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 2010  dicembre 01 Mercoledì calendario

Costanzo: “Come Buñuel sono attratto dall’assurdo” - Lo sguardo, in fondo, è quello di un numero primo

Costanzo: “Come Buñuel sono attratto dall’assurdo” - Lo sguardo, in fondo, è quello di un numero primo. Saverio Costanzo è lontano e disponibile allo stesso tempo. Vorrebbe starsene in disparte ma non può. Pare soprattutto a disagio per tutta l’attenzione che richiama su di sé. «Ero qui al Festival un anno fa per sentire parlare Marco Bellocchio, e ora, al suo posto ci sono io...». Il giovane regista della Solitudine dei numeri primi , tratto dal best seller omonimo di Paolo Giordano, vive ancora l’onda lunga del film («Domani sarò in Olanda a presentarlo, esce anche lì»), ma non ha «ancora metabolizzato» quanto gli è successo, salvo rendersi conto che lavorare su una storia diventata così popolare grazie al libro è stato coraggioso. Ma lo lascia intuire, non lo dice chiaramente. «Mi sembra prima una persona, poi un regista - lo annuncia il direttore Gianni Amelio - un uomo integro. Questo mi colpisce di lui». Tempi lunghi, lunghe riflessioni e per ora nessun progetto immediato per questo regista che qualcuno ha definito «fuori dal mondo»: «Mi ci vorrà qualche annetto, sono fatto in questo modo». Ed è tutto naturale per un autore che poco tempo fa confessava: «I film devono dividere, spaesare, non avere un cuore solo». E che sul set «non contano tanto le parole ma creare un incidente tutti i giorni per registrare un momento di verità». Costanzo, al Tff come ospite per la rassegna «Figli e amanti», ha però svelato il film che l’ha folgorato e che l’ha fatto arrivare fin qui. Ha scelto L’angelo sterminatore di Luis Buñuel. Ne parla ed è un modo per raccontare anche un po’ di sé. «Mi ispirò il suo gusto per l’assurdo - spiega - il gusto del cinema come qualcosa che non deve dare tutte le risposte, ma creare domande. Amo le risposte non date. Buñuel rende al massimo il mistero dell’arte cinematografica». E poi ci sono gli spazi ristretti, quel salotto-prigione da cui un gruppo di persone dell’alta società non riesce più ad uscire: «Il suo film è quanto mai attuale, mi sembra che gli spazi sempre più stretti siano una costante dell’oggi. Lui criticava la borghesia, ma resta l’allegoria della paura ad uscire dal proprio credo, dalle proprie certezze. Ci si protegge chiudendosi in riti quotidiani. È la libertà che è un peso insostenibile. E poi la sua idea claustrofobica ha formato il mio cinema. Nel mio secondo film, In memoria di me , girato interamente in una chiesa, vedo proprio una continuità con L’angelo sterminatore ». Altri innamoramenti? Quello con il cinema documentaristico di Frederick Wiseman: «Cinque ore d’osservazione in un reparto di terapia intensiva in un ospedale americano. Fu uno shock, poi, Amore tossico di Caligari».