Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 1/12/2010, 1 dicembre 2010
DEBITO PUBBLICO, ORMAI L’ITALIA È NELLA LISTA NERA DEI MERCATI
Gianni Letta, di solito considerato uno dei più prudenti nel governo, certifica che l’Italia è ormai nella lista nera dei mercati finanziari, assieme a Irlanda, Portogallo e Spagna. “C’è forte preoccupazione” che stia per arrivare “un affondo sull’euro, tentando di coinvolgere nel contagio-Irlanda paesi più solidi come la Spagna, il Portogallo e magari anche l’Italia”, ha detto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a margine di un convegno.
NELLE STESSE ORE, sui mercati obbligazionari lo spread, cioè il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani decennali e gli omologhi tedeschi, raggiungeva un nuovo picco, polverizzando il record del giorno prima: 210 punti base, cioè il 2,1 per cento. È vero, come dice Silvio Berlusconi durante il Consiglio dei ministri, che la Spagna è messa peggio, ma il dato non è incoraggiante. “Noi siamo a 210 punti, in Spagna, invece, arrivano a 400 e passa”, avrebbe detto il premier, esagerando un po’ il dato spagnolo (il massimo è stato a 311) ma non il panico che regna a Madrid.
Anche il sottosegretario all’Economia, Luigi Casero, invita alla tranquillità – “Non siamo un paese a rischio e ci atteniamo a questo” – ma non è in grado di smentire che dopo i rilievi della Commissione europea (nel 2012 il deficit sarà il 3,5 per cento del Pil invece che il 2,7 previsto dal governo) sarà necessaria una nuova manovra di risanamento. Ci sono solo dieci giorni per mandare un segnale ai mercati e a Bruxelles, prima che il Consiglio europeo ci richiami all’ordine nel vertice del 15 dicembre, come ripete quasi quotidianamente il Quirinale. Eppure la dinamica della crisi portoghese dovrebbe consigliare una certa prudenza, perché a Lisbona è successo quello che sembra stia cominciando a succedere in Italia.
Lo spiega il Rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato ieri dal Banco de Portougal, la Banca centrale portoghese.
Questa la sequenza di problemi che ha affondato Lisbona: uno Stato fiscalmente fragile, con debito nel 2010 all’88 per cento del Pil e un deficit al 7,3 per cento, non riesce a riprendersi dalla crisi. Bassa crescita e crescenti squilibri con l’estero. Agli investitori il fardello del debito portoghese sembra quindi sempre più pesante, quindi iniziano a pretendere rendimenti più alti per prestare soldi a Lisbona.
IL SETTORE bancario si è esposto troppo per finanziare un’espansione economica che ora si è sgonfiata, prestando sia al settore privato sia a quello pubblico. E ora si ritrova pieno di crediti dubbi, tenuto in vita soltanto dai finanziamenti agevolati della Banca centrale europea. Adesso le cose si stanno complicando: le banche portoghesi non riescono più a vendere abbastanza obbligazioni da rimborsare quelle in scadenza. Il rischio di liquidità per il settore bancario portoghese “può diventare intollerabile se non si implementeranno le misure per consolidare la finanza pubblica in modo credibile e sostenibile”. Tradotto: soltanto migliorando le prospettive a medio termine della finanza pubblica, il settore privato può rifiatare. Ma secondo un ministro irlandese, potrebbe essere già troppo tardi, visto che la Bce starebbe facendo pressione su Lisbona perchè accetti un pacchetto di aiuti dall’Unione europea come quello da 85 miliardi destinato a Dublino, per evitare la bancarotta.
In Italia, a guardare l’andamento della Borsa in questi giorni, si assiste a uno scenario simile. Piazza Affari, ieri in calo dell’1,08 per cento dopo lo scivolone di lunedì (meno 2,67), si conferma una delle Borse più deboli d’Europa, ma a trascinarla al ribasso sono soprattutto grandi le banche, che da giorni continuano a perdere terreno. Più salgono gli spread dei Btp, peggio vanno gli istituti bancari.
La spiegazione principale è che le banche italiane finora sono rimaste al riparo della crisi perché avevano investito soprattutto in titoli di Stato italiani, invece che all’estero. Ma adesso che il problema è il debito italiano, con gli spread che si allargano, le banche affondano. Perché se i titoli in pancia agli istituti si svalutano, è un grosso problema.
IDEM PER le assicurazioni, secondo quando rilevato ieri dall’agenzia di rating Standard & Poor’s: visto che più della metà degli investimenti del settore sono in titoli di Stato italiani, il destino delle assicurazioni è legato a quello del prezzo e del rating dei buoni del Tesoro. Tutti giù, quindi, ieri in Borsa i titoli finanziari, con Unicredit in calo del 3,37 per cento, Mediobanca del 2,69 e Popolare Milano del 2,66. Tra le assicurazioni continua il ribasso della Fondiaria di Ligresti, che ieri ha perso un altro 5,6 per cento, ma anche le Generali sono arretrate dell’1,39 e Mediolanum dell’1,37. L’euro continua a crollare sul mercato dei cambi. Ieri è sceso sotto la soglia di 1,30 dollari, ancora lontano da quei livelli di 1,19 della crisi greca ma non di tanto. E questo nonostante la Federal Reserve stia inondando il mercato di valuta americana, cosa che nelle intenzioni doveva indebolire il dollaro rispetto all’euro.
Sull’Herald Tribune l’euro viene già paragonato alla Società delle nazioni del Ventunesimo secolo, “una buona idea diventata un orfano politico e condannata a sfaldarsi”. Anche il presidente della Bce Jean Claude Trichet, che sembra paventare una contro-reazione americana alla crisi dell’Europa e alla conseguente svalutazione dell’euro, contribuisce alle analogie belliche e dice che “non abbiamo bisogno di alcuna guerra delle monete”. Il suo è un tentativo quasi disperato di fermare l’effetto domino innescato dal flop del piano dei ministri finanziari europei e del Fondo monetario di salvare l’Irlanda. Trichet ribadisce che “non credo che la stabilità della zona euro possa essere messa in discussione, anche se in questo momento esiste un problema”. Invita anche alla “moderazione verbale”, ma finché i mercati si muovono in questo modo, le parole con cui si descrive la crisi sono l’ultimo dei problemi.