Varie, 1 dicembre 2010
YU DAN
YU DAN Pechino (Cina) 28 giugno 1965. Docente di tecniche dei media all’università Normale di Pechino. Dopo la laurea in letteratura cinese antica, ha conseguito un dottorato in cinema e televisione. A questa attività di ricerca e alle trasmissioni televisive sui “Dialoghi di Confucio” che l’hanno resa nota al grande pubblico cinese, affianca quella di consulente per alcune tra le più importanti società di produzioni televisive del suo paese. Il libro “La vita felice secondo Confucio” è stato un caso editoriale internazionale: 600.000 copie di prima tiratura, oltre diecimila copie vendute ogni giorno per più di un anno, 3 milioni nei primi 4 mesi • «[...] dagli schermi della Cctv, la tv di Stato cinese, spiegava Confucio al popolo di Confucio. Sette lezioni, un successo cui ha da to la forma di un libro [...] professoressa universitaria [...] studiosa di letteratura classica cinese (ma con un dottorato di ricerca in media e comunicazione, ora la sua materia di insegnamento), era diventata un personaggio. Un medium così efficace da sostituirsi quasi al messaggio, almeno secondo i critici. [...] Accanto a milioni di fan, Yu Dan ha coagulato il fastidio di critici che non le perdonano nulla. Come Tian Qizhuang, che rivede in lei la tendenza a fare dei cinesi “tartarughe con la testa nel guscio”, senza vere “responsabilità verso la società”. O come Li Yue, che scorge nell’autrice un intento consolatorio che induce a “fuggire il peso della vita”. Yu Dan non se ne cura: “[...] Io non voglio imporre il mio Confucio. Se noi cinesi abbiamo imparato ad amare il caf fè e gli occidentali il tè, confido che si possano condividere anche filosofie diverse. Né il mio è un metodo scientifico universale. È un’esperienza personale della quale, magari, anche altri possono approfit tare. Alla fin fine è solo un modo di leggere, un modo di essere felici” [...]» (Marco Del Corona, “Corriere della Sera” 26/9/2009) • «[...] il confucianesimo di Yu Dan fa accapponare la pelle ai puristi. I classicisti criticano gli sbagli testuali, gli svarioni nella interpretazione delle singole parole. [...]» (Francesco Sisci, “La Stampa” 30/5/2007).