MAURILIO ORBECCHI, La Stampa 1/12/2010, pagina 25, 1 dicembre 2010
L’inevitabile separazione da Freud - Non si può neppure dire che la psicoanalisi freudiana sia falsa o non scientifica, perché non è nemmeno raccontabile, o riassumibile, tanto è contraddittoria»
L’inevitabile separazione da Freud - Non si può neppure dire che la psicoanalisi freudiana sia falsa o non scientifica, perché non è nemmeno raccontabile, o riassumibile, tanto è contraddittoria». Edoardo Boncinelli, biologo affermato in campo internazionale per i suoi fondamentali lavori sui geni Hox - i geni architetto che «dirigono» il lavoro degli altri geni - non teme di inimicarsi il mondo psicoanalitico e va giù pesante: «Il modello freudiano non solo non è scientifico, ma non lo può neppure diventare. Andrebbe riformulato di sana pianta, a cominciare dai concetti di “Io” e di “Inconscio”. Freud assegna delle proprietà, degli obiettivi, delle mire e delle caratteristiche che non hanno nulla a che fare con il nostro inconscio. Quindi Freud e le neuroscienze, nonostante qualcuno dica il contrario, sono due vie separate. Nemmeno parallele, ma divergenti». L’affermazione è particolarmente autorevole, perché pronunciata da un neuroscienziato che è stato chiamato a far parte del Comitato del Centro di Neuropsicoanalisi Internazionale, istituito con lo scopo di cercare le basi biologiche del pensiero freudiano sotto gli auspici del New York Psychoanalytic Institute. Ma non finisce qui: «Per di più i freudiani guardano con supponenza agli junghiani e alle altre scuole, invece non sono affatto meglio degli altri. Sostanzialmente sono tutti delle sette». Tuttavia Boncinelli si mostra favorevole alla psicoterapia: «Se fatta bene, dà dei risultati. Soprattutto per il rapporto umano. L’ho sperimentato sia come paziente sia come terapeuta. La gente ha bisogno di fidarsi, di parlare e di essere ascoltata. Si può avere un buon effetto anche senza capire bene il motivo per cui si ottiene. Ma le teorie interpretative della psicoanalisi e delle discipline da essa derivate sono speculazioni che non stanno in piedi». Boncinelli ha abbandonato la ricerca da qualche anno per dedicarsi alla riflessione sui grandi temi, fino a diventare uno dei più importanti esponenti di quella che John Brockman chiama la «Terza cultura». Questo è il termine con il quale si definisce il pensiero degli scienziati che si occupano dei problemi che una volta erano riservati esclusivamente ai filosofi, un’attitudine inaugurata dai maggiori fisici del Novecento, da Einstein a Bohr e a Heisenberg, e oggi portata avanti soprattutto da biologi e neuroscienziati. Si tratta di una novità, nella filosofia, che riporta al pensiero dell’antica Grecia, dove lo scienziato e il filosofo erano riuniti in una sola figura. In questo periodo Boncinelli si è occupato di etica, del male, delle emozioni, dell’amore e in particolare del tema della coscienza, di cui tratta soprattutto nel suo ultimo libro «Mi ritorno in mente» (Longanesi), al quale ha dedicato gli ultimi anni tre anni di lavoro: «Ho voluto soppesare ogni singola parola», spiega. Le sue tesi, riprese in un interessante libro a due voci con Michele Di Francesco «Che fine ha fatto l’io» (Editrice San Raffaele), sono contro il dualismo psiche/corpo: «Chiunque, oggi, si dichiara non dualista. È diventato di moda. Eppure, quando si approfondisce l’argomento, si scopre che sono rimasti dualisti tali e quali, semplicemente hanno una terminologia diversa. Solo chi pensa che tutto quel che ci passa in mente sono segnali e circuiti cerebrali, e che in testa non c’è niente oltre al cervello, è davvero nondualista». Tuttavia, anche lui oggi esprime una punta di dualismo: «È vero, faccio una specie di marcia indietro rispetto ad alcune mie posizioni precedenti. Divido anch’io il mondo in due parti, anche se totalmente sproporzionate: da un lato tutta la mia vita, compresi i miei desideri, che sono riducibili alla biologia, dall’altro la sensazione del mio “Io”. Non riesco a capire, infatti, come la scienza potrà tradurre la mia coscienza fenomenica, cioè il mio “Io”, in termini di molecole e circuiti». La sua posizione, in generale, è quella oggi maggioritaria nell’evoluzionismo e nelle neuroscienze contemporanee: «La mente deriva dall’organismo e ne fa parte. Qualsiasi emozione va dal corpo alla mente: il corpo reagisce prima che la mente sia consapevole di reagire. Mi piace molto, a questo proposito, una frase del famoso neuroscienziato Michael Gazzaniga “La mente è l’ultima a sapere”». Dunque, aveva ragione William James, che sosteneva che, in caso di pericolo, prima viene da fuggire e solo dopo si raggiunge la coscienza della paura?. «Aveva senz’altro ragione James, che è stato un gigante della psicologia, molto superiore a Freud, che lo ha messo ingiustamente in ombra». Ma che spazio c’è per l’anima nel sentimento e nelle emozioni? «Secondo me, non si può e non si deve parlare dell’anima, se non in senso metaforico. Io stesso utilizzo la parola “anima” nel senso di psiche o di animo. Non si può parlare di anima nel senso metafisico del termine, come qualcosa di aggiuntivo alla materia che ci sta in testa, o dentro il corpo, perché la scienza non ha mai incontrato qualcosa di simile». E allora come si può rispondere a un Ivan Karamazov moderno che teme che senza un Dio tutto sia permesso? «Io rovescerei la questione - conclude -: direi che un’etica laica è tanto più necessaria quanto meno posso confidare in un ente superiore».