presentassero qui, come sfida, protesta estrema», sospira Geremicca. Persino Passione di Turturro è stato un pugno nello stomaco, l’ultimo subbuglio. Tra tante pulsioni sommerse, D’Amato sembra uno degli ultimi leader agganciati alla razionalità. Molti lo vorrebbero nei panni del salvatore della patria (oggi partenopea, domani chissà) ma lui scuote la testa, come gli uomini assennati devono, in certi casi: «Faccio l’imprenditore, non posso». Poi qualcosa la dice: «Io certe notti sogno di fare il sindaco, sogno di girare con duecento macchine della polizia e di recuperare alla città un quartiere dopo l’altro…».
Sogni, appunto, ma il rapporto con la sfera onirica è uno dei modi attraverso i quali viene rivelata la verità dai napoletani che non a caso fanno della Smorfia un universo realissimo. Per le elezioni che verranno, molti altri puntano su Mara Carfagna. Narrano che la pulzella berlusconiana abbia stregato in un solo meeting cinquanta imprenditori prima scettici, alla faccia di Nick Cosentino che non l’ama. I rifiuti pesano, e peseranno, sulle scelte di una certa Napoli. «Si tratta prima di tutto di rifiuti morali», sorride D’Amato. Ed è certo vero. Ma certe sere in centro, i fortunati borghesi in grado di prenotarsi il viaggio di Natale devono scavalcare un guardrail di sacchetti neri lungo dieci metri per arrivare alle vetrine di «Crociere Grimaldi»: dieci metri, per ora, molto materiali, come è destino che sia, nella città più carnale d’Italia.
Goffredo Buccini
LE DOMANDE DEI CITTADINI - BISOGNAVA SCIOGLIERE I COMUNI IN RITARDO CON LA DIFFERENZIATA? - Il quesito è posto da Davide Fabiano, 23 anni, laureato in Scienze Politiche, che abita a Ercolano La domanda fa riferimento al decreto del governo Berlusconi durante l’emergenza rifiuti a Napoli nel 2008, che prevedeva il commissariamento dei Comuni inadempienti nell’avvio della raccolta differenziata. Il provvedimento è stato adottato in provincia di Caserta, ma non a Napoli. Quando era ancora in carica, Bertolaso non ha mai spiegato il perché. È un dato certo, però, che più volte Berlusconi ha attribuito al sindaco Iervolino le responsabilità della nuova emergenza. Se non fosse stata ancora in carica, accusarla sarebbe risultato più difficile.
MA PERCHE’ NAPOLI NON PUO’SVERSARE NELLE ALTRE PROVINCE? - Il quesito è posto da Elisabetta Di Pinto, 34 anni, infermiera in una clinica privata, abitante nel quartiere Scampia La legge prevede che ogni provincia sversi i rifiuti all’interno del proprio territorio, e Napoli ha a disposizione soltanto la discarica di Chiaiano. In realtà per far fronte all’attuale emergenza si è fatto ricorso alle discariche di Savignano Irpino (Avellino) e di Sant’Arcangelo Trimonte (Benevento). Ma si è trattato di deroghe possibili soltanto in un momento di crisi acuta, e non si potrà in alcun modo rendere stabile l’utilizzo degli altri impianti della Campania per sversare la spazzatura di Napoli
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CHI POTRA’ LIBERARCI DA TUTTE LE ECOBALLE DI TAVERNA DEL RE? - Il quesito è posto da Salvatore Piccirillo, 50 anni, autista in una azienda di trasporto pubblico. Abita a Giugliano Taverna del Re è un’area che si trova dove abita chi ha posto la domanda. Vi sono stoccate sette milioni di ecoballe non a norma, perché prima di imballare i rifiuti non è stata separata adeguatamente la frazione umida da quella secca. La presenza dell’umido rende impossibile che quel genere di rifiuti sia smaltito nel termovalorizzatore di Acerra né in quelli che saranno realizzati a Napoli e Salerno. Bisognerà costruirne uno con caratteristiche tecniche specifiche, e poi per bruciare le ecoballe occorreranno almeno quindici anni.
A cura di Fulvio Bufi