Marco Innocente Furina, Il Riformista 1/12/2010, 1 dicembre 2010
TEHERAN NOTRE AMOUR GLI AFFARI ITALIANI IN IRAN
La preoccupazione per l’attività delle banche italiane in Iran e per il dinamismo dell’Eni in Russia e in medioriente. Oltre ai giudizi sul premier, dai file di Wikileaks emergono le perplessità di Usa e Israele verso una certa disinvoltura economica delle nostre imprese in aree delicate.
Insomma, l’occhio degli Stati Uniti non è puntato solo su Arcore. Molti dei dossier riservati sull’Italia non trattano della nostra politica interna, ma di affari. Grandi affari nel campo della finanza e dell’energia tra l’Italia e l’Iran, mal visti da Israele e Stati Uniti.
Il primo “capo d’accusa” è contenuto in cablogramma che risale al dicembre 2008, in cui funzionari del ministero degli Esteri israeliano «sollevano preoccupazioni» sull’Italia e sulla Germania che - a dispetto delle sanzioni decise contro il regime degli Ayatollah - continuavano a sviluppare le relazioni bancarie con l’Iran.
Dell’affaire banche si occupa l’allora ministero degli Esteri di Tel Aviv Tzipi Livni, che in quel periodo stava organizzando un viaggio in Italia. Il tema è talmente delicato per gli israeliani che il governo di Tel Aviv giunge a domandare l’intervento di Stuart Levey, sottosegretario al Tesoro del governo americano con delega all’intelligence finanziaria, a cui si chiede di «esercitare pressioni su governi e le banche italiane e tedesche, perché facciano di più». Evidentemente per impedire crediti all’Iran.
Operazioni complessa, visto l’interscambio finanziario tra i due paesi. Mediobanca e Intesa Sanpaolo vantano enormi crediti (nell’ordine di qualche miliardo di dollari) nei confronti delle principali banche iraniane, che in omaggio allo statalismo caro alla Rivoluzione dell’79 sono tutte pubbliche.
I prossimi giorni si annunciano ricchi di rivelazioni sui veri rapporti intercorrenti negli ultimi anni tra Roma e Teheran. Wikileaks possiede circa 3 mila file riservati sull’Italia, la maggior parte dei quali riguarda le strette relazioni diplomatiche e commerciali con Russia e Iran.
L’Eni ha un rapporto complesso con gli Usa dai tempi di Mattei. L’ambasciatore David Thorne racconta i particolari di un incontro per fare pressioni sulla società petrolifera, affinché interrompa le proprie relazioni commerciali con l’Iran.
Secondo il sito di Assange, il 7 gennaio scorso a Roma si sarebbe svolto un mini summit riservato tra alcuni dirigenti dell’Eni e una delegazione ristretta del Congresso americano. Pressioni a cui i dirigenti dell’Eni avrebbero opposto una certa resistenza.
«Eni - si legge nel report confidenziale - insiste sul fatto che intende rispettare gli impegni contrattuali presi con il governo di Teheran», anche se «per venire incontro alle richieste Usa ha già ridotto le attività in Iran a un livello minimo». Dai dossier pubblicati risulta pure che gli Stati Uniti riservavano una particolare attenzione all’amministratore dell’Eni, Paolo Scaroni, con l’ordine impartito da Washington all’ambascitore a Mosca di indagare sui reali rapporti tra l’A.d e Berlusconi
I file scovati da Wikileaks raccontano poi della richiesta di bloccare la fornitura a Teheran di una dozzina di motoscafi superveloci con cui Washington temeva che gli iraniani potessero attaccare la flotta americana nel Golfo. Sollecitazione accolta solo dopo mesi di resistenze.
Dietro la ritrosia italiana ci sono solidissime ragioni economiche. L’interscambio con l’Iran vale 2 miliardi di euro (ma c’è chi contesta il dato e parla di 6 miliardi), che in percentuale vuol dire che dal nostro paese parte il 6 per cento delle importazioni iraniane. Numeri che fanno dell’Italia il terzo partner commerciale del paese mediorientale, secondo solo a Germania e Cina. Molto appetibile per l’industria nazionale anche per la sua struttura sociale, formata in gran parte da giovani propensi ai consumi occidentalizzanti a onta della severa morale khomeinista. Non è un caso che il made in Italy abbia trascinato verso l’alto i valori dell’interscambio.
Le due economie presentano poi importanti aspetti di complementarietà.
L’Italia esporta manufatti meccanici e macchinari per la produzione di energia, ed è proprio l’ energia ciò che Roma importa maggiormente, soprattutto gas e petrolio.
Oltre all’Eni è presente in Iran anche il gruppo Falck, che con la sua Sondel, in joint venture con un’azienda pubblica iraniana, sta lavorando alla realizzazione di una grande centrale elettrica sul Mar Caspio. Nel settore creditizio, oltre a quanto detto, basta ricordare la presenza dell’Arab Italian Bank, che opera come banca d’affari e supporter del commercio tra l’Italia e il Medio Oriente.
Numeri, dati e interessi che rendono la partita iraniana particolarmente delicata per l’Italia, e che confermano in parte i sospetti degli alleati che, come sintetizzato dal corrispondente di un importante quotidiano israeliano, accusano l’Italia di doppiogiochismo: «Le parole da una parte e i fatti dall’altra».