Domenico Valter Rizzo, Antonio Condorelli, il Fatto Quotidiano1/12/2010, 1 dicembre 2010
IN SICILIA VIETATO PARLARE DI CIANCIO E MAFIA
Sono falsità trite e ritrite ma attendo l’esito delle indagini con fiducia”. Mario Ciancio, il potente editore e imprenditore siciliano, ha risposto così alle notizie – svelate ieri dal Fatto – sulle indagini a suo carico per concorso in associazione mafiosa. Indagine confermata davanti alle telecamere della Rai dal Procuratore capo di Catania Vincenzo D’Agata: “L’inchiesta è alle fasi finali ma non possono trarsi conclusioni sino a quando l’indagine non sia conclusa”. I catanesi hanno accolto la notizia in silenzio, scambiandosela a mezza bocca, fotocopiando Il Fatto che già alle dieci del mattino era introvabile in tutte le edicole. Assordante il silenzio della politica. Sono solo in due, Sonia Alfano e Claudio Fava, a prendere posizione dopo le rivelazioni del nostro giornale. Sonia Alfano (Idv) ha ricordato l’omicidio del padre, il giornalista Beppe, che “viveva quella sistematica censura, da parte di Ciancio, come un presagio. Lo aveva detto lui stesso che quelle erano le premesse per il suo assassinio”. “Per 20 anni – ha detto Claudio Fava (Sel) figlio di Pippo, giornalista ammazzato a Catania dalla mafia – abbiamo indicato, fatti alla mano, Mario Ciancio come il sistema terminale e il garante di un sistema di potere. Per 20 anni abbiamo denunciato le menzogne dei suoi giornali, le contiguità alla mafia, l’omissione quotidiana della verità”.
SOLTANTO il giorno prima, il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, aveva spiegato che Catania è la nuova capitale della mafia, che adesso i boss non sparano e mirano agli affari, grandi affari. Uno di questi, seguendo il ragionamento della Procura, è quello che ruota intorno al nuovo centro commerciale edificato a pochi metri dall’aeroporto sui terreni di Mario Ciancio.
La Procura, passando al setaccio la rassegna stampa de La Sicilia, il quotidiano diretto da Ciancio, si è imbattuta nella promessa di ricompensa per 50 milioni di lire pubblicata in seguito al furto nella tenuta Cardinale del potente editore, la stessa che qualche anno prima aveva ospitato i reali d’Inghilterra. Mario Ciancio misteriosamente è rientrato in possesso della merce rubata “di grande valore”, gli investigatori si chiedono come sia stato possibile e rispolverano un vecchio interrogatorio che il Fatto è in grado di rivelare. L’autore del furto è Giuseppe Catalano, uomo di Cosa Nostra che racconta di “essere stato chiamato dalla famiglia dei Laudani, il responsabile Giuseppe Di Giacomo e Aldo Ercolano (oggi al 41bis come mandante dell’omicidio del giornalista Pippo Fava, ndr) e da altre persone del clan Santapaola”. “Mi chiamavano – racconta Catalano – dicendomi se io per caso ero a conoscenza di questa rapina, di questo furto di questa villa perché, questa rapina che è stata fatta non doveva essere fatta, perché la persona (Mario Ciancio, ndr), diciamo il proprietario era molto legato allo ‘zio’, come loro chiamavano Santapaola”. Ciancio, interrogato dai magistrati ha negato di essere stato avvicinato dai Santapaola per la restituzione della merce rubata aggiungendo di non saper indicare “con esattezza il tempo trascorso tra la rapina” e la restituzione della merce. “L’ufficio – si legge nel verbale – fa presente al teste (Ciancio, ndr) che la versione dei fatti non appare credibile”.
OLTRE AI PROBLEMI che arrivano dall’indagine per mafia, Mario Ciancio è stato attenzionato dai militari della Fiamme Gialle che hanno esaminato la vendita di alcune frequenze di proprietà della sua famiglia. Il risultato è un rapporto di 45 pagine trasmesso all’agenzia delle entrate per il recupero delle somme evase e alla Procura della Repubblica con una denuncia per il reato di false dichiarazioni fiscali. Una vendita milionaria avvenuta in prospettiva del passaggio al digitale terrestre. Al centro della compravendita le frequenze di proprietà di Rete Sicilia che si determina con atto redatto dal notaio Ciancico di Catania il 18 luglio 2006. Ad acquistare è la società Etis 2000. Il prezzo fissato è di 6 milioni di euro. Questo introito viene imputato nel bilancio 2006, le relative imposte sono rateizzate in cinque anni da Rete Sicilia srl.
Passano otto giorni. Il 26 luglio 2006, sempre presso il notaio Ciancico viene stipulato un preliminare di vendita tra la Etis 2000 spa e la Telcom Italia media brodcasting (TimB). La Etis 2000 si impegna a vendere le 23 frequenze televisive acquistate otto giorni prima da Rete Sicilia srl. Il prezzo questa volta viene fissato in 17 milioni e mezzo di euro più 3,5 milioni di Iva.
IL ROGITO, sempre presso il notaio Ciancico, professionista di fiducia di Mario Ciancio per tutti i suoi affari, sarà stipulato il 20 gennaio 2007. Viene diviso in due parti: 17 canali vanno a TimB (ovvero a La7), 6 canali vanno invece a Mtv Italia (sempre gruppo Telecom Italia Media).
Insomma la Etis 2000 fa un ottimo affare, compra a 6 milioni e rivende a 17 nel giro di soli otto giorni. Ai finanzieri non ci vuole molto per scoprire che sia Rete Sicilia sia la ETIS 2000 appartengono entrambe alla famiglia Ciancio Sanfilippo. Ma perché questa doppia vendita?
La spiegazione, secondo il rapporto della Tributaria, sarebbe semplice: la Etis 2000 è quella che in gergo viene definita una “bara fiscale”.
Per l’intera operazione alla fine, compensando perdite pregresse e crediti Iva della Etis vengono pagate tasse pari a circa 30 mila euro in 5 comode rate. La Tributaria starebbe indagando anche su altre vendite di frequenze televisive sempre di proprietà della famiglia Ciancio cedute nell’ambito del mercato per il digitale terrestre.