GIAMPAOLO VISETTI, la Repubblica 1/12/2010, 1 dicembre 2010
CARTOLINE DAL "REGNO DEI CIELI"
Alberghi a cinque stelle e ristoranti francesi che servono sushi importato dal Giappone, sei aeroporti alle quote più elevate del mondo, treni ad alta velocità oltre quota cinquemila e superstrade asfaltate fino al primo campo base dell´Everest.
Benvenuti nel nuovo Tibet civilizzato dalla Cina, impegnata a trasformare l´Himalaya nel militarizzato lunapark globale del millennio. La regione più selvaggia, mistica e inaccessibile del pianeta, dominata dall´altopiano dell´Asia cementato dal permafrost, scompare per sempre. Avanza uno sconfinato parco dei divertimenti kitsch «made in China», dove tutto è falso, ma a misura del turismo di massa. È il «Buddha Show», la museificazione del lamaismo e il grande alpinismo d´avventura ridotto a pacchetto per tour operator. Parole d´ordine: divertimento e business. Così sparisce Lhasa, abbattuta e ricostruita come pretende che sia chi va in vacanza per scattare foto e non ha tempo: un misto di Grande Muraglia e Kathmandu, ma senza più la sua eleganza. Comitive di cinesi han, coreani, giapponesi e indiani si trascinano lungo il circuito sacro del Barkhor con le cannucce dell´ossigeno infilate nelle narici. Si travestono da cowboy del Karakorum, o da monaci dell´ordine gelugpa, e fanno roteare le imitazioni delle antiche preghiere, prodotte a Taiwan. Gruppi di americani, tedeschi e inglesi, attrezzati come fossero in partenza per l´ultimo strappo prima della vetta del Lhotse, affollano falsi campi tendati eretti sulla spianata del Potala e circondati dalle gigantografie dei quattordici Ottomila del pianeta, sfondo per terrificanti scatti in compagnia di portatori in pensione. Trascorrono la giornata tra le bancarelle che assediano i monasteri chiusi, a fare incetta di reliquie, thangka e amuleti: pochi dollari, montagne di falsi in serie, per valige colme di souvenir senza valore. Poliziotti e agenti segreti cinesi vestiti da pellegrini, seminati per la città vecchia, bruciano incenso e cambiano il burro alle lampade assieme agli ultimi fedeli, in viaggio da anni.
È questo il Tibet irriconoscibile che accoglie chi lo ricorda quando ancora apparteneva ai tibetani. Il piano di Pechino, decisa a sottrarre «il regno dei cieli» al feudalismo dei lama e all´influenza dell´India, non prevede attenzione per la storia, per la cultura dei nativi e per la natura. Invasa nel 1950 e normalizzata a colpi di repressioni, la regione doveva «diventare Cina» e «aprirsi allo sviluppo». Obiettivo ormai miseramente raggiunto, senza che un tibetano abbia visto uno yuan in più. Dieci anni fa gli arrivi in Tibet erano poco più di trecentomila all´anno. Nel 2010, pur segnato dall´obbligo di Stato di visitare l´Expo di Shanghai, verrà superata quota sette milioni, che esploderanno a quindici l´anno prossimo. Entro il 2015, quando solo i turisti cinesi saranno oltre 800 milioni, si arriverà al doppio.
La metamorfosi di Lhasa è impressionante. Il primo hotel a cinque stelle dell´Himalaya è appena stato inaugurato a due passi dal monastero di Jokhang, cuore della rivolta dei monaci nel 2008. Il "St. Regis Lhasa Resort", 162 tra suite e ville da 450 euro a notte, promette di «ammirare il tetto del mondo con una coppa di champagne offerta nel Decanter Cafè». In attesa di assorbire la quota, che abbatte del 40% la concentrazione di ossigeno nel sangue, ci si può distrarre con la tivù satellitare sugli schermi al plasma, posizionati sopra le vasche private con l´idromassaggio. La Spa Iridium pratica massaggi e trattamenti ispirati «alla medicina tradizionale», mentre tre eleganti ristoranti servono «il meglio della cucina mediterranea e giapponese». È il lusso anonimo che si può trovare in ogni metropoli della terra, organizzato affinché un ricco cliente standard possa illudersi di «vedere il Tibet in tre giorni», mettendo il naso fuori dall´albergo solo per salire sui fuoristrada dell´organizzazione, diretti negli spacci di tappeti. Ma il successo è tale che la macchina non può più fermarsi. Altri due hotel esclusivi stanno per aprire dove fino all´anno scorso c´erano le baracche invernali dei nomadi pastori. "Intercontinental" e "Shangri-La", entrambi a cinque stelle, attireranno tra le montagne più maestose del mondo «le comitive di fascia alta decise a visitare la Cina in una settimana». Il pacchetto prevede Pechino, Xian, Shanghai, Guilin, lo Yunnan dei panda, i tropici di Hainan, i casinò di Macao, Lhasa e l´Everest da domenica a domenica, con partenza dalle navi da crociera ormeggiate tra le isole di Hong Kong. Un viaggio che resta meraviglioso, ma che per trasformarsi in un´avventura della vita ha bisogno di tempo, di solitudine e di lettura, di contatto reale con le persone e della sorpresa di eventi imprevisti. Il Tibet «a cinque stelle» è del resto l´icona della nuova colonizzazione soft della Cina, che invade l´Himalaya con infrastrutture da distretto industriale, scaricando milioni di turisti per assicurarsi il controllo militare della regione. I grandi monasteri diventano musei e si svuotano di monaci, come il magico Potala, da cui il Dalai Lama fu costretto a fuggire nel 1959. Treni e aerei scaricano sui ghiacciai e tra i villaggi dove le serre per angurie chimiche, fatte maturare oltre quota cinquemila, sostituiscono le magre coltivazioni tradizionali. Milioni di turisti possono ormai atterrare anche a Shigatse, la città sacra del falso Panchem Lama nominato dal partito, o ai piedi del monastero di Rongphu, base per il Chomolangma. «Finalmente - spiega Wang Songping, vice direttore dell´amministrazione del turismo in Tibet - finisce la storia secondo cui nella regione manca un´accoglienza di lusso, di livello internazionale. La gente cerca questo e non si fanno i soldi con le spedizioni degli appassionati di montagna. Il clima cambia e Tingri, dominata dal Makalu, sarà la St. Moritz del millennio».
Obbiettivo economico legittimo, ma l´annientamento culturale, religioso, etnico, sociale, politico e ambientale non è paragonabile allo sviluppo delle Alpi svizzere. La fragilissima unicità tibetana, tesoro dell´umanità, viene demolita contro la volontà della popolazione, che viene esclusa dalla crescita del benessere e privata anche della propria lingua. I turisti non vengono invitati a comprendere, ma spinti a ignorare e a depredare, tenuti lontani dalla gente e dai monaci fedeli al Dalai Lama, indotti a transitare in un «Tibet senza Tibet» per svuotare le tasche. Un viaggio qui, la fantastica traversata dell´Himalaya da Lhasa fino al versante nepalese di Katmandu, restano un´esperienza che può cambiare la visione dell´esistenza. Ma a due condizioni: muoversi con pazienza, lungo le rotte in via di abbandono, ed evitare i tour industriali che impongono il falso tipico di regime, messo in scena negli hotel a cinque stelle. E soprattutto decidersi a venirci in fretta, prima che il Tibet diventi, oltre che già quasi invisibile, anche inimmaginabile.